On Body and Soul: riteniamo importante quella particella (On), di solito omessa, nel titolo inglese del lavoro più recente della regista ungherese Ildikó Enyedi. Il suo, infatti, va considerato un vero e proprio film-saggio in forma poetica: un tentativo di mettere in scena le vie traverse e i sentieri interrotti lungo i quali riescono ad affiorare i desideri umani bloccati da paure e inibizioni, i desideri che non si vuole ammettere di avere.
Questa messa in scena avviene soprattutto attraverso la coincidenza dei sogni di due persone, Endre e Maria, che lavorano assieme in un mattatoio a Budapest, con funzioni diverse, e all’inizio nemmeno si conoscono, ma anche con altre modalità. Maria, infatti, forte della sua memoria di ferro, riproduce le poche battute scambiate a mensa con Endre, durante la pausa pranzo, su un suo teatrino privato. Possono essere due saliere, o due statuine Lego. Le battute sono insignificanti, del genere “buon appetito!”, ma diventano significanti nel momento in cui vengono ripetute attraverso una messa in scena, il cui carattere infantile non deve ingannare.
Incapace di stabilire qualunque contatto diretto di tipo affettivo, fredda, scostante, apparentemente priva di emozioni ed empatia, Maria riversa la propria affettività in queste mini-rappresentazioni e nei sogni. Anzi, più che nei sogni, in un sogno unico, sempre lo stesso, identico a quello che fa sempre anche Endre. Le mini-rappresentazioni sono sostenute da oggetti inanimati (le saliere, i pupazzi); il sogno comune, invece, riguarda proprio animali, due cervi, un maschio e una femmina, che si incontrano in una foresta innevata, si fiutano, si sfiorano appena con i musi bevendo l’acqua d’un ruscello, poi si allontanano, senza che succeda altro.
Cosa rappresentano i due cervi? Enyedi, per fortuna, non si imbarca in analisi freudiane, che avrebbero sfiorato l’ovvio. Ciò che, filmicamente, acquista rilievo, è lo scenario ghiacciato in cui si muovono i due animali onirici: la neve, gli alberi imbiancati, il ruscello semi-gelato. Il rapporto, piuttosto, è con il mondo del mattatoio, fatto di sangue e violenza, di cui il sogno è la negazione. Il sangue del mattatoio, il sangue dell’uccisione degli animali, si oppone violentemente al bianco della neve. Nel mattatoio, possiamo dire, viene sancito e ribadito il distacco degli umani dalle loro origini animali, che il sogno invece si sforza di farci ricordare. Però il sangue sgorga anche dalle vene degli umani, dalle vene di Maria quando tenta il suicidio, immersa nella vasca da bagno, con un frammento di vetro. Allora, paradossalmente, a salvarla è il disprezzato e vituperato (in tante fiction) telefono cellulare, che la rimette in extremis a contatto col mondo (con Endre).
Parecchi, a proposito del mattatoio e degli animali, hanno rilevato, non senza buone ragioni, somiglianze tra questo film e Bella e perduta (2015) di Pietro Marcello, dove il sogno è attivato dal bufalo che Pulcinella psicopompo, inviato dall’aldilà, tenta invano di sottrarre al suo destino. Ma i cervi (maschio e femmina) sono forse animali onirici per eccellenza, se già come tali li rappresentava nel 1557 Conrad Lycosthenes nella sua raccolta d’immagini Prodigiorum ac ostentorum chronicon. Animale onirico o fantastico, benché reale, è soprattutto il cervo maschio, con le sue corna maestose ma incongrue, che sembrano il risultato di qualche metamorfosi interrotta. Sarà di certo un puro caso, ma ricordiamo che Lycosthenes era affetto da paralisi alla mano destra e Endre, nel film, ha il braccio sinistro paralizzato.
Ci chiediamo dunque: sono Endre e Maria a sognare i cervi o sono i cervi a darsi appuntamento nei loro sogni da una distanza temporale incommensurabile? Sono gli umani a rammentare la memoria immemorabile dei loro trascorsi istinti animali, o sono gli animali che tornano, a ricordarci che abbiamo (avevamo) qualcosa in comune con loro? Se è così, il sentiero del sogno è ben più complesso di quello che, in nome della magia, la stessa Enyedi aveva percorso per unire un consulente della polizia, mezzo stregone, al vecchio Simon Mago (nel film omonimo del 1999) o anche il tiratore scelto di Magic Hunter (1994) agli incantesimi diabolici de Il franco cacciatore.
Né Endre, né Maria, ormai riescono a dormire, se non sono soli. Faticano ambedue, ma specialmente Maria, a superare la ripugnanza per ogni eventuale contatto fisico, anche involontario. Se la ripugnanza alla fine verrà superata, non si prospetta, tuttavia, un vero lieto fine. Il prezzo da pagare c’è: è la scomparsa dei cervi, nella foresta ghiacciata senza più creature viventi, come se la vita realizzata uccidesse, inevitabilmente, il sogno della vita.
Riferimenti bibliografici
C. Lycosthenes, Prodigiorum ac ostentorum chronicon, Basilea, 1557.