Negli ultimi tempi il genere western ha guadagnato una nuova centralità nelle produzioni seriali. Si assiste a un modo più accurato, lontano dagli stereotipi, di raccontare il West, e con esso la storia di donne e uomini di quegli anni, la storia dei nativi americani. L’accuratezza storica domina anche a costo di rivelare la drammaticità degli eventi, la durezza e la violenza che permeano lo spazio e il tempo entro cui i personaggi agiscono.
Il western, come scrive Maiello (2024), diventa «dispositivo simbolico attraverso cui ripensare […] la storia e il tessuto sociale degli Stati Uniti d’America». Su Netflix, di recente, è approdata una nuova serie che si è guadagnata subito la fama del western più grisliest di sempre: American Primeval, scritta da Mark L. Smith, ricorda le atmosfere sature e dark di The Revenant (2015), di cui lo stesso Smith ha firmato la sceneggiatura. Lo spirito e l’intento della serie risiedono nelle parole scelte per il titolo stesso: “American” e “Primeval”, che rimandano alle origini macabre e violente (grisliest appunto) di una parte di America tra gli anni ’50 del 1800.
L’America torna ad essere raccontata attraverso fatti storicamente verificati, un racconto che spaventa e che ricostruisce il sanguinolento accanimento contro chi si pone tra la gloria dell’edificazione di un paese bianco e timorato di Dio e l’affermazione di un potere patriarcale e democratico. Una struttura narrativa che va consolidandosi da Hostiles (2017) in poi e che trova similitudini in altre serie tv western come The English (2023) e 1883 (2021), in cui il viaggio e il perdono sono gli elementi edificanti di un messaggio pregno di necessità umane.
American Primeval racconta, senza alcuna edulcorazione, la storia di Sara, una donna, in fuga da Philadelphia per proteggere suo figlio Devin e speranzosa di condurlo dal padre, a Crooks Springs, per offrirgli quella protezione che una donna non può garantire. Lungo il viaggio incontra un uomo, Isaac, un mezzo-sangue che è cresciuto con la tribù degli Shoshone, che l’accompagna, mal volentieri, verso la sua destinazione, ma che in più occasioni rischia la vita per proteggere madre e figlio. Una storia semplice e non troppo originale se non fosse che lungo il tragitto Sara e Isaac affrontano il peso del loro passato, diverso ma così intenso e traumatico, trovando un solo momento in cui le loro necessità confluiscono in un abbandono emotivo sempre soffocato e fagocitato dall’orrore che li circonda.
Il loro non è semplicemente un viaggio, è più una transizione, un lento, ma intenso mutare che li conduce al cambiamento e che li porta ad andare oltre i confini (fisici ed emozionali) che si erano posti e imposti. A fare da sfondo alla storia un territorio conteso, su cui alcuni vogliono edificare la propria dimora, altri diffondere il proprio potere e altri ancora difendere un’appartenenza ancestrale. Si tratta dello Stato dello Utah.
La serie ruota intorno ad una data, quella del 1857 e a tre grandi temi che confluiscono tutti in un unico termine: la diversità, quella di razza, di genere e di religione. Il 1857 è un anno centrale nella storia americana (bianca) perché sarà ricordato per il massacro di Mountain Meadows, quando 120 pionieri provenienti dall’Arkansas e diretti in California vengono brutalmente uccisi da una milizia di mormoni con l’aiuto di scout indiani, un 11 settembre che imprime in questa data un fato funesto contraddistinto dal veleno religioso con cui l’America e il mondo intero faranno i conti nel 2001.
È un anno tra quelli che caratterizzano l’ascesa della politica di deportazione degli Indiani e dell’Indian Appropriations Act, la legge sulle dotazioni indiane che di fatto autorizzava il sistema delle riserve e attuava la sottointesa politica di annientamento e cancellazione dei popoli nativi, preludio di un etnocidio che segnerà la storia dei nativi americani per sempre.
La rappresentazione dei nativi americani, delle donne e dei mormoni è quella che sta sulla sottile linea di demarcazione tra vittime e carnefici che difendono la propria vita e non temono di toglierla ad altri pur di garantire l propria sopravvivenza. Le loro azioni e reazioni, le loro vite (imposte o alterate) si snodano in nome degli effetti che la diversità crea. La verità storica mostrata non è più semplicemente la risposta di pronta e bruta difesa dei nativi alla logica di espansione del Manifest Destiny del governo americano, che in nome del progresso e della democrazia vuole rendere l’America un unico grande paese bianco, ma è anche l’intolleranza religiosa contro quella dei mormoni il cui scopo è fissare in quelle terre la loro Sion. Lo Utah è la terra promessa per i mormoni dove i loro diritti sarebbero stati assicurati, e dove avrebbero potuto continuare ad accrescere il numero dei propri figli per allevare una posterità. Il credo dei mormoni che si manifesta soprattutto con la poligamia disturba la fede americana e provoca il potere presidenziale. I mormoni vengono perseguitati e discriminati e spinti a trovare altrove la loro dimora organizzandosi, a volte, in vere e proprie milizie pronte ad eliminare chiunque avanzi pretese sulla terra che hanno scelto per loro. I veri villains in questa serie sono proprio i mormoni che agiscono sotto l’influenza del loro leader Brigham Young che si erge a mano di Dio posta sulla terra dello Utah per allontanare il diavolo che rafforza il pregiudizio ignorante di chi li perseguita e muove gli eserciti contro di loro.
E poi ci sono le donne, tre in particolare, che mostrano le ferite e i lividi emotivi dell’accanimento socio-culturale del patriarcato: la protagonista Sara, la mormone Abish e la nativa Due lune, una giovane shoshone a cui è stata tagliata la lingua. Ognuna di queste donne è in fuga da ciò che le ingabbia: la violenza fisica e psicologica, la discriminazione e la libertà di scelta negata; ognuna in modo resiliente si aggrappa alla vita e a quella speranza di cambiamento che nutre le loro speranze e i loro sforzi. Ognuna di loro, anche se con grandi difficoltà, approda a quel cambiamento che differisce da quello inizialmente sperato valorizzando il loro empowerment e anche la loro rinuncia, perché esse rinunciano, volutamente, a una parte del loro essere state per poter divenire altro. Loro possono essere anche se non accanto ad un uomo. Si auto-determinano perché prendono il controllo delle loro vite.
American Primeval mostra un volto della storia americana che non assolve lo spirito di grandezza del governo americano e ha il pregio di consentire uno sguardo spogliato da giudizi e pregiudizi permettendo allo spettatore di divenire partecipe di fatti ed avvenimenti di cui molti non sono a conoscenza. Ma fa anche altro, dimostra che nel violento West di quegli anni non a tutti è riservata la possibilità di essere amati e felici. Il mancato lieto fine tra Sara e Isaac sposta l’attenzione dall’amore alla resilienza e al sapore dolce-amaro della ricerca della libertà. Isaac muore per salvare un’ultima volta la donna concedendo a sé stesso e a lei la consapevolezza che un cuore consumato dal dolore può sempre ritornare a battere, e che il perdono di sé stessi libera l’anima da tormenti e silenzi. L’uomo verrà onorato con il tradizionale rito funebre shoshone, perché in fondo la sua anima apparteneva al suo popolo di adozione. Isaac è nella morte che ritrova la connessione con la vita e con l’amore, mentre Sara trova in quella morte il coraggio di non far dipendere la sua vita da un uomo che non sia Isacc e così decide di non ritrovare più suo marito, ma di proseguire il suo cammino verso una nuova speranza.
Nell’America primordiale e istintiva di American Primeval restano tracce visibili di un’umanità violata e maltrattata che si rispecchiano nei malesseri delle società moderne. Tracce che sussurrano “la storia che si ripete”, tracce di un passato che conserva la paura dell’alterità e di una memoria cancellata che non riesce nell’intento della rielaborazione del perduto e del perdono.
American Primeval. Regia: Peter Berg; sceneggiatura: Mark L. Smith; fotografia: Jacques Jouffret; musiche: Explosions In The Sky; interpreti: Taylor Kitsch, Betty Gilpin, Dane DeHaan, Saura Lightfoot-Leon, Derek Hinkey; produzione: Grand Electric, Film 44; origine: USA; anno: 2025.