«Charlie Parker looked like Buddha»*. Con questo verso inizia la poesia dedicata da Jack Kerouac al sassofonista scomparso nel 1955 e di cui nei giorni scorsi si sono celebrati i cento anni dalla nascita. Annoverato tra i padri del bebop e, più in generale, del jazz moderno, anche a distanza di tempo Charlie “Bird” Parker non cessa di affascinare e ispirare generazioni di ascoltatori e musicisti.

«This was what Charlie Parker said when he played: all is well». Kerouac, come altri scrittori beat, rimase colpito dalla libertà conquistata dalla nuova musica jazz, definitivamente emancipatasi dagli stilemi dello swing ottimista e ballabile fino ad allora imperante. Quella musica stava diventando qualcosa di più di un semplice passatempo. In particolare, secondo lo scrittore, Parker era in grado di infondere nelle sue scorribande solistiche un elemento ineffabile e spirituale, effetto antifrastico dell’irrequietezza selvaggia delle note, veloci e insolite.

All’impressione di Kerouac doveva aver contribuito senz’altro l’attitudine serafica di un uomo tanto massiccio e solido sul palco quanto tormentato sul versante personale. La dipendenza da alcool e droga, i problemi psichiatrici, la tragica morte della figlia segnarono profondamente la sua vicenda biografica ma allo stesso tempo, per contrasto, conferirono alla sua musica il carattere di una miracolosa trasfigurazione del dolore.

Miserie e splendori di Parker sono ben rappresentati nel film Bird (1988) di Clint Eastwood. Una scena per tutte: il sassofonista è in sala di registrazione, nel bel mezzo di una sessione, e dopo aver suonato si attacca alla bottiglia per poi tornare immediatamente a cesellare con assoluta perfezione le sue linee melodiche ma, una volta ricevute le parole di apprezzamento di uno dei tecnici, scaglia lo strumento contro la cabina frantumando il vetro.

Charlie che somiglia a Buddha e dice che va tutto bene, Charlie l’uccello «whistling them on to the brink of eternity» – ma le origini del soprannome sono controverse ed esistono a tal proposito versioni anche decisamente prosaiche, legate alla passione di Parker per il pollo fritto. In ogni caso, come conciliare l’aspetto più etereo e pacificato di Bird con quello più maledetto e anfetaminico?

Per trovare una soluzione a quella che in apparenza si presenta come una contraddizione, rivolgiamoci a Deleuze e Guattari, che in Mille piani (2017, p. 418) affermano:

Un uccello lancia il suo ritornello. Tutta la musica è attraversata dal canto degli uccelli, in mille maniere, da Jannequin a Messiaen. Frr, Frr. La musica è attraversata da blocchi di infanzia e di femminilità. La musica è attraversata da tutte le minoranze e tuttavia compone una potenza immensa. […] Si potrebbe stabilire il catalogo dell’utilizzazione diagonale o trasversale del ritornello della storia della musica, tutti i Giochi di bambini e le Kinderszenen, tutti i canti d’uccelli.

Per comprendere le parole di Deleuze e Guattari è necessario chiamare in causa il concetto di “divenire-animale”, che ci fornisce qualche indicazione sul rapporto tra l’uccello e il suo canto, legato dagli autori alla nozione di ritornello. Nel divenire-animale ciò che conta non è tanto il termine finale quanto piuttosto la transizione in sé. Come sottolineano Deleuze e Guattari,

Ad essere reale è il divenire stesso, il blocco di divenire, e non l’insieme dei termini che si suppongono fissi e per i quali passerebbe colui che diviene. Il divenire può e deve essere qualificato come divenire-animale senza avere un termine che sarebbe l’animale divenuto. Il divenire-animale dell’uomo è reale, benché non sia reale l’animale che egli diviene; e, simultaneamente, il divenire-altro dell’animale è reale benché tale altro non lo sia (ivi, p. 338).

In ambito musicale, l’uccello non è dunque un animale da imitare – non si tratta di suonare o cantare come gli uccelli – ma rappresenta il dinamismo di un divenire. E il fatto che l’uccello «lanci il suo ritornello» non costituisce un invito a mimarne semplicemente il canto: in maniera più radicale, il canto dell’uccello ci ricorda che il ritornello è sempre qualcosa che viene lanciato, che eccede e buca i piani, un canto esorbitante che decolla e vola: «La musica è l’operazione attiva, creatrice, che consiste nel deterritorializzare il ritornello» (ivi, p. 418).

Torniamo a Bird e proviamo a leggere il suo non come un essere-uccello ma come un divenire-uccello, in cui non bisogna cercare una leggerezza mimetica, liricamente aerea – talvolta il celebre soprannome è stato inteso proprio così –, ma un’assunzione, una presa in carico drammatica e trasformativa. (Secondo uno degli aneddoti citati per spiegare l’origine del nomignolo, Parker avrebbe una volta investito un pollo; cucinatolo, avrebbe poi insistito per mangiarlo con i membri della sua band). Il punto non è essere (o dare a vedere di essere) un uccello, ma diventarlo, alimentando la trasformazione con le macerie della propria vita.

Il divenire-uccello che si attua nella musica porta con sé una forma di sapere non teorico eppure riflessivo, un sapere di sé, quello che, con l’ironico titolo di uno dei più celebri brani di Parker (1946), possiamo chiamare Ornithology. Forse non proprio l’illuminazione del Buddha, suggerita da Kerouac, ma una consapevolezza – operativa – di sé, una riflessività giocosa che sa distillare la vita in un canto da mandare in orbita, fino a raggiungere l’ascoltatore e a coinvolgerlo nel volo.

Ma vediamo più da vicino Ornithology. In termini tecnici, il brano è una “contraffattura” del brano How High the Moon, vale a dire un’appropriazione e rielaborazione «basat[a] sull’utilizzo di strutture metrico-armoniche di brani celebri delle tradizione della canzone americana e del musical cui sono sovrapposte nuove melodie, realizzando creazioni originali a pieno titolo» (Caporaletti 2016, p. 1; si veda anche Bertinetto 2016, cap. VI). La “scienza degli uccelli” di Parker – che al tempo stesso è il suo travolgente e divertito “conosci te stesso” – è dunque un sapere improprio, un mascheramento  (altro termine per “contraffattura”), un gioco di rimandi e depistaggi che nulla ha a che fare con una identità stabile e compatta.

Il brano più celebre e iconico di Parker mostra come il divenire-uccello che si compie nella musica non sia mimesi ma, esattamente al contrario, dissimulazione. Qual è dunque il sapere di Bird? Quale l’illuminazione di cui egli è il Buddha? La risposta fornita da Ornithology non è il logos dell’identico ma la differenza di sé con sé; non l’essere ma il divenire-uccello; non un sapere ma un sapere trasformare e trasformarsi.

Riferimenti bibliografici e discografici
A. Bertinetto, Eseguire l’inatteso. Ontologia della musica e improvvisazione, il Glifo, Roma 2016.
V. Caporaletti, L’improvvisazione, le prassi estetiche e un paradosso ontologico, “Kaiak. A Philosophical Journey”, 3 (2016): Improvvisazione.
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, a cura di P. Vignola, Orthotes, Napoli-Salerno 2017.
J. Kerouac, S. Allen, Poetry for the Beat Generation, Hanover Signature Record Corp LP #5000, 1959.
C. Parker, Ornithology, Dial Records, 1946.

*In Poetry for the Beat Generation (1959), album di Jack Kerouac con accompagnamento al pianoforte di Steve Allen.

Charlie Parker, Kansas 1920 – New York 1955.

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