Nella sua Storia della Psicoanalisi, Silvia Vegetti Finzi descrive Elvio Fachinelli come «uno degli psicoanalisti più sensibili e reattivi ai mutamenti sociali», una figura a volte ambigua, persino scomoda, ma il cui «sguardo critico» e la cui «capacità propositiva» si sono rivelati più che mai «necessari» per comprendere le insicurezze e le contraddizioni dell’Italia dagli anni sessanta agli anni ottanta del Novecento (Vegetti Finzi 2017). Allievo del decano della psicoanalisi italiana Cesare Musatti e membro stabile della Società Psicoanalitica Italiana, originale interprete del testo freudiano e intellettuale dall’orientamento singolarmente radicale, Fachinelli è stato lo psicoanalista che più di ogni altro ha saputo valorizzare e problematizzare la tensione tra il lato rivoluzionario della psicoanalisi e il suo resto irriducibilmente conservativo e reazionario, immergendo costantemente la teoria analitica nell’esperienza concreta della realtà quotidiana.

Non è esagerato dire che, dalla prematura scomparsa dello psicoanalista trentino nel 1989, l’eredità del pensiero fachinelliano sia stata relegata ai margini del sapere analitico, riaffacciandosi solo sporadicamente attraverso il registro del memoriale o del tributo intellettuale. Al di là di alcune sensibili eccezioni, Fachinelli sembrerebbe essere rimasto preda di ciò che lui stesso definiva sprezzantemente l’apparato «necrofagico» dell’industria culturale (Fachinelli 1978): una logica commemorativa basata sul tempo ciclico dell’anniversario, della ricorrenza e della coincidenza, in cui il sapere viene rievocato proprio in quanto già «morto», o strumentalizzato attraverso l’alibi circolare della nostalgia.

Non a caso, ciò che oggi sembra sopravvivere della psicoanalisi fachinelliana sono per lo più ritagli di concetti dissociati tra loro (l’estasi, la claustrofilia, l’insaziabilità del desiderio), che riemergono di volta in volta cautamente depurati della loro intrinseca scomodità. Per quanto opinabile, tuttavia, si tratta di uno stato di cose non sospetto: assumere fino in fondo la principale lezione di Fachinelli sulla psicoanalisi non vorrebbe forse dire mettere in discussione il senso stesso della prassi psicoanalitica? Come Fachinelli ha sempre ribadito nel corso degli anni, la ragione psicoanalitica si è macchiata sin dall’inizio di un peccato originale con cui occorre fare continuamente i conti: emersa come la pratica in grado di disvelare il soggetto dell’inconscio, la psicoanalisi ha presto serrato questa istanza inquietante in una «foresta appuntita» di difese (Fachinelli 1989, p. 16), sino a porsi essa stessa come una paradossale reazione alla minaccia dell’inconscio. Tornare a Fachinelli, oggi, significa allora prima di tutto rimettere in gioco la propria vocazione a mantenere aperto l’inconscio, ad impegnarsi affinché la scoperta freudiana non si riduca né ad un piatto fondamentalismo, né ad un selvaggio sproloquio libertario.

Massimo Recalcati è il primo psicoanalista a proporre un’intera monografia sul pensiero di Fachinelli, spezzando così un silenzio che vigeva ormai da decenni. L’aspetto più interessante di questo piccolo libro è senza dubbio che, anziché imboccare la via della sistemazione critica, anziché cioè tentare di prestare la figura di Fachinelli al lugubre gioco delle interpretazioni, esso ci offre una lettura estremamente personale, somministrata attraverso una serie di questioni costruite sulla condivisione di «perplessità» (Recalcati 2020, p. 15) più che di affinità teoriche, su di una logica del sospetto, e non della conferma. L’impegno di Recalcati appare in questo senso orientato a recuperare proprio il lato più “grottesco” e inattuale della psicoanalisi fachinelliana: non si tratta di erigere un dottrinale del pensiero di Fachinelli, di architettare le sue idee e le sue proposte in una fisionomia monumentale, ma di dissimulare costantemente l’oggetto psicoanalitico attraverso una critica polemica del frammento, attraverso uno scavo intrinseco in cui la ragione non usa il concetto difensivamente, ma lo sfibra, lo mortifica, lo taglia in più parti, rivelandone la natura sempre «obliqua» e incompleta (ivi, p. 93).

Riducendo la sua batteria teorica ad un apparato minimale ma allo stesso tempo esorbitante, Recalcati rimette in gioco il pensiero di Fachinelli come un pensiero della macchinazione, un’articolazione mobile che ha la stessa «dignità che hanno in Freud le categorie di Eros e Thanatos, in Lacan quelle di desiderio e godimento o in Deleuze e Guattari quelle di molare e molecolare», e che si innesta a partire dalla coppia antinomica «apertura-chiusura» (ivi, p. 21). Del resto, è noto quanto Fachinelli fosse contrario alle accomodazioni fisse, alla tentazione fin troppo diffusa di bardare la psicoanalisi in un’«armatura» che ne garantisse protezione ma finisse anche per impedirne i «movimenti» (Cfr. Fachinelli 2010, pp. 96-101). Se l’inconscio possiede delle leggi, queste non sono da setacciare nello spazio angusto di una teoria del tutto, in una presunta metapsicologia, ma in quello liscio delle connessioni desideranti, nei flutti del mare, nell’imprevedibilità dell’aperto e, non in ultimo, nella estemporaneità sovrana dell’imprevisto, di quella scintilla che scuote il soggetto scollandolo dalla «replica inerte del passato» (Recalcati 2020, p. 67).

Non è un caso se, nel suo periodo di massima produttività teorica, Fachinelli fosse arrivato a denominare il proprio approccio una «nexologia», una scienza di nessi e articolazioni, di «modi» in cui il singolare si allaccia creativamente al plurale, e in cui la psicoanalisi stessa non funge che da meccanismo di transito verso ulteriori espressioni di «plasticità», «flessibilità», «inclusività». (ivi, p. 107) Come sarebbe possibile, del resto, pretendere di poter sostituire l’intransigente dissidenza del desiderio con le compassate astrazioni edipiche? Come si potrebbe regolare la «scena dell’inconscio» ricorrendo alle scalcinate meditazioni del determinismo psichico? Come ripeteva spesso Fachinelli, «la legna da ardere non spiega di per sé il divampare del fuoco» (Fachinelli 1989, p. 24), perché c’è sempre un’eccedenza libera, uno scarto non scritto che subentra a scompaginare il tentativo di ammansire ciascun fenomeno in una mera didattica.

Ma questa vigorosa spinta verso il fuori, questa intolleranza alla limitatezza e agli spazi claustrali, non è di per sé sufficiente. Non basta, detto altrimenti, dire che Fachinelli sia stato lo psicoanalista dell’aperto, perché una simile esaltazione della liquidità finirebbe presto per far ricadere – come effettivamente è talvolta accaduto – il pensiero fachinelliano nella morsa di una dissidenza incondizionata. Al contrario, il momento più cruciale della riflessione di Fachinelli si snoda proprio attorno al rovescio scabroso della libertà, attorno all’accettazione della tendenza alla conformazione e alla chiusura che alberga altrettanto tenacemente nell’inconscio: se le masse amavano nonostante tutto il fascismo, se l’idea di un gruppo aperto è di per sé un’aporia, è perché occorre ammettere che esiste anche «qualcosa come una pulsione a chiudere», una «pulsione securitaria» (Recalcati 2020, p. 112) che, come direbbe Bataille, rilancia il «valore dell’unità dell’essere», ricompattandolo continuamente come «esistenza individuale» (Bataille 1974, p. 93). Fachinelli sapeva bene che un’esaltazione unilaterale e incondizionata dell’emancipazione, una spinta cieca verso la dissoluzione aprioristica dei confini, avrebbe inesorabilmente finito per abbattersi contro il nocciolo duro di un «conformismo senza vita» (Recalcati 2020, p. 116). La posta in gioco dell’analista sarebbe al contrario proprio nella ricerca dei nessi, nella valorizzazione dell’allaccio tra la fuga verso l’aperto e l’urto contro le barriere del singolare.

Se non vuole degenerare in una «chimera libertaria» o in una triste «apologia della difesa», è la stessa pratica analitica a dover fare i conti con questa disposizione bicefala dell’inconscio (ivi, p. 115). Come dice Recalcati citando il Deleuze di Differenza e ripetizione (1968), l’impatto del nuotatore con l’onda non può prescindere da una formazione che si dia inizialmente come con-formazione, perché non può esserci confronto con l’aperto senza la prospettiva angosciante del chiuso: se darsi «la propria forma senza passare dall’Altro è l’illusione della perversione», allo stesso modo non c’è soggettività senza una preliminare assunzione dei propri vincoli (ivi, p. 116). Abbattere tutto senza passare per la consistenza della singolarità è anzi il più grande «tradimento delle politiche radicali» (Negarestani 2008, p. 18) che si possa immaginare. Si tratta di un assunto fondamentale per concepire un ideale di comunità che sia concretamente fondato, e che si implementi su di una politica del fare: come scrive Recalcati, la condizione per una comunità democratica non risiede nel mito della «reciprocità», nel livellamento oceanico delle differenze, ma scaturisce soltanto dal riconoscimento dell’assenza di reciprocità, dall’«uguaglianza tra i non eguali» (Recalcati 2020, p. 34).

Per parafrasare Jorge Alemàn (Alemàn 2017) non c’è comune che a partire dall’individuazione dell’assenza del comune, non c’è ragione in atto se non partendo dall’assunto che non esiste misura alcuna tra gli inconsci. Valorizzare la differenza, sia tale atto analitico, politico o semplicemente etico, vuol dire sostenere la «singolarità dell’enunciazione» (Recalcati 2020, p. 37). Ecco perché, nonostante la sua insofferenza istituzionale, nonostante l’intransigente opposizione alla psicoanalisi come armamentario teorico, come pratica psicoterapeutica o modello pseudo-statistico, Fachinelli è sempre rimasto uno psicoanalista: probabilmente, egli aveva compreso prima di ogni altro che la critica della ragione psicoanalitica, quale infaticabile sommovimento dei limiti e delle possibilità della psicoanalisi, è l’unica prassi in grado di sollecitare un autentico «accomunamento», quel processo capace di «attivare profonde trasformazioni nei soggetti e nel gruppo» senza sciogliere l’una delle due componenti nel mare piatto e omologante dell’altra (ivi, p. 49).

Riferimenti blibliografici
J. Alemàn, Solitudine: Comune. Per una sinistra lacaniana, Mimesis, Milano 2017.
G. Bataille, Il basso materialismo e la gnosi, in S. Finzi, a cura di, Documents, Dedalo, Bari 1974.
E. Fachinelli, Cultura e necrofagia nell’industria culturale, in Quaderni Piacentini, Anno XVII, n. 69, 1978.
Id., La mente estatica, Adelphi, Milano 1989.
Id., A proposito di Jung, in Id., Il bambino dalle uova d’oro, Adelphi, Milano 2010.
R. Negarestani, Cyclonopedia, Re.press, Melbourne 2008.
S. Vegetti Finzi, Storia della Psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990, Mondadori, Milano 2017.

M. Recalcati, Critica della ragione psicoanalitica. Tre saggi su Elvio Fachinelli, Ponte alle Grazie, Milano 2020.

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