Per fortuna il governo si preoccuperà di proporre una legge attuativa prima di varare la nuova App Immuni, che promette di monitorare la dinamica di eventuali contagi futuri. Si è probabilmente intuito il rischio di un cortocircuito tra immunità epidemica e immunità giuridica. In un precedente articolo apparso qui mi ero permesso di rilevare che, nell’uso di tecnologie di tracciamento contro il rischio del contagio, ne va di un dispositivo giuridico, il quale, se mal congegnato, rischia di essere messo automaticamente fuori gioco da altri dispositivi di sorveglianza e sanzione. Allargherei il discorso e proporrei di definire il dispositivo che può rendere accettabile l’uso di queste tecnologie a questo scopo non semplicemente “giuridico” ma in un senso più ampio “civile”.

Con questo aggettivo un po’ fuori moda intendo il fatto che la nostra vita associata, oltre a essere sottoposta a leggi in linea di principio note a tutti, prevede che la deliberazione di dette leggi avvenga secondo il principio di rappresentanza dei cittadini: questi ultimi non formano un corpo regolato giuridicamente, ma una vera e propria “società civile”. Tale riformulazione del problema relativo al rapporto tra governanti e governati precede l’insorgere dell’Illuminismo e si potrebbe dire che ne anima tutta la riflessione politica, da Rousseau a Kant, per giungere fino alla Rivoluzione francese. L’Illuminismo ha posto l’accento sull’importanza di questo luogo e momento precedente alla decisione politica propriamente detta, e tuttavia costitutivo della sua rappresentatività.

Non si tratta semplicemente di stabilire regole affinché i governanti siano scelti periodicamente dai governati: il punto è che devono esistere forme e istituzioni tali da consentire vigilanza, valutazione e critica (o plauso) degli atti e delle scelte di chi governa. Più profondamente, la società civile è il luogo in cui, sebbene in modo implicito, si rinnova continuamente il “patto sociale” che lega i cittadini tra loro e i governanti con i governati. È una questione che la teoria politica contemporanea ha ereditato, in particolare da Kant, dandone formulazioni originali, dal “velo d’ignoranza” di Rawls all’“agire comunicativo” di Habermas. In Italia, durante gli anni di crisi economica, sociale e politica che hanno preceduto la pandemia, è stata più volte invocata la necessità di rinnovare questo patto: ora il virus ci pone di fronte alla necessità dei fatti, oltre le parole. Di questo si tratta, prima ancora che di regolare l’uso dell’App Immuni con una legge; e quello che continua a preoccupare nella sua futura, e ancora incerta, implementazione è la mancanza di chiarezza in merito alla “cosa pubblica” di cui dovrebbe discutere la società tutta.

La funzione attribuita all’App è definita con un’espressione inglese: contact tracing, “tracciare i contatti”. Proprio per rispondere alle critiche, è stato assicurato che la privacy degli utenti, tanto dei sospetti positivi quanto dei possibili contagiati, sarà tutelata: l’App segnalerà i contatti, ma non renderà trasparenti i luoghi fisici in cui gli utenti sono stati e quindi, implicitamente, le loro abitudini, i loro gusti, quello che hanno fatto ecc.; l’App non fornirà nemmeno l’identità degli utenti positivi che potrebbero aver contagiato altri utenti, ma si limiterà a segnalare il fatto che è avvenuto un contatto a rischio. È una cautela doverosa, ed è meritorio l’aver chiarito questo punto, anche alla luce dei rischi, paventati dall’opposizione in Parlamento, di una possibile cessione di fatto di dati significativi, commercialmente e non solo, ad aziende private: è chiaro infatti che una simile tecnologia potrà essere progettata e implementata solo in sinergia con l’industria delle comunicazioni.

Questo è però, a mio avviso, solo l’aspetto giuridico del dispositivo che dovrebbe regolare l’uso dell’App: al contrario appare molto vago il senso dell’operazione. Detto molto concretamente, cosa verrebbe al cittadino comune dalla sua accettazione e cosa dovrebbe fare, qualora gli fosse comunicato l’avvenuto contatto a rischio? Come suggerivo nell’articolo già citato, l’introduzione di questa nuova App sembra essere anticipata da una “immagine dialettica” che ne prefigura i poteri. Tale immagine sembra dominata da due oggetti, che occupano ormai da settimane il nostro immaginario mediatico comune: la “patente d’immunità” e la “zona rossa”. Come individui, aneliamo a ottenere la patente, il documento ufficiale che decreta la nostra salute e ci permette di circolare; come comunità locali, temiamo il rischio di essere dichiarati zona rossa, di diventare la nuova Codogno, il nuovo Vo’ Euganeo. Anche se non sono menzionati esplicitamente – ma a “voce dal sen fuggita” è venuto di dire: o è così o è il lockdown a oltranza – questi sono i termini entro i quali la maggior parte di noi elabora la propria reazione di assenso o dissenso alla proposta dell’App Immuni.

Paradossalmente Immuni non ci fornirà alcuna patente d’immunità, creerà anzi il meccanismo opposto: finché non saremo contattati, finché, cioè, saremo immuni dalla legge, ci sentiremo immuni dal virus. L’emozione che intonerà questa condizione esistenziale e civile non sarà la passione del “terrore”, di cui parla Hobbes nel Leviatano; al contrario sarà il sentimento di una “insocievole socievolezza”, che è per Kant l’ineliminabile base antropologica del progresso umano, in quanto anima il singolo ad affermarsi, anche a scapito degli altri. Solo che il compito storico della società civile, se vogliamo di un progresso che non sia solo economico o tecnico ma anche politico, dovrebbe essere di neutralizzare nel tempo gli effetti peggiori di questo antagonismo antropologico e di incanalarlo verso l’attuazione del bene comune.

Quello che si incarna sullo sfondo del dispositivo giuridico, politico e persino morale alla base di Immuni è invece il segnale di una regressione della nostra antropologia civile. Nella serie Rebibbia Quarantine, Zerocalcare ha colto con chiarezza i segnali di questa insofferenza diffusa per l’altro, sancita dal marchio della legittimità sociale. Al confronto, un “Leviatano” capace di decidere lo stato d’eccezione in nome della “salute pubblica”, magari istituendo zone rosse temporanee, appare non solo più razionale sul piano sanitario, ma anche inaspettatamente più capace di preservare un ethos condiviso. Resta il fatto che l’epidemia ci lascerà con l’urgenza di soddisfare un bisogno di creatività politica, dando vita a un nuovo “patto virale” tra governanti e governati.

Riferimenti bibliografici
R. Esposito, Immunitas: protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2020.
J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, 2 voll., il Mulino, Bologna 1986.
I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Id., Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Roma-Bari 1995.
J. Rawls, Teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1982.
C. Schmitt, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in Id., Le categorie del ‘politico’, il Mulino, Bologna 1972.

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