Per chi si chiede se il cinema sia ancora in grado di interpretare il momento che stiamo vivendo, di non restarne fuori, come in una bolla isolata dal tempo, Bigelow risponde nel modo più spettacolare e affermativo possibile: this is not insanity, this is reality.
La trama del film è riassumibile in poche battute: un missile nucleare sta per abbattersi sul suolo americano, gli apparati dello Stato cercano di intercettarlo, ma quando appare chiaro che non c’è modo di evitare la strage si pone il problema di come rispondere all’attacco. Il tutto avviene in pochissimo tempo, poco più di venti minuti per scegliere tra il suicidio (scatenare una guerra nucleare) e la resa (si può bombardare la più importante potenza occidentale e restare impuniti). Bigelow sceglie di raccontare questa storia da tre punti di vista diversi, ovvero racconta tre volte la stessa storia, riuscendo ad intensificare ad ogni giro di boa la tensione del racconto, in un lavoro di ripetizione dell’identico che molto ci dice sul rapporto tra serialità e cinema, oltre che sull’incredibile talento della regista. A questi tre diversi racconti corrispondono tre diversi piani della realtà. This is not insanity, this is reality. Ma che cos’è la realtà?
La realtà è innanzitutto mediazione. Il primo punto di vista esplorato è quello dell’apparato di sicurezza. Il film comincia tra le mura di un’ordinaria casa americana in cui, nel cuore della notte, una mamma, Rebecca Ferguson si prende cura del figlio che ha l’influenza. Ma quella mamma ha un lavoro di grande responsabilità: poco dopo esce di casa e la ritroveremo nella sala di controllo per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Sarà lei a coordinare la comunicazione tra i militari, il Pentagono, i consiglieri e il presidente stesso. La realtà di quello che sta accadendo viene restituita esclusivamente attraverso la moltiplicazione di schermi che monitorano i cieli ridotti ad immagini satellitari, la realtà si può cogliere attraverso i sistemi computazionali che calcolano la traiettoria del missile – si sta appiattendo, questo il titolo di questo primo episodio, e ciò significa che non ci troviamo di fronte ad una prova – e per stimare il numero delle vittime previste; la realtà è nei sistemi di controllo audio attraverso cui possiamo ascoltare le voci dei militari impegnati nelle operazioni di intercettazione del missile, operazioni anch’esse svolte a distanza; la realtà è calcolo, probabilità, mediazione, è un’immagine del mondo, che viene così messo a distanza nella possibilità di controllarlo. Fino a quando un missile nucleare spuntato non si sa da dove non manda tutto all’aria.
Il secondo piano è quello della relazione. Bigelow racconta nuovamente la storia questa volta puntando l’occhio della macchina da presa direttamente su quegli interlocutori che prima vedevamo solo attraverso l’interfaccia della videochiamata: il Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale, il Segretario della Difesa, il generale in carica delle forze armate. Li conosciamo già, ma in realtà scopriremo molto di loro in questi venti minuti di insana realtà, in cui non mancano anche scorci di quotidiana comicità. Due sono i momenti chiave di questo capitolo: la telefonata tra il Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale che cerca di convincere l’omologo russo a non dispiegare le proprie forze militari in segno di estraneità all’attacco in corso e la telefonata tra il Segretario della Difesa e la figlia. In entrambi i casi ciò che è in gioco è il dialogo, che non riguarda il profilo istituzionale interpretato, ma la capacità di parlarsi, capirsi, e di far prevalere il buon senso e non il tatticismo di un videogame. La realtà è relazione, qualcosa di intangibile, che sfugge ad ogni possibile previsione.
Infine l’ultimo capitolo in cui finalmente diamo un volto a quella voce a cui finora corrispondeva un riquadro nero di una videochiamata, ed è il volto di Idris Elba, l’uomo solo al comando che passa dalla preoccupazione di sembrare in forma, durante l’incontro con dei bambini di una scuola di basket, al compito di dover scegliere, dal libro delle soluzioni nucleari, quale risposta dare all’attacco in corso. Catapultato sul jet che lo porterà nel bunker nucleare, insieme ad altri pochi prescelti, cerca conforto nella moglie lontana, a cui chiede consiglio quando manca un minuto all’annientamento di Chicago e di tutti i suoi abitanti, saluta con riconoscenza l’agente che lo ha scortato fino a quel momento, cita i podcast che ascolta (da lì l’espressione che dà il titolo a questo ultimo capitolo e al film intero). Insomma, la realtà è fatta di gesti, sentimenti, emozioni, affetti. La realtà, nella sua spaventosa virtualità, è ordinaria, banale, semplice, umana.
Bigelow sceglie di non mostrare la decisione. Sul piano narrativo, questo è uno degli elementi che distingue il film da una serie come Paradise (ancora un richiamo alla serialità), che racconta la stessa storia attraverso la lente del genere apocalittico, molto più rassicurante e fiducioso (spoiler: in quel caso il presidente, anche lì molto umano, sceglie di non rispondere all’attacco nucleare). Bigelow non ci concede questa rassicurazione e ci lascia con il dubbio, ma soprattutto con una domanda: a chi affidereste una casa di dinamite?
A House of Dynamite. Regia: Kathryn Bigelow; sceneggiatura: Noah Oppenheim; fotografia: Barry Ackroyd; montaggio: Kirk Baxter; interpreti: Idris Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram, Jonah Hauer-King, Greta Lee, Jason Clarke, Brian Tee, Brittany O’Grady, Gbenga Akinnagbe, Willa Fitzgerald, Renée Elise Goldsberry; produzione: First Light Pictures, Kingsgate Films, Prologue Entertainment; distribuzione: First Light Pictures, Kingsgate Films, Prologue Entertainment; distribuzione: Netflix; origine: Stati Uniti d’America; durata: 112′; anno: 2025.