di MASSIMO BLANCO
A duecento anni dalla nascita di Charles Baudelaire.
«L’arte perde in leggerezza ciò che guadagna in precisione». Potrebbe essere una delle divise di Baudelaire, una chiave che ci permette di addentrarci nella novità, sempre vitale, delle opere di uno dei vessilli della modernità. La frase è ispirata dalla rilettura di un passo che l’autore dedica a una Pietà di Delacroix del 1844, dipinto murale presente nella chiesa parigina di Saint-Denis. Sono ben note le simpatie di Baudelaire nei confronti di Delacroix, considerato con piglio convinto l’anticipatore della modernità e la perfetta incarnazione del pittore romantico. Nelle tele di Delacroix Baudelaire coglieva soprattutto il movimento, la rottura della stasi accademica, la contestazione della plastica raffaellesca diffusa in molti artisti di metà Ottocento, l’argine perentorio imposto alla cultura della “scultura dipinta”. Delacroix, evidentemente, sapeva cogliere il carattere “passeggero” della bellezza, ne assecondava la vocazione dinamica, leggera, attraverso cui la bellezza è portata a transitare senza mai bloccarsi in figure immobili. Per Baudelaire, del resto, Delacroix crea una pittura rapida come la scrittura degli autori concisi e concentrati: «Ceux dont la prose peu chargée d’ornements a l’air d’imiter les mouvements rapides de la pensée, et dont la phrase ressemble à un geste» (Art romantique).
Vi sarebbe allora un’affinità tra il movimento che anima il corpo e la rapidità del pensiero, sicché quest’ultimo ha una radice corporea, si svela attraverso le attitudini fugaci che volta a volta arriva a imprimere alla materia viva. Il legame di corpo e pensiero pone allora le basi per una specie di intellettualismo grafico: le immagini dell’arte ci consegnano i pensieri nel loro veloce transito, sono lo specchio della libertà interiore, lasciano trasparire l’agilità del nostro io pensante. La modernità svela la mobilità interna del pensiero e il corpo diventa una materia malleabile, pronta a mutare, a deformarsi in accordo con le forze profonde che la percorrono.
Nei contemporanei di Baudelaire, assuefatti alla stasi raffaellesca, la visione delle opere di Delacroix suscitava tutt’al più «idées vagues de fougue mal dirigée, de turbulence, d’inspiration aventurière, de désordre même» (Curiosités esthétiques). I corpi in movimento di Delacroix riflettono dunque la mobilità a patto però di mostrarsi liberi da orpelli e ornamenti, se colti nell’atto di manifestare la loro “nudità” dinamica, come se la loro proiezione nel movimento avesse l’effetto di denudare la fisicità, capace di svelarsi e di svelare l’io pensante nella misura in cui il corpo riesce a scrollarsi di dosso i contrassegni della storia e del costume. Il movimento – in ultima analisi – destoricizza il corpo, lo riporta a una nudità senza tempo, lo ripulisce dei rimandi al tempo corrente, mutandolo in una presenza assoluta, per certi versi primitiva, la sola capace di rivelare l’accordo sovrastorico del movimento con il pensiero.
Veniamo quindi alla descrizione che Baudelaire fornisce della Pietà di Delacroix nel Salon del 1846:
Allez voir à Saint-Louis au Marais cette Pietà, où la majestueuse reine des douleurs tient sur ses genoux le corps de son enfant mort, les deux bras étendus horizontalement dans un accès de désespoir, une attaque de nerfs maternelle. L’un des deux personnages qui soutient et modère sa douleur est éploré comme les figures les plus lamentables de l’Hamlet, avec laquelle œuvre celle-ci a du reste plus d’un rapport. — Des deux saintes femmes, la première rampe convulsivement à terre, encore revêtue des bijoux et des insignes du luxe; l’autre, blonde et dorée, s’affaisse plus mollement sous le poids énorme de son désespoir. Le groupe est échelonné et disposé tout entier sur un fond d’un vert sombre et uniforme, qui ressemble autant à des amas de rochers qu’à une mer bouleversée par l’orage. Ce fond est d’une simplicité fantastique, et E. Delacroix a sans doute, comme Michel-Ange, supprimé l’accessoire pour ne pas nuire à la clarté de son idée. Ce chef-d’œuvre laisse dans l’esprit un sillon profond de mélancolie.
Baudelaire si sofferma su due figure del dipinto. Si tratta di due donne, distribuite simmetricamente ai lati della Madonna, intente a sorreggere la «reine des douleurs» in preda a una crisi di disperazione. Esse hanno caratteristiche e atteggiamenti differenti. Quella di sinistra striscia «convulsivement» e partecipa al dramma esibendo gioielli e «insignes du luxe», come se fosse stata coinvolta all’improvviso nella scena, mentre era dedita a futilità mondane. La donna di destra emana invece una luce naturale, che proviene dal colore dei capelli, dall’aura dorata che l’avvolge e sembra avvertire più dell’altra figura il peso tragico del futuro. Entrambe si schiacciano sul livello più basso del gruppo, sono sorprese ad accasciarsi al suolo, come se volessero far proprio il dolore della Madonna, strapparglielo, viverlo in autonomia, pur a poca distanza da chi lo patisce in prima persona.
C’è dunque un deciso contrasto tra le due figure femminili, accomunate certo dall’emanare luce, ma divise tuttavia dal fatto che la figura di sinistra diffonde una luce artificiale mentre quella di destra reca una sorta di luce corporea. L’artificio e la natura, allora, separano le due donne. Ma possiamo non fermarci a un contrasto scontato e generico. Possiamo provare ad applicare la frase con cui abbiamo aperto questa breve nota su Baudelaire: l’arte perde in leggerezza ciò che guadagna in precisione. La donna agghindata di sinistra, con tutta evidenza, è appesantita da qualcosa di esteriore, da abiti e gioielli che ne rendono difficile il movimento; essa striscia in modo convulso, fatica a svolgere il proprio compito, non è del tutto libera nell’esprimere la sua empatia. I contrassegni del tempo – del presente nel quale era immersa – vietano al pensiero di farsi movimento lungo la nudità del corpo. L’io non filtra in altre parole attraverso il corpo, protetto a sua volta da una corazza di temporalità sincrona, da orpelli che impediscono al profondo di sommuovere la carne, la “materia” del corpo. Di conseguenza la donna striscia senza riuscire a sorreggere la Madonna addolorata.
Sul lato opposto, la donna dai capelli biondi riesce in certo senso a fiorire dall’interno del suo abito, abito che parrebbe quasi defluire lungo le forme del corpo, come fosse un’acqua colorata che scorre in giù, e ciò anche grazie alla postura del corpo, ben saldo sulle ginocchia. La donna di destra proietta luce all’esterno a causa della doratura dei capelli, e Baudelaire ne descrive il corpo come una massa morbida che si affloscia sotto il peso del dolore della Madonna. Sicché la donna bionda sembra più direttamente sensibile e permeabile ai sentimenti “irradiati” dalla figura al centro. Non vi è solo intimità empatica, una continuità di sentimenti, ma una vera e propria trasmissione di pesi: il dolore impatta fisicamente sulla massa corporea della donna a destra, vi fa gravare il suo peso, ne influenza la consistenza, la altera, suggerendo la confluenza di quel peso sulla morbidezza del corpo che si espone, offrendo uno scorcio della sua nudità. Il corpo è luminoso, lo abbiamo detto, perciò si svela lasciandosi attraversare dal dolore, e nel frattempo fornisce al dolore una via di fuga, la possibilità di effondersi come una luce liquida, nel viso e nel busto protesi in avanti. La donna di destra riesce a porsi come un’infiorescenza, si fa riempire dal dolore della Madonna che defluisce dal centro del gruppo.
La donna si accascia ed insieme fiorisce, o meglio: lascia affiorare qualcosa di profondo, che la Madonna tiene nascosto in sé, nel suo mancare, nell’apertura delle braccia a forma di croce. La Madonna è un simbolo chiuso, rappresenta il dolore legato a un evento; con il corpo essa rappresenta l’antefatto e le conseguenze della morte del figlio. La donna che la sorregge a destra incarna così un tempo posteriore, dentro il quale il dolore scorre cercando di mostrarsi, è un peso in transito, non si limita a ricadere sul corpo, ma lo attraversa e ne deforma la massa. E la deformazione del corpo è infine la nascita di un fiore. Fiore del male, appunto; o piuttosto un fiore dal male. Nei Fiori di Baudelaire si schiude la nudità di un passato che pesa sul presente e chiede di darsi a vedere, filtrando nella vibrazione e nel movimento di forme e persone. Il passato è nascosto in ogni oggetto che permette di avviare (o riavviare) il tempo dei nostri desideri e delle nostre idee. Ma forme e oggetti sono collegati a qualcosa di anteriore, a una «vie antérieure» che tenta di riprendere forma tramite il corpo e il movimento. Delacroix lo aveva capito, forse prima di Baudelaire.
Riferimenti bibliografici
C. Baudelaire, Scritti sull’arte, a cura di G. Guglielmi e E. Raimondi, Einaudi, Torino 2004.
M. Blanco, Leggere Baudelaire, Carocci, Roma 2012.
R. Calasso, La Folie Baudelaire, Adelphi, Milano 2010.
J.C. Polistena, The Religious Paintings of Eugène Delacroix (1798-1863), The Initiator of the Style of Modern Religious Art, Lewiston, Edwin Mellen Press, New York 2008.
Charles Baudelaire, Parigi 1821 – Parigi 1867.