“Che ne resti la memoria”: è la battuta che pronuncia Volonté al termine di uno scambio con Harvey Keitel in una delle poche scene da lui girate de Lo sguardo di Ulisse di Theo Anghelopoulos, mostrata a un certo punto nel film di Zippel. Era l’inizio di dicembre del 1994 e qualche giorno dopo, in un albergo di Florina, nel nord della Grecia dove la troupe si era spostata per proseguire le riprese, un attacco di cuore ha dato lo stop definitivo all’avventura di uno dei più importanti attori mondiali del Novecento (giudizio di Orson Welles e Ingmar Bergman, per la cronaca).

Il personaggio interpretato da Gian Maria Volonté e quella battuta in special modo, è stato fatto notare, sono in qualche modo emblematici della sua figura e della sua opera: il personaggio è il conservatore della cineteca di Sarajevo impegnato, durante la devastante guerra di dissoluzione della Jugoslavia, a preservare dal disfacimento il patrimonio cinematografico del suo paese. Vuole con tutte le sue forze recuperare la formula chimica di una soluzione chimica che gli consenta di salvare un pugno di bobine realizzate dai fratelli Manakis, i fotografi che pionieristicamente introdussero all’inizio del XX secolo il cinema nei Balcani, perché è convinto che «l’impatto con l’immagine sia molto più forte rispetto a quello che si può avere leggendo un testo, un racconto, la parola scritta» (parole dell’attore – ma, penso, condivise dal personaggio – estratte dalla sua ultima intervista pubblicata in Gian Maria Volonté. L’immagine e la memoria, a cura di Valeria Mannelli).

Nell’anno che segna il trentennale della sua scomparsa il film documentario Volonté – L’uomo dai mille volti si sintonizza sulla medesima lunghezza d’onda, e dà il suo notevole contributo al compito di conservarne e rilanciare la memoria, attraverso l’immagine. Va detto che non è il primo documento audiovisivo: è del 2004 infatti il film intitolato Un attore contro, curato da Ferruccio Marotti e basato sul libro di cui sono autore. Ci si augura anche che non sia l’ultimo, così come altre diverse pubblicazioni si stanno aggiungendo in questa ricorrenza, ad arricchire da un lato una letteratura che conta oramai diversi titoli, e dall’altro le iniziative che con costanza nel tempo si adoperano all’impresa. A cominciare da La Valigia dell’attore, festival, premio e laboratorio di formazione diretto dalla figlia Giovanna Gravina Volonté, che si tiene annualmente dal 2003 nell’isola de La Maddalena in Sardegna, dove Gian Maria riposa.

Stilisticamente le scelte di Zippel non si discostano, in linea di massima, né dalle convenzioni proprie del genere né dalla configurazione compositiva del menzionato precedente: su un ritmo delicato e costante si alternano fondamentalmente spezzoni di film e testimonianze individuali. Ascoltiamo interventi sia di persone a Gian Maria molto vicine per legami personali (tra cui, oltre la figlia Giovanna, la compagna Angelica Ippolito e Felice Laudadio), che di qualcuno che ha avuto occasione di conoscerlo e lavorare con lui (ad esempio la costumista Gianna Gissi e, interessantissima, Gianna Giachetti, compagna di corso in Accademia). Ma soprattutto ci sono numerosi interventi di attrici e attori del presente, che a Volonté guardano come a un riferimento alto, un modello, un maestro ideale. Questa mi sembra la differenza e la qualità di maggior rilievo rispetto all’esistente (dove prevalgono invece, per capire, le testimonianze del secondo tipo, dei registi dei suoi film ad esempio).

E non è poco, perché così facendo efficacemente il film coniuga lo scavo del passato (alcuni filmati e immagini inedite, ad esempio) con la vitalità di quella che mi spingerei a chiamare una tradizione attoriale, nel senso etimologico del termine che indica la trasmissione nel tempo di un sapere artistico, anche e perfino in assenza non solo di effettivo rapporto pedagogico (ché Gian Maria non ha avuto l’occasione o il tempo di insegnare), ma anche di semplice conoscenza diretta – come è il caso di quasi tutti gli interpreti intervistati. Il che, a pensarci, è sintomo chiaro della sua straordinarietà (ma un opportuno inserto dedicato alla figura di Orazio Costa, regista e docente dell’Accademia d’Arte Drammatica incontrato da alcuni di questi ultimi oltre che da Volonté nei suoi anni di studio, dà conto di una connessione che spiega abbastanza in questo senso).

Se per un verso manca qualsiasi pur minimo riferimento a un episodio che, per quanto controverso, è senza dubbio rilevante nella biografia artistica dell’attore (ovvero i due film con Sergio Leone, parte della celeberrima “trilogia del dollaro”), dall’altro giusto e ampio spazio è dato appunto agli inizi del suo percorso quando, come ho sottolineato anche nel libro, terminato un periodo di formazione a dir poco eclettico e composito (dagli obsoleti e itineranti Carri di Tespi all’Accademia d’Arte Drammatica passando per una delle ultime compagnie capocomicali ancora attive in Italia negli anni Cinquanta), Gian Maria ha avuto l’intelligenza di attraversare con coraggiosa apertura mentale tanti diversi territori delle arti dello spettacolo (televisione e cinema, da aggiungere a quelli già elencati) in un momento storico in cui le escursioni fuori dal teatro di prosa di un attore che si voleva “serio” erano ancora da tanti stigmatizzate con snobistico pregiudizio.

Il regista mi aveva proposto di partecipare con una mia testimonianza, ma contingenti circostanze personali me lo hanno impedito. Tuttavia, oltre a quanto ho già fatto per tenere viva la sua memoria (e con convinzione e soddisfazione continuo a fare soprattutto collaborando con il festival La valigia dell’attore), sento che difficilmente avrei potuto aggiungere qualcosa di davvero significativo. Forse avrei potuto mettere a disposizione un archivio di ritagli dal quale mi piace recuperare, tra tanti, l’articolo di Maurizio Grande uscito il 7 dicembre 1994 sul quotidiano Il manifesto, a commento della notizia del decesso. Lo dovrò far leggere anche a Fabrizio Gifuni, che confessa nel suo intervento che quando vide Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto fu preso dalla voglia di “smontare” quell’interpretazione come fanno i bambini che rompono i giocattoli per capirne il meccanismo di funzionamento:

Ricordiamo Gian Maria Volonté come l’attore che è andato sempre al di là di se stesso, attirando il personaggio nell’orbita del suo volto e del suo corpo, anche se apparentemente sembrava che venisse risucchiato nella zona magnetica di una imitazione sensazionale. Il fatto è che il “mimetismo” con cui Volonté costruiva l’immagine del personaggio non era un lavoro di virtuosistica adesione al ruolo, ma era piuttosto una esaltante eccedenza del ruolo e della maschera, un modo di investire il personaggio con la forza teatrale della messa in scena del carattere attraverso un corpo al tempo stesso estraneo e famigliare. È il gioco della maschera […] la irriducibilità dell’attore alla sua stessa maschera […] Per Volontè si tratta di mostrare il gioco tra l’attore e il personaggio, fra l’attore e quel “sembiante” che egli costruisce come suo doppio.

Senz’altro il montaggio di Zippel riesce a dare un’idea, sintetica ma puntuale, di tale abilità, così come della coscienza civile che ispirava le scelte e i comportamenti di Volonté. Il film, sebbene proceda bilanciando equamente le questioni artistiche relative al mestiere dell’attore col racconto di vicende più private e personali, non perde mai di vista il carattere a mio parere decisivo della sua figura, vale a dire la consonanza intellettuale e umana con l’idea di attore di uno dei suoi punti di riferimento, il regista Bertolt Brecht che nel Breviario di estetica teatrale scrive: «Senza opinioni e senza intenzioni non si può raffigurare. Senza sapere non si può mostrare nulla; come si saprebbe ciò che vale la pena di sapere? Se l’attore non vuole essere come un pappagallo o come una scimmia, deve appropriarsi le nozioni del suo tempo circa la convivenza umana, col partecipare alla lotta delle classi».

Non soltanto a fungere da cornice, all’inizio del film, ci sono poi molte immagini di mare, scogli, spiagge e calette, macchia mediterranea, barche a vela in navigazione (rigorosamente riprese nel già citato arcipelago della Maddalena) che non sono – attenzione – banali inserti lirici (il motivo lo illustra magistralmente il critico cinematografico Fabio Ferzetti nella sua testimonianza). Purtroppo infine – no, anzi: per fortuna – l’immagine cinematografica non riesce né a simulare né a restituire la natura, la forza, l’odore del vento. Per chi volesse sapere cosa c’entri il vento con Gian Maria Volonté bisogna che scovi una sua dichiarazione, spesso riportata a stampa e letta da Giovanna Gravina Volonté proprio all’inizio di questo prezioso film di Francesco Zippel.

Riferimenti bibliografici
B. Brecht, Breviario di estetica teatrale, in Id., Scritti teatrali, vol. II, Einaudi, Torino 1962 e 1975.
M. Capozzoli, Gian Maria Volonté, ADD, Torino 2018.
F. Deriu, Gian Maria Volonté. Il lavoro d’attore, Bulzoni, Roma 1997.
V. Mannelli, a cura di, Gian Maria Volonté. L’immagine e la memoria, a cura di , Transeuropa, Ancona 1998.
F. Montini, P. Spila, a cura di, Gian Maria Volonté. Un attore contro, BUR, Milano 2005.

Volonté – L’uomo dai mille volti. Regia: Francesco Zippel; sceneggiatura: Francesco Zippel; fotografia: Marco Tomaselli; montaggio: Michele Castelli; musica: Rodrigo D’Erasmo; interpreti: Giovanna Gravina Volonté, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Valerio Mastandrea, Marco Bellocchio; produzione: Quoiat Films, Rai Documentari, Luce Cinecittà; origine: Italia; durata: 97′; anno: 2024.

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