La tensione claustrofobica che si dipana progressivamente nelle sequenze dell’ultimo film di Piero Messina è tutta contenuta già nel primo frame: una donna in piedi, inquadrata di spalle, fissa un muro. Con l’allargarsi dell’inquadratura, però, si comprende come la donna sia in realtà di fronte a una porta che si accinge ad aprire. Another End, presentato in concorso alla 74° Berlinale, è ambientato in una nebbiosa e anonima città del futuro che, sebbene organizzata in enormi spazi e affollata da superfici riflettenti, pare ripiegarsi su sé stessa in una soffocante chiusura spaziale. Un’ambientazione funerea che ricorda la grande e vuota villa della campagna siciliana in cui è stato girato il penultimo film di Messina: L’attesa (2015).

Another End condivide con L’attesa non solo l’atmosfera delle ambientazioni, ma anche il tema centrale della narrazione. Entrambi i film, seppure in maniera differente, affrontano l’argomento della morte e il conseguente lavoro del lutto. L’attesa, infatti, è la storia di Anna (Juliette Binoche) che, reduce dall’improvvisa perdita del figlio Giuseppe, trascorre dei giorni con la fidanzata di quest’ultimo, invitata da lui in Sicilia prima del decesso. Se in L’attesa, come suggerisce il titolo, il lutto è gradualmente e naturalmente elaborato dalle due protagoniste, in Another End invece la metabolizzazione della perdita è controllata e pianificata tramite un programma di “simulazione”.

L’esperienza della morte, nonostante sia necessariamente parte immutabile della vita umana, varia nei modi d’essere percepita ed elaborata. Con l’avvento della tecnologia digitale, il dolore per la perdita di una persona cara si sviluppa in nuove dimensioni percettive: la permanenza del ricordo e la paura dell’oblio si sono ricalibrati secondo la nostra vita digitale e Another End, a passo di distopia, medita proprio su come il modo di pensare la morte sia cambiato e possa ancora cambiare.  

L’elaborazione del lutto è sempre stata connessa a riti collettivi e al sovrainvestimento di aspettative e ricordi legati alla persona defunta. Nei casi in cui la perdita è particolarmente complessa da gestire, i sovrainvestimenti potrebbero sfociare in transitori deliri allucinatori, vere e proprie produzioni fantasmatiche e virtuali della nostra mente soffocata dal dolore. Con l’evoluzione tecnologica, questi due caratteri psichici legati all’elaborazione della perdita, non scompaiono, ma si rimodulano facendo i conti con l’onnipotenza digitale: da un lato la condivisione del nostro dolore con l’altro avviene attraverso le reti informatiche e dall’altro il naturale sovrainvestimento diviene la possibilità concreta di simulare la vita.

Il protagonista Sal (Gael García Bernal), sprofondato nel lutto dopo la morte della moglie Zoe, partecipa al programma di un’azienda privata che, installando temporaneamente la coscienza delle persone defunte in dei corpi ospitanti, permette ai loro cari di prendersi più tempo per risolvere le relazioni lasciate in sospeso. La simulazione, attiva per le prime dodici ore del giorno (i locatari ritornano sé stessi solamente a tarda sera) ha lo scopo di fungere da “terapia”, consentendo, anche grazie a un successivo supporto psicologico, una più rapida elaborazione del lutto.  

La prima domanda da porci, proprio rispetto al mutamento repentino della gestione delle fasi del lutto, è quanto l’iper-tecnologia di Another End sia per noi solo una lontana distopia. Già alla fine degli anni novanta, si parlava di thanatechnology (Sofka 2020) per definire l’insieme delle tecnologie utilizzate per fornire assistenza e supporto ai prossimi del defunto: si distingueva in tecnologie della morte in cui rientravano supporti tecnici come dispositivi per la conservazione di file (filmati, fotografie, registrazioni audio) e tecnologie del dolore dedicate invece più specificatamente al supporto emotivo fornito tramite app di terapia virtuale o grazie alla condivisione in reti sociali.  

Al giorno d’oggi, l’utente che ha subito una perdita potrebbe non solo gestirla mediante pratiche di archiviazione o condivisione, ma addirittura simulare una conversazione virtuale con la persona defunta. Questo può avvenire grazie ai griefbots, cioè dei software che, appropriandosi delle tracce digitali lasciate dalla persona scomparsa (sui social network, sui siti web o in telefonante registrate), sono capaci di creare una sorta di avatar digitale del defunto ed elaborare delle conversazioni umane (Jiménez-Alonso, Brescó de Luna 2022).

Another End raccontando una storia di morte o, meglio, sulla fine della morte, tiene conto di quanto le innovazioni tecnologiche avvicinino la narrazione distopica alla realtà esperita quotidianamente. Come sottolinea Antonio Caronia, la fantascienza si immerge ormai totalmente nella realtà fino ad assottigliare o addirittura cancellare quella distanza indispensabile tra progettualità e realizzazione. Il futuro distopico dei film di fantascienza assomiglia più che altro a «uno spasmo del presente, a un’anticipazione frenetica di processi che non si distendono più dal passato al presente e oltre, ma vivono sin dall’inizio perennemente proiettati in avanti» (Caronia 2020, p. 143).

La vicinanza del nostro presente alle diverse conquiste della tecnologia postumana, al superamento dei limiti biologici e psicologici dell’essere umano, si riversa in una forte tendenza, sia del cinema che della serialità contemporanea, a narrare distopie tecnologiche in cui l’uomo acquisisce il potere di denaturalizzare il confine tra la vita e la morte. Si pensi a film come Marjorie prime (Almereyda, 2017), dove l’anziana Marjorie instaura un rapporto con l’ologramma del defunto marito; oppure al recente Plan 75 (Hayakawa, 2022) che, ambientato in un Giappone del futuro in cui il governo attiva un programma di eutanasia gratuita per le persone di età superiore ai 75 anni, riflette sulla possibilità di ridurre il tempo biologico della vita umana. Ancora si possono citare esempi di serie televisive come Black Mirror (2011 – in corso) in particolare l’episodio Be Right Back in cui, dopo la morte del marito Ash, la moglie Martha decide di acconsentire alla creazione di un suo clone virtuale; oppure Upload (2020 – in corso), ambientata in un futuro dove, al momento della morte del proprio corpo, si può decidere di caricare la propria coscienza in un aldilà digitale. 

Another End si nutre voracemente di tutto l’immaginario fantascientifico e distopico, non solo cinematografico, ma anche letterario (specialmente alcuni romanzi di Philip K. Dick) che mira, mediante l’azione sul corpo e la sottomissione a dispositivi di potere, alla conquista dell’eternità. Sono evidenti alcuni omaggi cinematografici a Blade Runner (Scott, 1982) e a Strange Days (Bigelow, 1995): si pensi all’origami utilizzato come biglietto da visita per i clienti del programma e alla possibilità di rivivere i ricordi altrui nella realtà virtuale.

Il film di Messina, come la maggior parte delle narrazioni fantascientifiche contemporanee, pone complesse questioni etico-filosofiche e induce a riflessioni biopolitiche su come il “potere”, nel caso di Another End l’azienda privata Aeterna, prenda in carico la vita degli individui. Messina pone l’accento sul commercio dei corpi dei locatari che, scelti tramite un test di compatibilità col defunto, sembrano essere “venduti” al miglior offerente. Non a caso, Ava, la locataria di Zoe, quando non assorbita all’interno della simulazione, “vende” il suo corpo in un night club. La dimensione materiale del corpo, che sia venduto, abitato da memorie estranee o considerato inutile (come fa Ebe di fronte alle ceneri di Zoe) risalta allo scopo di descrivere le dinamiche in cui il potere può decidere della vita e, soprattutto, della morte degli individui.

Ma cosa resta dell’umano dopo la vertiginosa messa in abisso di clienti e locatari? La sequenza finale del film, in cui i due protagonisti si risvegliano insieme, sembra affermare che né il corpo né la memoria siano la particella più essenziale del nostro essere. Chi sono i due protagonisti dopo il risveglio finale? Nonostante Messina lasci la risposta alla libera interpretazione dello spettatore, il regista sembra però attestare la superiorità del tempo presente sia sul tempo passato (la memoria) che sul tempo futuro (l’eternità). Cosa siamo? Siamo l’esperienza che viviamo, le sensazioni che proviamo. Anche se l’esperienza della finitudine umana continuerà ad essere rimodulata dalle tecnologie, nulla potrà farci dimenticare che siamo esattamente la percezione viva del nostro tempo soggettivo. È necessario, dunque, cogliere questa verità e riconoscere l’eticità del nostro tempo, non assoluto, ma sicuramente solo nostro.

Riferimenti bibliografici
A. Caronia, Dal cyborg al postumano: Biopolitica del corpo artificiale, Meltemi, Sesto San Giovanni 2020.
B. Jiménez-Alonso, I. Brescó de Luna, Griefbots. A New Way of Communicating With The Dead? in “Integrative Psychological and Behavioral Science”, n. 75, 2022.
C. Sofka, The Transition from Life to the Digital Afterlife. Thanatechnology and Its Impact on Grief, in Digital Afterlife: Death Matters in a Digital Age, a cura di M. Savin-Baden, V. Mason-Robbie, CRC Press, New York-London 2020.  

Another End. Regia: Piero Messina; sceneggiatura: Piero Messina, Giacomo Bendotti, Valentina Gaddi, Sebastiano Melloni; fotografia: Fabrizio La Palombara; montaggio: Paola Freddi; interpreti: Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo, Olivia Williams; produzione: Indigo Film, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 129′; anno: 2024.

Tags     distopia, fantascienza, Lutto
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