Gilles Deleuze, in particolare quando è con Felix Guattari, esercita una pressione decisiva sulla psicoanalisi, soprattutto su quella versione della psicoanalisi in qualche modo costretta ad avvertire tale pressione. Il decisivo consiste in questo: la pressione di Deleuze spinge la psicoanalisi, quella psicoanalisi che tale pressione può avvertirla, a compiere diversi sforzi, che si dispiegano in varie direzioni e che altrimenti non verrebbero mai compiuti, o verrebbero compiuti con poca decisione.

Tra i vari sforzi, quello che mi sembra decisivo è relativo al modo di intendere-trattare la pulsione. La pressione di Deleuze costringe in effetti una certa psicoanalisi ad intendere la pulsione come l’insorgenza costante dei molti, ossia come una molteplicità in atto, una potenza che è intrinsecamente atto. Per essere più prudenti, si potrebbe dire che questa pressione costringe una certa psicoanalisi a non potere non tenere conto della molteplicità in atto quando maneggia, teoricamente e praticamente, la pulsione.

In questa direzione, la pressione di Deleuze induce la psicoanalisi a collocare nel laccio, cioè nell’irrigidimento e nell’abolizione imposti a e soprattutto da questa molteplicità in atto, il problema, ossia l’origine del disagio, dunque del sintomo, dell’inibizione e dell’angoscia. È molto importante questo soprattutto da, in quanto l’accento per Deleuze non va mai messo su ciò che inalbera il rizoma, su ciò che lega la molteplicità in atto, ma sulla tendenza della molteplicità in atto a inalberarsi, cioè a farsi albero, a lacciarsi, irrigidirsi.

Continuando in questa direzione, la pressione di Deleuze induce la psicoanalisi ad uno sforzo decisivo, quello di collocare nell’affermazione della molteplicità in atto il modo per affrontare il problema del laccio. La parte maggioritaria della psicoanalisi si occupa della pulsione e del problema del suo laccio cercando di lacciarla meglio, provando a fasciarla meglio, insistendo sulla necessità di articolarla, di dargli una forma, di sublimarla. Una parte minoritaria della psicoanalisi si occupa della pulsione e del suo laccio andando ad affermare la pulsione, a determinare un assenso alla pulsione – su questa parte minoritaria della psicoanalisi, che opera in questa direzione, è innegabile la salutare pressione di Deleuze.

Si può dire, schematicamente: c’è una psicoanalisi che non si fa toccare dalla pressione di Deleuze, c’è una psicoanalisi che si fa variare da questa pressione e c’è una psicoanalisi che si fa toccare da questa pressione ma per rigettarla, interpretandola come illusoria, ingenua, ottimista. Quest’ultima versione è particolarmente preziosa per intendere la pressione di Deleuze. È preziosa perché nell’interpretare la pressione di Deleuze in termini ideali ci fa intendere qualcosa della posta in gioco in questa.

Come è noto, Deleuze accosta spesso la psicoanalisi alla religione, anzi, la considera capace di sorpassare la religione, di intendere il desiderio in un modo più religioso di quanto faccia la religione, di dire cose sul desiderio che un prete avrebbe il pudore di non dire. Tale sentenza è, oggi più che mai, particolarmente azzeccata nel definire questa versione della psicoanalisi, animata da uno slancio religioso, il quale ostacola, come sempre, l’interpretazione, la serietà dell’interpretazione, spingendola verso l’idealizzazione, la quale in questo caso finisce per ricadere sull’altro: è Deleuze a idealizzare, a coltivare un vitalismo delle molteplicità in atto ecc. Ma appunto, basta non essere più religioso del religioso per accorgersi che in Deleuze non c’è nessun ottimismo della molteplicità, in quanto da un verso la molteplicità in atto è sempre connessa con le istanze unificanti, e dall’altro verso la molteplicità in atto è intrinsecamente problematica – sia perché tende a fare laccio, a irrigidirsi, sia perché la sua effettuazione corporea, che è necessaria, è sempre un rischio di schianto e di inalberamento. Ebbene, è proprio questo intreccio a non essere colto dalla psicoanalisi religiosa, a non poter venire colto a causa del suo slancio idealizzante, ma è proprio questa sua incapacità a coglierlo a rendercelo più evidente.

In questa direzione, se invece di coltivare l’interpretazione idealizzante ci si dedica all’interpretazione seria, si può incontrare il continuo squilibrio della molteplicità in atto, dell’effettuazioni e contro-effettuazioni corporee in cui consiste, e si può cogliere nell’affermazione del molteplice un trattamento della problematicità del molteplice e non una sua esaltazione – un trattamento della problematicità della pulsione e non una sua esaltazione. Detto altrimenti, se ci si accorge di Deleuze, se non lo si legge con gli occhiali della religione, della psicoanalisi-religione, si può cogliere che l’affermazione del molteplice consiste nell’incalzare il carattere intensivo degli elementi a discapito della loro articolazione, nel toccare il farsi e disfarsi degli elementi e lasciare andare il loro relazionarsi – insomma, se si prende la pressione Deleuze sul serio ci si può rendere conto che affermare è trattare!

È anche vero che oggi si sta diffondendo un’ulteriore versione della psicoanalisi, quella che, tesa a cavalcare le mode del momento, cioè a sistemarsi, si dice deleuziana, ma di fatto riduce Deleuze ad una serie di slogan ed evita accuratamente di farsi toccare dalla pressione di Deleuze – risparmiamoci una tale menzogna. Dobbiamo ora prendere la stessa cosa da un altro verso, cioè fare un altro giro.

Deleuze esercita una pressione decisiva su una certa psicoanalisi ma non si può dire l’inverso. Deleuze si interessa molto alla psicoanalisi, la studia, ne fa un campo di ricerca, prima dell’incontro con Guattari e attraverso Guattari – un campo di ricerca amico prima di incontrare Guattari, un campo di ricerca nemico attraverso Guattari. Dunque Deleuze si interessa alla psicoanalisi ma mai e in alcun modo si lascia pressare della psicoanalisi, ossia non si fa mai analizzante, non si ritrova mai a collocare la psicoanalisi nel posto del soggetto supposto sapere – è sempre lui il soggetto supposto sapere della psicoanalisi. Insomma, Deleuze si lascia pressare da Spinoza, Bergson, Platone e moltissimi altri, ma mai dalla psicoanalisi.

Si tratta di una posizione rintracciabile in ogni suo movimento verso la psicoanalisi. Tre mi sembrano particolarmente incisivi. I primi due sono relativi alla critica impietosa mossa al problema della castrazione e della fissazione, considerate due spauracchi sventolati dalla psicoanalisi per spezzare la molteplicità in atto (rizoma) e ricondurla agli elementi unificanti (radice). Se Deleuze si fosse lasciato pressare almeno un po’ dalla psicoanalisi, avrebbe potuto cogliere nella castrazione e nella fissazione due momenti di intensificazione della molteplicità in atto, due momenti di accelerazione e non di abolizione della potenza in atto del molteplice, due momenti di inscrizione ripetuta della potenza in una vita e non due unità concettuali alle quali ridurre la potenza. Non dico che Deleuze sarebbe stato d’accordo con questa versione della castrazione e della fissazione, dico che se si fosse accorto di questa versione ne avrebbe potuto fare un buon uso, un ottimo uso. Invece la sua indisponibilità radicale a farsi analizzante, cioè a farsi pressare dalla psicoanalisi, gli ha impedito questo incontro.

Veniamo così al terzo movimento. Questa radicale indisponibilità a farsi analizzante, almeno un po’, almeno per un po’, gli impedisce di cogliere lo spinozismo presente in Lacan, vale a dire che per Lacan non ci sono che modi di godere, cioè modi di un’unica sostanza – ecco lo spinozismo, non ci sono che modi di un’unica sostanza, con la differenza, rispetto a Spinoza, che per Lacan non c’è rapporto tra sostanza e modi della sostanza (il rapporto c’è tra i modi e la sostanza ma non tra la sostanza e i modi). Probabilmente se Deleuze avesse incontrato questo versante di Lacan ne avrebbe fatto qualcosa di ottimo. Ma non è andata così, e non è andata così perché Deleuze è probabilmente il filosofo che più ha pressato, e pressa, la psicoanalisi e allo stesso tempo è quello meno disposto a farsi pressare dalla psicoanalisi, a diventarne un po’ analizzante – dunque ad entrare nel divenire analista. E forse sta in questo nodo, tra il più pressante e il meno pressato, l’intensità inquieta che Deleuze lascia alla psicoanalisi – lascia alla psicoanalisi, a quella che non può non farlo, il compito di occuparsene, di farne qualcosa.  

Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2019.
G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-edipo, Einaudi, Torino 1975.
Id,., Millepiani, Castelvecchi, Roma 2014.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XIX. … o peggio, Einaudi, Torino 2020.

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