Quando il cinema documentario incontra il teatro lo fa sia con un racconto più classico, sia, spesso con esiti più interessanti, con uno sguardo inedito, che prova a creare un linguaggio diverso, quasi un genere a sé stante. Segue quest’approccio Aspettando Re Lear, in cui Alessandro Preziosi – regista e co-sceneggiatore, oltre che interprete – tenta un passo ulteriore sperimentando l’interazione con altre arti, incrociando in particolare alcune tendenze dell’arte contemporanea.
La versione teatrale del capolavoro shakespeariano, che si avvale dell’adattamento di Tommaso Mattei, viene letta, decostruita, analizzata attraverso tre linee differenti: quella della rappresentazione scenica, cinematografica e delle arti visive. Linee che si intersecano continuamente nel film, dando vita, a loro volta, ad altre visioni, che si alternano e si sovrappongono, sperimentando appunto. Nonostante possa apparire come un’operazione complessa, in realtà, proprio l’unione di varie forme artistiche, permette al documentario di raggiungere una più ampia comprensibilità: unendo “l’alto” della classicità a un approccio più realistico delle immagini in ambiti quotidiani, girate tra i vicoli di Venezia (città in cui lo spettacolo ha debuttato nel 2023, al Teatro Goldoni).
Oppure accostando i totali ai primissimi piani in cui l’attore parla direttamente in camera, le scene in esterni (come quelle dei personaggi che vagano nel labirinto) a quelle, identiche, però ricostruite sul palco. Linguaggi cinematografici che si integrano, fornendo prospettive diverse di uno stesso momento o di uno stesso concetto. Come nella scelta di proporre le fasi di lettura del testo, per poi far seguire una scena teatrale, che non termina in palcoscenico, ma a volte continua dietro le quinte, nei camerini, come se ogni attore portasse con sé il proprio personaggio, anche fuori dal teatro stesso, tra le calli, come si è detto. O ancora, l’azione in sala prove, in bianco e nero, si alterna a quella sul palco, a colori, come in un contrasto negativo/positivo o inganno/verità.
C’è il making of, c’è la soggettiva, ci sono le sovrapposizioni, le rifrazioni, c’è il teatro che si fa cinema, c’è l’uso della città come teatro. Differenti percorsi che si inseguono, incuriosendo, facendo entrare il pubblico – con naturalezza – dentro lo spettacolo, senza che ci sia cesura tra la creazione e la messa in scena, e dentro i personaggi, che nascono sotto gli occhi dello spettatore e si materializzano nella mente e nel corpo degli attori.
Il linguaggio utilizzato, dunque, non in chiave estetica, ma in chiave interpretativa, sottolineando la nuova visione che, già con la versione teatrale, si è voluto dare all’opera di Shakespeare: non tanto uno sguardo sulla lotta per il potere, ma sui dilemmi di un padre, sul rapporto tra generazioni, sulle varie sfaccettature dell’umano. Non a caso, i momenti che il film riesce ad evidenziare con maggiore intensità sono proprio quelli dei confronti di Lear e di Gloucester con i rispettivi figli.
Ma forse l’innovazione più importante è quella che vede includere nell’analisi dello spettacolo anche l’aspetto più strettamente artistico, ovvero l’apporto di Michelangelo Pistoletto: non solo come creatore delle opere utilizzate nella scenografia, ma anche come unico personaggio intervistato nel documentario e le cui parole divengono concetti filosofici, che si integrano con il senso profondo di questa lettura. Ed è così che, attraverso la spiegazione che Pistoletto dà del senso delle stesse opere, di ogni elemento scenico in rapporto con l’azione e i personaggi, lo spettacolo trova un’altra prospettiva, forse quella portante: la metafora dell’arte. Con l’illustrazione degli elementi e del significato dello spazio, Pistoletto interpreta la visione complessiva che Preziosi dà al dramma: le porte che recano in alto la scritta “figlio” sottolineano l’essenza di colui che le attraversa, che diviene poi padre.
Anche questi inserti non creano uno stacco ma, raccordati proprio dagli elementi scenici, realizzano un continuum, sia visivo, che di analisi sul testo. La scultura, l’installazione che configura artisticamente lo spazio, si unisce alla lettura cinematografica che analizza e rompe quegli stessi spazi, ricreandoli ed intersecandoli: guardandoli in soggettiva o superando le pareti; oltrepassando il tempo, dalla storia alla contemporaneità; oltrepassando anche la rappresentazione in costume, sconfinando nella realtà, come nel caso delle immagini dell’incendio della Venere degli stracci, dello stesso Pistoletto, avvenuto a Napoli nel 2023.
Una narrazione stratificata, quindi, che tuttavia – come detto all’inizio – non diviene ostica, ma offre più livelli di lettura, grazie a linguaggi coinvolgenti (rimarcando alcuni passaggi, soprattutto i monologhi dei padri, evidenziati dalle prove di Preziosi/Lear e di Nando Paone/Gloucester), rendendo più vicini al pubblico temi e parole universali.
Aspettando Re Lear. Regia: Alessandro Preziosi; sceneggiatura: Tommaso Mattei e Alessandro Preziosi; fotografia: Maura Morales Bergmann; montaggio: Sara Zavarise; musiche: Giacomo Vezzani; interpreti: Alessandro Preziosi, Nando Paone, Federica Fresco, Roberto Manzi, Valerio Ameli, con la partecipazione di Michelangelo Pistoletto; produzione: Pato Film, in associazione con Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e con la collaborazione del Teatro Stabile del Veneto; origine: Italia; durata: 86′; anno: 2024.