La Strega Cattiva è morta. Il Mago ha lasciato Oz. Dorothy, risvegliandosi dal suo sogno vivido, è tornata in Kansas, perché “non c’è nessun posto come casa”. Cosa accade a chi resta, a chi chiama casa quel mondo straordinario in cui i sogni che si osano sognare si avverano? “Tutto ciò che serve / per vivere in un sogno / è chiudere gli occhi all’infinito” canta Glinda (Ariana Grande), colei che vestiva i panni della Strega Buona ne Il mago di Oz (Fleming, 1939), in Wicked – Parte 2 di Jon M. Chu. Ma se la felicità coincide con il realizzarsi dei propri sogni, si può continuare a vivere ad occhi chiusi?

In una delle ultime scene del film, adattamento del secondo atto del musical broadwayano Wicked (Holzman, Schwartz 2003), Glinda, dallo spiraglio di una porta dietro cui si nasconde, vede Dorothy sconfiggere Elphaba, la Strega Cattiva. O, meglio, vede le loro ombre proiettate su un muro. In Il cinema o l’uomo immaginario Edgar Morin descrive l’immagine cinematografica come un doppio immateriale, un’ombra animata, e suggerisce che «la visione cinematografica si forma dal movimento delle ombre sullo schermo» (Morin 2020, p. 44). La “magia” del cinema, motore di metamorfosi, si manifesta nel circuito di proiezione-identificazione che lega lo spettatore all’immagine: il suo investimento affettivo dona anima all’ombra, vita allo spettro, una vita di cui diventa partecipe. In Wicked – Parte 2 Glinda, la bambina che ha desiderato, invano, di sviluppare poteri magici, facendosi spettatrice di un gioco di ombre, accedendo ad una forma di magia che è quella del cinema, esperisce una metamorfosi, dà nuovo senso alla sua vita.

L’operazione Wicked, a teatro e nei romanzi da cui il musical è tratto, è, in fondo, lo spettacolo della metamorfosi di un mondo, Oz, sulla cui illusoria perfezione si allungano le ombre di castranti dicotomie (Bene/Male, amico/nemico, umano/animale), e dei personaggi che lo abitano: la ri-narrazione di un mito della cultura popolare – quello di Dorothy – permette a Glinda ed Elphaba di riappropriarsi della loro storia e di risignificare le etichette di Strega Buona e Strega Cattiva che la società ha imposto loro. In Wicked (2024) Elphaba accoglieva, ribaltando il senso, la sua natura di Ombra – qui intesa come villain, nel senso dell’archetipo voghleriano – e imparando a padroneggiare la magia si faceva manifesto di una rivoluzione. In questa seconda parte Glinda, spettatrice di quella rivoluzione, si proietta e si identifica nel suo doppio/ombra incarnato dalla sua amica e, facendone propria la “sfida alla gravità” trova il motore per scendere a patti con i suoi stessi fantasmi.

Ancora una volta è il musical, la più trasformativa delle “magie” cinematografiche, in cui i confini tra l’onirico e la veglia sembrano disfarsi, a tenere il tempo di questa metamorfosi: due “donne immaginarie” – protagoniste della finzione del film e vittime, più o meno consapevoli, delle illusioni di Oz – attraverso il movimento della musica e della danza prendono vita e reclamano la loro libertà. Nel primo film la potenza trasformativa del musical divampava in numeri – Defying Gravity tra tutti – capaci di far deflagrare la storia e l’immagine in accordo con la voce potente di Elphaba. In questo sequel, invece, la “magia” del genere si fa più viscerale, entra in armonia con le emozioni più intime delle protagoniste: intonando The Girl in the Bubble, Glinda si riappropria della propria immagine e della propria storia quando la commozione le riga il viso e le fa tremare la voce. Quella stessa voce e quello stesso volto che il Mago – un Jeff Goldblum mellifluo che si esibisce in un numero con un mappamondo/palloncino così simile a quello di Charlot ne Il grande dittatore (Chaplin 1940) –, utilizza come megafono della sua propaganda.

All’inizio del film, armata di una finta bacchetta e accomodatasi in una bolla che la imprigiona nell’illusione di poter volare, la ragazza priva di poteri magici, schiacciata dal peso delle aspettative e votata a compiacere chi le sta intorno, è la perfetta marionetta nello spettacolo illusorio del Mago. Totalmente immersa nel sogno d’essere diventata la Strega Buona, Glinda vuole conservare il suo privilegio e, per farlo, è pronta a schierarsi contro la Strega Cattiva e a cementare il suo status sposando un uomo, il principe Fiyero, che non la ama. La spettatrice della sua stessa vita/sogno, immobile nei suoi abiti principeschi, ha ancora gli occhi chiusi.

Ma non esiste stasi che il musical non possa trasformare in moto. In No Place Like Home, dando nuovo senso allo slogan che fu, Elphaba canta agli animali perseguitati dal regime e costretti a lasciare la loro terra, che  Oz “è una promessa, un’idea”, un corpo vivo che muta non un modellino – come quello del Mago – perfetto nella sua anodina fissità. Il movimento di Oz, spazio dei sogni, è il movimento del cinema, che di quei sogni replica il meccanismo. Per entrare in fase con esso, la Strega Buona deve vedere incrinarsi la stessa immagine illusoria che ha costruito di sé: esperisce la solitudine (Fiyero si schiera con Elphaba), consumata dal dolore si fa essa stessa Ombra (è sua l’idea che porterà alla morte di Nessarose, sorella della Strega Cattiva) e solo quando affronta Elphaba in uno sgangherato scontro fisico, l’urto con il corpo vivo del suo “doppio” la risveglia dal suo torpore.

Glinda apre gli occhi e vede, finalmente, la sua amica. La sovrapposizione dei piani di finzione innescata dal musical può esplodere. Le protagoniste cantano, insieme, For Good: Elphaba, la donna dai poteri straordinari, riconosce i propri limiti e mostra a Glinda, la finta strega, il potenziale trasformativo che alberga in lei. È a questo punto che la Strega Buona guarda la Strega Cattiva morire. Il corpo di Elphaba si dissolve: ancora con Morin, il doppio si smaterializza, diviene anima. Come nell’esperienza dello spettatore cinematografico, Glinda partecipa affettivamente di questo movimento, si proietta-identifica nell’immagine della sua amica. Quando in una delle ultime scene, il grimorio che solo Elphaba era in grado di leggere per lanciare i suoi incantesimi si apre a Glinda, la donna prende contezza della sua metamorfosi: la Strega Buona, ora regista della sua vita, liberatasi dalle gabbie dell’aspettativa sociale e sconfitto il Mago, imbriglia la magia non per governare, ma per vegliare su quel posto “da qualche parte oltre l’arcobaleno” che accoglie, al di là delle dicotomie, lo spettro delle sue sfumature.

 “Chi può dire se sono cambiato in meglio? / Ma perché ti conoscevo / Sono cambiata per sempre”, cantano Elphaba e Glinda in For Good. I due archetipi che si dicevano antitetici, sperimentano sfiorandosi la complessità della loro identità e, facendosi immagine in movimento, quella vita magico-onirica che prende corpo dall’incontro tra la luce e le ombre. La magia di un cinema che palpita di partecipazione affettiva, quella del loro legame d’amicizia, quella di chi guardando danzare e ascoltando cantare queste due “donne immaginarie”, nonostante gli inciampi di un film più precipitoso del precedente, crede nella possibilità di una metamorfosi. Come Glinda che deve credere al sacrificio della sua amica – che in realtà ha lasciato Oz, perché non c’è nessuna finzione che possa contenerla – per partecipare a quella magia trasformativa, di Elphaba e del cinema, che è viatico necessario a uno sguardo nuovo sul mondo, sulle narrazioni che lo costruiscono, sulle discriminazioni che lo attraversano, sulle sue innate contraddizioni. Una forma di pensiero, insomma, a suo modo rivoluzionaria quando è capace di metamorfosarsi in nuove forme di vita.

Riferimenti bibliografici
E. Morin, Il cinema o l’uomo immaginario, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020.

Wicked – Parte 2. Regia: Jon M. Chu; sceneggiatura: Winnie Holzman, Dana Fox; fotografia: Alice Brooks; montaggio: Myron Kerstein; musiche: Stephen Schwartz, John Powell; interpreti: Cynthia Erivo, Ariana Grande, Jeff Goldblum, Michelle Yeoh, Jonathan Bailey, Keala Settle, Bowen Yang, Bronwyn James, Ethan Slater, Colin Michael Carmichael, Marissa Bode, Aaron Teoh Guan Ti; produzione: Marc Platt Productions, Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: Stati Uniti d’America; durata: 138’; anno: 2025.

Tags     cinema, metamorfosi, musical
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