Sulla televisione l’attorialità italiana non ha mezze misure. Croce e delizia, il piccolo schermo è spesso stato una necessità nascosta e solo talvolta, in rari casi, un momento valorizzato. Sono considerazioni che in vari modi attraversano tutta l’articolata storia parallela di piccolo e grande schermo nel contesto nazionale. Ma questa forte duplicità vale di più, e colpisce di più, quando si guarda alle vicende recenti, agli ultimi decenni, con la televisione che lentamente occupa un posto sempre più centrale nel sistema dei media del Paese e con il divismo del cinema, in parallelo, che si trasforma in un forzato e ogni volta ribadito anti-divismo, senza più mito ma rigonfio di velleità artistiche (Carluccio e Minuz, 2015). È in particolare curioso, e significativo, che siano soprattutto alcune generazioni di attori già cresciuti entro un sistema televisivo e mediale del tutto commerciale – si possono indicare, in modo un po’ impreciso, quei performer nati tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta, con un esordio negli anni novanta o a cavallo dei duemila – a modellare le loro carriere attorno a un atteggiamento spesso ambivalente e sempre contraddittorio rispetto alle molte opportunità offerte dal piccolo schermo.

Su un primo versante, così, si può facilmente vedere come i primi passi per molti di questi attori siano avvenuti all’interno di contesti televisivi, ma anche come questi esordi scompaiano molto spesso dalle biografie professionali e dal racconto delle radici fatto dagli attori stessi, una volta più noti. Da un lato, si colgono le occasioni di prime esperienze subito professionali, andando incontro a un pubblico largo e trasversale, proprie di un contesto concorrenziale più ricco che in passato e che compete anche nella produzione di fiction originale. Dall’altro, però, in questa fase storica il mezzo televisivo non è ancora pienamente riscattato dal discorso critico, e appena possibile queste esperienze in tv, di industria più che di arte, in qualche modo sempre di compromesso, finiscono allora sotto il tappeto, nell’oblio.

Gli esempi possibili sono tanti, e proprio tra gli attori di punta. Kim Rossi Stuart esordisce da bambino, ma trova ampia popolarità, ventiduenne, nel ruolo del principe Romualdo nella miniserie tv di Fantaghirò (Canale 5, 1991-1993); la sua carriera spicca presto il volo, e già le stagioni successive devono ricorrere a scarti del girato precedente e a rappresentazioni fotografiche per conservare il personaggio senza di lui; una visione rituale, di culto, con un interesse che si è di recente rinnovato all’approdo di tutte le puntate su Netflix. O si pensi a Elio Germano, che nel 2000 partecipa per un ciclo di puntate alla seconda annata di Un medico in famiglia (Raiuno, 1998-2016) nel ruolo di “Er Pasticca”, amico del cugino Alberto, un po’ losco e apparentemente problematico, ma in realtà di buon cuore, e che l’anno successivo è uno dei protagonisti di Via Zanardi, 33 (Italia 1, 2001), tentativo solo in parte riuscito di portare in Italia il modello di Friends – Germano è Ivan, imbranato studente di scienze politiche, grande appassionato di calcio, triste perché da poco lasciato dalla fidanzata storica. E sempre nella fiction rivolta a un pubblico adolescenziale esordisce Riccardo Scamarcio, uno dei ragazzi protagonisti sui banchi di Compagni di scuola (Raidue, 2001). In tutti questi casi, la televisione è una specie di test, un modo comodo per farsi notare sia dal pubblico sia dall’industria; ma è anche una “falsa partenza”, incoerente con la figura pubblica successiva, a cui guardare con tenerezza, imbarazzo, o un misto tra le due cose.

Traiettorie simili valgono anche per molti altri attori e attrici che si sono fatti le ossa in televisione, non solo nella fiction ma in numerose trasmissioni di intrattenimento. In questo caso c’è più gradualità, in una sorta di riconquista della legittimità attoriale che va avanti passo dopo passo, per più smottamenti successivi invece che con una cesura netta a rimuovere il passato. È il caso di Claudia Gerini e Ambra Angiolini, attrici di punta del cinema italiano decenni dopo gli esordi nel contenitore pomeridiano delle reti commerciali Non è la Rai (Canale 5-Italia 1, 1991-1995); o più recentemente di Miriam Leone, che nel 2008 vince Miss Italia (e, in modo rivelatore, la fascia di Miss Cinema) e poi conduce per molti anni i programmi mattutini della Rai (Uno Mattina Estate; Mattina in famiglia; Uno Mattina in famiglia, 2009-2013), prima di spostarsi convintamente nella fiction e nel cinema nazionali; ancora, Luca Argentero comincia la carriera con una partecipazione da concorrente alla terza edizione del Grande fratello (Canale 5, 2003).

Anche il comico televisivo funziona bene come serbatoio di performer che poi possono approdare in modo stabile al cinema, sublimando le loro esperienze televisive nel salto in un altro campionato (e in un altro mestiere) e sfruttando la fama e la credibilità raggiunte sul piccolo schermo con i ritmi più lenti e meno massacranti dei film: vale per l’eccezione Checco Zalone, certo, ma pure per nuovi pilastri della commedia cinematografica (anche per incassi) come Fabio De Luigi o Paola Cortellesi. Ci si allontana dalla frenesia creativa e operativa della tv, e si capitalizza, prolunga e rinnova il successo già ottenuto.

Da una parte, così, la carriera televisiva “alla sorgente” è di solito nascosta, o comunque ridimensionata, dalle attrici e dagli attori italiani che riescono ad approdare al cinema, quasi fosse un peccato di gioventù o una macchia sul curriculum. Dall’altra, però, soprattutto in anni recenti, e parallelamente sia a un aggiustamento dell’industria audiovisiva nazionale sia alla riqualificazione di (certa) televisione dentro al dibattito critico e giornalistico, il piccolo schermo sembra trovare un rinnovato spazio e valore. Un secondo versante del rapporto tra attorialità italiana contemporanea e televisione è così costituito dallo spazio, autonomo e prestigioso, che una porzione della produzione tv italiana è riuscita a ritagliarsi nello scenario mediale degli ultimi anni, nel nostro e in altri Paesi europei (Barra, Scaglioni 2021). La fiction diventa premium, pregiata, “di qualità”, da non perdere: ottiene un pubblico magari più contenuto ma “giusto”, si propone a nicchie economicamente e culturalmente attrezzate, circola sempre più anche a livello internazionale, insomma trova rinnovata validazione, sullo stesso scaffale di film e romanzi.

Se prima le narrazioni televisive, soprattutto generaliste, costituivano il coronamento di una carriera e il rinnovato aggancio sul pubblico popolare – il Lino Banfi di Un medico in famiglia, il Terence Hill di Don Matteo (Raiuno, 2000-in corso) – o rischiavano di vincolare troppo l’attore a un personaggio – come con Il commissario Montalbano (Raidue-Raiuno, 1999-in corso) di Luca Zingaretti –, oggi le produzioni tv sono situazioni win win, in cui la narrazione sfrutta il prestigio dell’attore cinematografico e insieme l’attore si serve della serialità per dimostrare e accrescere il suo valore. Inizialmente è stata soprattutto la posizione di Sky, impegnata dal 2007 nella produzione originale di fiction, ma nel decennio seguente la tendenza si è allargata sia alla classica generalista sia alle piattaforme on demand.

E così Elio Germano (ancora lui) è il protagonista della miniserie Faccia d’angelo (Sky, 2012); Kim Rossi Stuart porta sulle sue spalle i quattro episodi di Maltese. Il romanzo del commissario (Raiuno, 2017); Alessandro Gassman (a dire il vero più laico nel rapporto con la tv lungo tutta la carriera da “figlio d’arte”) è al centro de I bastardi di Pizzofalcone (Raiuno, 2017-in corso) e di Io ti cercherò (Raiuno, 2020); Miriam Leone coltiva in parallelo la pay con il ruolo di Veronica Castello in 1992-1993-1994 (Sky, 2015-2019) e la free con il nordic noir all’italiana di Non uccidere (Raitre, 2015-2019); e Luca Argentero raggiunge una piena credibilità di attore con il successo grande e inatteso di Doc. Nelle tue mani, perfettamente allineato a uno spirito del tempo pandemico (Raiuno, 2020-in corso). E la lista, in costante aggiornamento, è ancora lunga…

Non è un caso, allora, che gli attori che muovono i primi passi importanti nella seconda metà degli anni duemila, già in questo contesto mutato, risolvano o persino annullino la contraddizione tra la televisione precedente, da nascondere, e quella successiva, da enfatizzare. Attori come Alessandro Borghi e Luca Marinelli si muovono indistintamente tra il cinema e la tv (e, parallelamente, tra la dimensione italiana e quella globale): il primo, per esempio, con le tre stagioni di Suburra. La serie (Netflix, 2017-2020) e con Diavoli (Sky, 2020-in corso); e il secondo superando la difficilissima prova della miniserie biografica del primo canale, con Fabrizio De André. Principe libero (Raiuno, 2018). Ma questo discorso ha carattere più generale: nello scenario contemporaneo, forse per la prima volta, la celebrità cinematografica italiana si appropria anche della televisione, pronta a considerarla in modo laico e neutrale, e addirittura sfrontato, come una parte importante e necessaria di ogni carriera di successo.

Il piccolo schermo resta l’approdo promozionale più importante, quello che da solo raggiunge il grande pubblico, per presentare progetti e prodotti che stanno altrove – il mestiere più antico della tv, fin dalle origini. E ora è anche e sempre più un tassello cruciale di biografie personali e professionali già ibride da molto tempo, ma come mai prima mescolate per comprendere fiction e intrattenimento, piattaforme e servizio pubblico, e per aggiungere pubblicità e videoclip, social e dirette digitali. Digeriti molti cambiamenti, il piccolo schermo può allora finalmente rientrare – e tutto insieme – nel curriculum di un attore italiano di successo. Senza complessi di inferiorità, senza senso di vergogna, talvolta persino con una punta di orgoglio.

Riferimenti bibliografici
P. Armocida, A. Minuz, a cura di, L’attore nel cinema italiano contemporaneo. Storia, performance, immagine, Marsilio, Roma 2017.
L. Barra, Star a ripetizione. Modelli di celebrità nella fiction italiana contemporanea, in “Bianco e Nero”, n. 581, 2015.
L. Barra, M. Scaglioni, a cura di, A European Television Fiction Renaissance. Premium Production Models and Transnational Circulation, Routledge, London 2020.
G. Carluccio, A. Minuz, a cura di, Nel paese degli antidivi, in “Bianco e Nero”, n. 581, 2015 .

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