di ROBERTO DE GAETANO
Credere e non credere di Nicola Chiaromonte.

Guerra e pace (Bondarčuk, 1966)
Ci sono libri sorretti da una logica ferrea, leggendo i quali ci ritroviamo con una comprensione apparentemente più chiara delle cose, ma con meno aria, meno liberi. E ce ne sono altri in cui la logica sembra sfuggire, ma non sfugge il senso. Questi ultimi sono attraversati da domande, i primi da risposte.
Gli scrittori di risposte scrivono per convincerci, gli scrittori di domande scrivono per trovare un senso alla loro stessa esperienza del mondo, perché sanno che ciò che è importante è che la vita abbia un senso. E fanno della scrittura la via per trovarlo. Nicola Chiaromonte è uno di questi grandi scrittori di domande che hanno segnato il nostro Novecento. E in Credere e non credere, ripubblicato di recente da Mondadori (con prefazione di Alessandro Piperno e postfazione di Raffaele Manica), troviamo una serie di saggi che, attraverso la letteratura, si interrogano sul senso dell’esperienza presente (il libro nasce da una serie di conferenze tenute da Chiaromonte a Princeton nel 1966) che tiene conto di tutto ciò che il Novecento ha prodotto e delle categorie che ne hanno orientato la sua leggibilità: «Questo libro è nato senza premeditazione, in tempi diversi, obbedendo allo stimolo di circostanze e letture diverse. Esso ha tuttavia un tema unico: il rapporto tra l’uomo e l’evento, tra ciò che egli crede e ciò che gli accade. La questione della Storia» (2023, p. 3).
In queste parole che aprono la Premessa del libro, Chiaromonte presenta sia il proprio metodo, sia i concetti guida dell’intero volume. Le occasioni eterogenee e il loro moltiplicarsi non possono che dare vita a saggi, cioè a forme di scrittura in cui la riflessione si fa apertamente problematica ed interrogativa, sottratta ad ogni pretesa di sistematicità. La forma saggio è – come dice Raffaele Manica nell’introduzione al volume dei “Meridiani” da lui curato – «una forma dell’esistere: non di una esistenza mancata, ma di un’esistenza il cui corso è andato imprevedibilmente a sfociare in un mare diverso da quello segnato dalle carte» (Manica 2021, p. XXI).
L’imprevedibilità dell’approdo di una ricerca, che trova nella scrittura saggistica la forma avventurosa del suo attuarsi (scrittura completamente espunta dall’attuale ricerca universitaria, orientata ad una capillare programmazione di tutto: obiettivi, metodi e tappe del percorso), non esclude che ciò di cui si parla abbia una sua unità problematica. E questa unità potremmo dire è quella che rende da un lato irriducibile l’emergere singolare degli eventi alla loro sistemazione logico-discorsiva, di cui la Storia è la manifestazione più esemplare; dall’altro è quella che antepone la credenza in questi eventi singolari alla loro conoscenza, troppo spesso segnata dall’uso manipolatorio ed ideologico che ne opera la razionalità strumentale moderna.
“Eventi” e “credenze” identificano una coppia concettuale che testimonia tutta la grande innovatività e modernità di Chiaromonte, di cui la storia stessa della sua vita testimonia: esilio in Francia durante il fascismo e poi negli Stati Uniti, conoscenza e frequentazione tra gli altri di Albert Camus, Mary McCarthy e Hannah Arendt.
Le questioni poste da Chiaromonte, sia pur in forma non sistematica, trovano sorprendente riscontro in alcune delle figure più rilevanti del pensiero filosofico del Novecento, tra le quali Gilles Deleuze. Anche nel filosofo francese troviamo una teoria dell’evento come insorgenza rispetto a situazioni storicamente determinate, delle quali individua la parte intempestiva e astorica, e ne determina la “verità” (Deleuze 2014). L’evento è qualcosa che mette in questione l’ordine composto e destinante della Storia. Ma questo evento come singolarità irriducibile a generalità non è qualcosa di epifanico e miracoloso, ma è esattamente ciò che compone l’ordine delle cose, anche quando queste sembrano governate e guidate, come durante una guerra, da una prassi carica di agglutinante retorica ideologica che trasforma l’ordine casuale del mondo nel carattere “necessitante” del Destino tracciato dall’uomo di potere.
A questa necessità si oppone radicalmente il Tolstoj di Guerra e pace. Chiaromonte lo scrive in uno dei capitoli più belli del libro quando, riprendendo anche la lettura che fa Isaiah Berlin in The Hedgehog and the Fox del grande romanzo, ritrova in Tolstoj «anzitutto un nemico del dogmatismo» (2023, p. 39). Qualcuno che riconoscendo, come scrive lo stesso Tolstoj, che l’uomo «”agisce nel tempo ed è lui stesso parte dell’avvenimento” non sta dicendo altro che “noi tutti insieme agiamo nel tempo, non possiamo avere alcuna idea delle cause vere del nostro agire: di ciò che facciamo e di ciò che ci accade» (Ivi, p. 46).
Questo perdersi nell’eterogeneità e molteplicità dell’esperienza determinata, questa impossibilità di dominio, non deve però farci smarrire in una posizione scettica ma deve essere capace di alimentare credenza e fiducia. Che non significa illusione fideistica nella totalità strutturata del mondo, «garanzia della compattezza e solidità del mondo, adesione dell’animo ad una Verità suprema» (Ivi, p. 211). Esattamente all’opposto: «Il credere coincide col mondo nel quale realmente e attualmente viviamo, quale realmente e attualmente lo sentiamo, soffriamo e pensiamo […] Il credere, quando è autentico, è incerto, come l’esistenza» (Ivi, p. 213).
In gioco c’è una questione di capitale importanza, nella quale ritroviamo non solo alcune idee del Pragmatismo americano, innanzitutto di Peirce, per cui «la sola funzione del pensiero è produrre la credenza» (Peirce 2003, p. 380), la quale tra le altre cose «comporta lo stabilirsi nella nostra natura di una regola d’azione» (Ivi, p. 382), ma ancora Deleuze, attraverso cui vediamo forse la possibilità stessa di dare una sintesi per quanto aperta al discorso di Chiaromonte:
La credenza non si rivolge più a un mondo altro o trasformato. […] Cristiani o atei, nella nostra universale schizofrenia, abbiamo bisogno di ragioni per credere in questo mondo. È un’intera conversione della credenza. Da Pascal a Nietzsche, era poi questa la grande svolta della filosofia: sostituire il modello del sapere con la credenza (Deleuze 2017, p. 201).
È questa sostituzione che è in gioco nel pensiero di Chiaromonte: il potere generalizzante del sapere (radicalizzato in ideologie e dogmatismi) viene sostituito dalla potenza generativa della credenza laica nel “qui ed ora”, nel “momento presente”, nella molteplicità dell’esperienza ordinaria, «nel fatto che “questa cosa è lì davanti ai miei occhi”» (Chiaromonte 2023, p. 24).
E allora si capisce anche del perché Credere e non credere si sviluppi intorno alla letteratura, ai grandi romanzieri (oltre a Tolstoj, Stendhal, Hugo, Pasternak, Malraux), perché «è soltanto attraverso la finzione, e nella dimensione dell’immaginario, che è possibile apprendere qualcosa sull’esperienza autentica dell’individuo» (Ivi, p. 8). L’esperienza concreta e singolare in cui prende corpo e consistenza la nostra vita più che impresa epistemologica, tradotta in sapere e concetti, è qualcosa che riguarda la nostra profonda credenza nel mondo e nel qui ed ora, che si incarna nel modo d’essere dei personaggi e nelle finzioni.
Più che di conoscenza abbiamo bisogno di riconoscimento, e dunque di fiducia e credenza. Quella che implicitamente attiviamo anche solo per riconoscere le cose, tessendo il filo continuo della nostra vita quotidiana, della nostra esperienza contingente, per corrispondere al «bisogno che la vita abbia un senso» (Ivi, p. 126). Per questo, personaggi e mondi, narrati, immaginati e messi in scena (Chiaromonte è stato anche, per più anni, critico teatrale de “Il Mondo”), hanno priorità assoluta sulla teorizzazione, soprattutto quando questa ha la pretesa di farsi totalizzante e dogmatica (l’avversione per Sartre, apostrofato come “gangster culturale”). Se una verità va cercata, sarà l’opera d’arte ad indicarne la strada.
Riferimenti bibliografici
I. Berlin, The Hedgehog and The Fox. An Essay on Tolstoy’s View of History, Weidenfeld & Nicolson, London 2013.
G. Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2014.
Id., L’immagine-tempo, Einaudi, Torino 2017.
C.S. Peirce, Opere, Bompiani, Milano 2003.
R. Manica, Nicola Chiaromonte e i paradossi della storia, in N. Chiaromonte, Lo spettatore critico, “I Meridiani” – Mondadori, Milano 2021.
Nicola Chiaromonte, Credere e non credere, Mondadori, Milano 2023.