Passeggiare, scrivendo un diario. Sullo sfondo semplici case, muri scrostati, barche. E poi il personaggio arriva in un campo di calcio, si volta a vedere se c’è qualcuno, ed inizia a calciare in alto un pallone, abbandonato lì nel campo. Una volta, una seconda, più volte: vederlo salire, aspettarlo scendere. Il punto di vista si allontana, l’uomo continua a calciare, ma oramai è entrato nel paesaggio. Un paesaggio d’acqua: il mare con onde leggere, un canale di acqua stagnante, e pozzanghere lungo tutto il campo.

Il Nanni Moretti di “Isole”, episodio centrale di Caro diario, ci riconsegna in un’unica sequenza il processo di conquista di una libertà progressiva, che passa per il far girare a vuoto la prassi. La libertà del passeggiare su cui si innesta quella dello scrivere, ed entrambi si convertono nel gesto sportivo solitario, che vanifica l’azione vera e propria. Non ci sono squadre che possano giocare, e la palla si trasforma in una sorta di rocchetto (il fort/da freudiano) che torna sempre a sé e che dà vita ad un gesto ludico intransitivo: calciare e tornare a calciare, per il semplice piacere infantile di farlo.

Passeggiare per il personaggio significa deambulare alla ricerca di se stessi e della propria ispirazione. Atto autoriflessivo, in cui il soggetto contempla il proprio essere al mondo nell’attraversamento libero dello spazio. E lo stesso atto riflessivo riguarda la scrittura diaristica, scrivere di sé per sé, nella coincidenza di soggetto ed oggetto. Così come giocare da soli a palla attesta il piacere puro che senza competizione alcuna fa sentire a casa propria il soggetto.

Un soggetto dunque che contempla se stesso passeggiando, scrivendo, giocando. In questo modo riconsegna a sé la sua potenza di vita, senza compiere azione alcuna. Di questa contemplazione si fa carico anche il punto di vista di Moretti regista, che inscrive e include alla fine il personaggio (Moretti attore) nel paesaggio, oggetto di mera contemplazione.

Nell’attraversamento di un paesaggio insulare e meridiano, la solitudine del personaggio diventa la via per l’acquisizione libera e riflessiva di uno stare bene con sé, di un sentirsi a casa nel mondo, nel qui ed ora del passeggiare, dello scrivere, del giocare. E il cinema è capace di raccontarci questa potenza di vita riflessiva.

Esattamente l’opposto del nostro attuale “restare a casa”, che è di fatto un non sentirsi mai veramente a casa, espropriati di ogni vera possibilità di contemplarci e ritrovarci. Espropriati di ogni possibilità di giocare. E di raccontarci nel nostro quotidiano: nonostante tutti i tentativi e i progetti che in questi giorni ci vengono annunciati. Ma i dispositivi di controllo e quelli disciplinari che caratterizzano il nostro presente aprono ad un immaginario dove il distopico ha assorbito il commedico. E dove la vita prende la forma obbligata della preservazione e della cancellazione del contatto nella insularizzazione sociale diffusa.

Tornare a vivere significa allora e più di tutto poter tornare a calciare una palla in un campo vuoto. Così, solo per il piacere di farlo.

Caro diario. Regia: Nanni Moretti; soggetto e sceneggiatura: Nanni Moretti; fotografia: Giuseppe Lanci; montaggio: Mirco Garrone; interpreti: Nanni Moretti, Renato Carpentieri, Antonio Neiwiller; produzione: Sacher Film, Banfilm – La Sept Cinéma; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, Francia; durata: 100’; anno: 1993.

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