Darmstadt, 1951. Un giovane Karel Goeyvaerts esegue una rivoluzionaria sonata, scritta utilizzando il “principio del numero sintetico”. L’allora docente Adorno fatica a comprendere il senso di quell’operazione, chiedendo all’allievo se fosse possibile descriverla secondo categorie teoriche tradizionali. Karlheinz Stockhausen, anch’egli vent’enne, interviene: “Professore, lei sta cercando un pollo in un quadro astratto” (Iddon, pp. 55-57). Stiamo parlando del secondo movimento della Sonata numero 1 per due pianoforti, non dell’ultimo film di Korine, ma forse è questo che è Baby Invasion: una composizione rivoluzionaria, che sfugge dalla logica dei tradizionali approcci realizzativi e di lettura. «This is not a film. This is a game». Eppure, è cinema. Nuovo, differente, ma pur sempre cinema.
Fin dalla comparsa di Aggro Dr1ft (2023) alla scorsa edizione del Festival di Venezia, negli ambienti cinefili si è parlato tanto, ma non abbastanza, dei confini semantici del cinema e della nascita di una nuova (neo)avanguardia promossa da Korine. Film divenuto in poco tempo un vero e proprio caso, bramato dal pubblico con trepida impazienza, in grado di minare le ormai fragili certezze formali e paratestuali del sempre più sfuggente “oggetto cinematografico”. Si pensi, ad esempio, alla scelta distributiva di svincolare il film dalla sua tradizionale sala, per inserirlo all’interno dei contesti spaziali dei nightclub americani. Decisione che, con le dovute differenze, riporta alla memoria quella di Andy Warhol di inserire i propri film nei luoghi deputati dell’arte contemporanea (le gallerie) a inizio anni sessanta.
Presentato Fuori Concorso, Baby Invasion si pone come perfetta prosecuzione del lavoro iniziato con Aggro Dr1ft. Ancora una volta ci si svincola dai confini che per convenzione sono considerati propri del cinema, attraverso un processo di assimilazione delle altre logiche mediali, in particolare videoludiche e social (dai reel ai filtri facciali). Un’opera che, nonostante le similitudini, non appare come una copia carbone della precedente, bensì una sua radicalizzazione.
Dopo una cornice che fa da apertura e chiusura – in cui una sviluppatrice con indosso un visore VR racconta di aver realizzato un videogioco ultrarealistico, sfuggito al controllo a causa di un gruppo di hacker – siamo invitati, o costretti, a osservare come spettatori una nuova realtà in cui i confini tra digitale e reale, tra mondo videoludico e mondo fenomenico, tra computer grafica e live action, vengono meno. Il modo in cui il falso videogioco si mostra restituisce un effetto straniante che impedisce una qualsiasi forma di sospensione dell’incredulità, rifiutando l’approccio ingannevole di opere let’s play come Petscop (Domenico, 2017-2019), in cui gli elementi testuali e paratestuali – commenti e tempi di caricamento su Youtube – sono sfruttati per alimentare la veridicità del gioco perduto e ritrovato, ingannando il pubblico.
Unite da passaggi in forma screenlife, le varie sessioni dello shooter in prima persona sono caratterizzate dai soliti leitmotiv che definiscono l’immaginario cinematografico di Korine. L’ambientazione estiva della west coast, in cui risiedono i complessi residenziali che fungono da hub o da sessioni di gioco. Il mascheramento, dove il tipico passamontagna è sostituito da filtri facciali – volti di neonati con delle corna, diventate simbolo dell’etichetta EDGELORD – che nascondono il volto dei personaggi controllati dai videogiocatori. La filastrocca o preghiera, qua recitata da una voice over che accompagna il percorso di un bianco coniglio carrolliano. Sono elementi che contribuisco a restituire il brand autoriale, senza però scadere nella reiterazione di un passato già realizzato.
Se con il postmoderno si sviluppa la consapevolezza che tutte le storie sono state raccontate, che non si possa più dire nulla di nuovo e si debba procedere su binari già tracciati, Aggro Dr1ft e Baby Invasion sembrano avere il coraggio di affermare il contrario. Nell’odierno panorama mediale occorre ritrattare questa convinzione. Tracciare nuovi binari è possibile tramite una profonda ristrutturazione dei caratteri fondanti e costituivi di ciò che è considerato cinema, sfruttando i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo.
Korine mostra una cosciente lucidità nel cogliere e rispondere al mutato contesto spettatoriale. Pubblico e società di oggi non sono più quelli di prima e il cinema non può ignorarlo. Non si tratta nello specifico di teoria del rispecchiamento – l’idea che i film rispecchino la società che li ha prodotti dandoci la possibilità d’avere accesso all’inconscio collettivo junghiano – quanto piuttosto di un’arte o di un prodotto che evolve insieme al mondo che lo produce, cercando di non restare ancorato, incatenato, a vecchi regimi teorici e produttivi. L’apparente “non linguaggio” è un ennesimo tassello evolutivo del medium, l’adattarsi a un tempo caratterizzato da una cultura della visione profondamente differente, schizofrenica, disattenta, rispetto al passato, basata sui principi di velocità e scelta.
Alcuni urleranno al decadimento culturale, altri all’imbarbarimento, secondo logiche che han sempre teso a svilire ciò che si contrappone al canone o alla tradizione, considerati più nobili. Meglio o peggio che sia (non sta a noi stabilirlo, sempre che si possa fare), è la cultura delle live-stream e dei gameplay, non più quella delle grandi narrazioni letterarie e cinematografiche. Laddove Aggro Dr1ft impone allo spettatore un certo sguardo, un certo modo di osservare – non vi è una vera trama, ma compaiono pur sempre figure riconducibili a personaggi e un percorso da seguire da un punto iniziale a uno finale – Baby Invasion se ne libera offrendo massima libertà, emulando le modalità di fruizione e percezione dei nuovi media (Twitch e TikTok). Non ci sono personaggi, non ci sono storie da seguire, non c’è progressione. Emblematico, in questo senso, il deus ex machina che pone fine al film.
Lo spettatore contemporaneo a cui Korine si rivolge è abituato a un grado di interattività tale da esercitare un controllo pressoché totale su cosa, quanto e come guardare. La costrizione dello sguardo lascia così il passo a un’illusoria interattività – la sala e la visione collettiva, scontato dirlo, non permettono un reale intervento diretto – che sembra restituire una nuova definizione del montaggio interno di Alexandre Astruct. La moltiplicazione di stimoli ed elementi eterogenei, realizzata grazie alla tecnica del compositing che riproduce l’interfaccia di una sessione in live streaming, permette allo spettatore di scegliere da sé cosa osservare e cosa ignorare. Si possono seguire il gameplay, il percorso spirituale legato al coniglio, i messaggi mandati dalla chat a lato schermo, il rapporto tra la dinamicità delle immagini e la persistente musica techno.
Ma è anche una cultura che ha visto un processo di banalizzazione, spettacolarizzazione e (forse) mitizzazione della violenza. Se in Spring Breakers – Una vacanza da sballo (2012) le protagoniste agiscono in un mondo, o meglio in una parentesi estiva, percepita e vissuta secondo le norme che regolano serie videoludiche come Grand Theft Auto, in Baby Invasion prende forma un vero mondo alternativo simulacro di quello reale. La dimensione virtuale, effettiva o metaforica che sia, permette di superare le barriere etico-morali, tanto da far accompagnare le scene di violenza da elementi pop-up dallo stile allegro e kawaii.
Baby Invasion diventa allora una presa di coscienza della spettatorialità postmediale, con cui Korine continua il suo percorso di ristrutturazione del cinema e di celebrazione dell’immagine moderna, digitale, rifiutando di attingere alle categorie teoriche e produttive tradizionali. Un film che non ricerca il bello, che prosegue l’abbandono del peso linguistico e che, soprattutto, rivendica a tutti i costi e senza paura il suo essere contemporaneo.
Riferimenti bibliografici
M. Iddon, New Music at Darmstadt. Nono, Stockhausen, Cage and Boulez, Cambridge University Press, Cambridge 2013.
Baby Invasion. Regia, sceneggiatura: Harmony Korine; musiche: Burial; produzione: EDGLRD, Picture Perfect; origine: USA; durata: 80’; anno: 2024.