Franco Cordelli è uno scrittore e critico teatrale e letterario ben noto, mentre meno conosciuta è la sua scrittura su temi legati alla critica cinematografica. Che tutto abbraccia. I giorni e i film è una raccolta di saggi sul cinema, sebbene questa definizione non sia del tutto esaustiva e accostabile al volume in oggetto, laddove il libro propone sottotraccia – al lettore come allo studioso – un ulteriore orizzonte critico di approccio alla materia filmica e quindi alla concezione sia di saggio che di film. Questo perché nel libro di Cordelli (e in Cordelli medesimo) lo scrittore è il critico e il critico è lo scrittore; un binomio noto e naturale, ma raramente personificato e praticato (nell’ambito della critica cinematografica possiamo sicuramente ricordare Maurizio Grande e Tullio Kezich), in parte forse per un progressivo cambio di passo culturale e socio-politico e per una perdita di consapevolezza che ha investito anche il ruolo della scrittura critica e il gusto della parola.

E si può notare quindi come il saggio Che tutto abbraccia. I giorni e i film metta da un lato in discussione la dicotomia specialistica fra scrittore e critico, dall’altro offra il ritratto vero di alcuni registi e opere. Questo non vuol dire che il libro possa essere letto direttamente come una lezione su che cosa significhi fare critica cinematografica, ma indubbiamente costituisce un esempio di cosa sia la critica, anche rispetto alle capacità e alle inclinazioni di chi si approccia a questo ambito di studio e di lavoro.

Allora è proprio il disinteresse a una dichiarazione apodittica e all’auto-incoronazione di maestro  che disvela e permette all’autore l’accesso al ritratto vero di cui si accennava;  un vero relativo, ma che appunto è il deposito del personale lavoro di ricerca della verità nel tratteggio di cineasti come Zurlini, Sternberg, Fassbinder, Angelopulos da cui Cordelli estrapola la caratura cinematografica, che poi è un intreccio fra il modo di essere (umano e artistico) e la relazione con il mondo. Il valore di questo libro è nello scegliere difatti il grado di prossimità con i registi e i film, ma anche con un certo clima culturale e storico durante il quale avvengono gli incontri con il cinema. A tal riguardo, va rilevato che la maggior parte delle riflessioni saggistiche dell’autore è incentrata su cineasti e opere filmiche degli anni sessanta e settanta, con alcune significative puntate sul presente.

L’impressione – già nello scorrere l’indice – è che Cordelli abiti la materia filmica come narratore e protagonista dei suoi romanzi, che non significa solo conoscere (cioè voler sapere) il cinema mirabilmente (e il cinema del Filmstudio mai più riproposto e sconosciuto ai più), ma abitarlo. Questo abito nel volume ha almeno due fogge: la prima è l’habitus cordelliano stilistico analitico-concettuale che, mentre procede, fa avanzare uno sguardo carnale tutt’intorno alla materia filmica; l’abbraccio a cui rinvia il titolo e che Cordelli dedica da critico e da amico a Emidio Greco, è un modo non per unirsi all’altro ma per sottrarvisi, unica maniera (forse la sola) affinché dalla stretta si dischiuda la sostanza. E questa sostanza − che l’autore scrive ma non dice, e che forse non va detta perché sempre differita o spalancata − è in qualche modo l’anima o, come direbbe Cordelli, il pensiero.

Il secondo abito che, metaforicamente, è sotto al primo, rinvia allora al cuore del processo di scrittura e di analisi di questo volume, sintetizzabile come un’intimità di pensiero con la materia cinematografica tout-court. Scrive Cordelli a proposito di Wavelenght (1967) di Michel Snow:

Ecco: dalla indifferenziata materia nasce una struttura, la cinepresa nella stanza, che non ha ancora senso, che è necessariamente indifferente, ma che, per il fatto di essersi resa percepibile, è già suscettibile di vita. La cinepresa è ferma, affidata sempre alla stessa prospettiva, in una vertigine tautologica, in una ridda d’identità (Cordelli 2019).

Il sottotitolo del libro I giorni e i film è anche una doppia citazione nascosta del romanzo di Uwe Johnson I giorni e gli anni e de I giorni e le opere di Peter Handke, quest’ultimo uno fra i registi accanto ad Emidio Greco, Alberto Grifi e soprattutto Hans Jurgen Syberberg (ma anche a Fritz Lang, Straub, Robbe Grillet, Andy Warhol, Buster Keaton  per citare alcuni fra i più noti) che l’autore affronta con una particolare spinta introspettiva. I giorni sono difatti anche i giorni di Cordelli, mentre attraversa il cinema (le proiezioni, le conferenze stampa, i seminari, tranches di vita degli anni ’70) e che sono doppiamente un modo di stare al mondo, mentre il mondo ragiona teoricamente, ideologicamente sul cinema, mentre si fa cinema per ripensare il mondo e mentre il cinema si lascia rifare dalla vita.

Al riguardo nei capitoli dedicati a Greco e a Grifi – in cui per certi versi rientra anche l’analisi sul regista ungherese Andràs Kovàcs – opere come L’uomo privato (Greco, 2007) e Anna (Grifi, 1975) costituiscono un alimento per ragionare sul nodo problematico tra cinema ed esistenza, tra l’io e il mondo, ma non per pervenire a una risposta su cosa sia in assoluto il cinema o come si declini il rapporto fra le coppie, laddove poi Cordelli all’interno del volume compie delle scelte cinematografiche idiosincratiche, estranee alle piste della critica ufficiale e senza esimersi dal ragionare su alcuni autori esclusi.

Di nuovo allora il centro della questione è lo stare al mondo, una condizione che Cordelli ha molto chiara in primo luogo tra sé e il cinema (ma anche ad esempio fra sé, Aprà e Abruzzese), pervenendo quindi a un’elaborazione critica semmai sugli effetti del cinema nella vita e della vita nel cinema. L’assoluta negazione del mondo, il suo pervicace rifiuto come ne L’uomo privato, conduce all’intromissione e alla triste constatazione di non potersi sottrarre ad essa non perché esiste il cinema, ma in quanto esiste il cinema per farcela vedere. In Anna la vita esorbita nel film che si avviluppa su se stesso, diviene niente – né giudizio morale, né giudizio politico, né carnefice né vittima – ma «metaesistenza cinematografica, dove tutto, di nuovo, è necessario».

Un discorso parallelo e per certi versi complementare riguarda la riflessione su Hitler, un film dalla Germania (1977) di Syberberg – un’opera nella e attraverso la quale il discorso cordelliano assume più specificatamente un respiro storico e un piano di struttura ideale; l’affresco wagneriano della Germania hitleriana è per l’autore uno specchio attraverso il quale vedere il principio di male e di morte proprio della civiltà umana (lo spirito tedesco) e del cinema («la giovinezza di un’arte, il cinema, che segna la fine di tutte le arti»).

In quest’ottica anche il problema insito nella scelta del Führer/Parsifal si risolve nella messa a fuoco del concetto, parola cardine del modus cogitandi di Cordelli e che trova in Syberberg il sublime inveramento. Il concetto – all’inverso delle «avanguardie fredde e calde» – è per l’appunto il disinteresse per «l’ingenua fede» come ad esempio avviene nel cinema hollywoodiano, ovvero parafrasando Cordelli : «Questo eroico gesto wagneriano tra chi si accosta e chi viene accostato è lo spettacolo supremo, inudibile musica delle sfere che, mentre riempie, svuota d’ogni indulgenza – poiché non c’è più distacco o diversità possibile – nei confronti di qualsiasi atteggiamento terrestre, di guerra». Un’ultima notazione va riservata a Peter Handke, autore di umori letterari assai congeniali a Cordelli, qui considerato nella veste non abituale di regista del film La donna mancina (1978) tratto dal suo libro omonimo.

Handke lo scrittore che non scrive più… non è altro che quella donna, quella persona che ha rinunciato per sempre alla parte maschile di sé, la parte che parla e interpreta il mondo, obbligandosi a viverlo o a non viverlo che è la stessa cosa… se la parola dunque non può più testimoniare la “storia”, può accettare la sua riduzione a immagine.

Da quest’analisi sembrerebbe che Cordelli critico e scrittore abitato dalla parola, desista di fronte alla potenza dell’immagine cinematografica; qui non necessariamente da intendersi come dichiarazione di una maggiore forza espressiva del cinema rispetto alla letteratura, ma come constatazione che non tutto il visibile è visibile e quindi l’invisibile percepito dal cinema – secondo la maniera di Cordelli e quindi attraverso i film da lui proposti e i suoi cineasti che presenta in schizzi d’artista (si veda ad esempio l’analisi su Godard e Jancsó) – diventa discorso su immagini che non sono immagini della vita, del mondo, della storia, ma immaginario di un regista che, in quanto tale,  necessita di essere colto dallo scrittore.

Riferimenti bibliografici
U. Johnson, I giorni e gli anni, Feltrinelli, Milano 2002.

Franco Cordelli, Che tutto abbraccia. I giorni e i film, Falsopiano, Alessandria 2019. 

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