Nel cimitero acattolico di Roma, è sepolto uno dei cinque figli di Johann Wolfgang Goethe, ma sulla lapide della sua tomba non c’è alcun riferimento al suo nome (August) che è stato rimpiazzato dalla scritta “Goethe Filius”. Questo luogo assume una profonda valenza per comprendere Vera, il film di Tizza Covi e Rainer Frimmel, la cui protagonista, Vera Gemma, interpreta il ruolo di se stessa insistendo, in modo marcato, sul tema che ha direzionato la sua vita: la difficile gestione dell’eredità del “nome” (o, forse, sarebbe meglio dire del cognome)  lasciatale dal padre, Giuliano, il cui ritratto campeggia imponente sul letto della sua stanza. Ecco che quando Asia Argento (anche lei nel ruolo di se stessa) va insieme a Vera in visita presso la tomba del “figlio di Goethe”, il problema viene espresso con immediata chiarezza: Vera sarà sempre la figlia di Giuliano Gemma, così come Asia sarà sempre la figlia di Dario Argento, nonostante i tentativi di entrambe di emanciparsi dalle rispettive figure paterne attraverso svariati tentativi di autoaffermazione personale e crescita professionale.

Tuttavia, il film non si limita a sviluppare questo tema ma elabora, in senso complesso, anche il meccanismo di sovrapposizione tra persona e personaggio che si risolve in una domanda di non facile risoluzione: quanto c’è di biografico in una narrazione cinematografica la cui protagonista offre un’interpretazione di se stessa? Vera vive, parla con sua sorella Giuliana, incontra le amiche, partecipa alle feste e ai provini, si confronta con il suo autista, insomma, espone il suo corpo alla macchina da presa, restando fedele alla sua esperienza quotidiana. A partire da questo disequilibrio tra rappresentazione e vita si concretizza un paradossale sistema in cui è la stessa Vera a entrare e a uscire dal personaggio, quasi giocando con il suo nome.

Vera è Vera quando partecipa a un provino per un film per il quale il suo volto viene ritenuto “troppo moderno” ma diventa Vera Gemma quando il regista scopre che è la figlia di Giuliano e le chiede di fare una foto con lei perché “chissà quando gli ricapita”; Vera è Vera quando, di ritorno da una festa di Federico Lauri, entra in un bar per uno shot di tequila e invita un tassista a passare la notte con lei ed è, ancora una volta, Vera Gemma quando il suo fidanzato le chiede il piccolo favore di scrivere a Monica Bellucci per proporle di essere la protagonista del film che sta girando e che Vera (da Vera) sta finanziando. Il cortocircuito tra persona e personaggio si ha nel momento in cui, di ritorno da un container in cui sono stipati gli oggetti del padre e presso il quale si era recata con il suo autista per recuperare dei filmini Super 8, la sua macchina si scontra con uno scooter sul quale viaggiano Daniel (Daniel De Palma) e suo figlio Manuel (Sebastian Dascalu).

Questo incontro viene accolto dalla donna come una occasione per entrare in contatto con una realtà periferica diversa da quella con la quale si è sempre confrontata e in cui spesso le persone hanno inteso ingannarla o sfruttarla per il suo nome e, talvolta, per il suo denaro. In particolare, il rapporto con Manuel, bambino orfano di otto anni, costituisce un’apertura unica e inedita nei confronti di una cura disinteressata dell’altro, sia in senso pratico poiché il bambino, a causa dell’incidente, ha riportato una frattura scomposta che necessita di operazione, sia in senso figurato, poiché il tempo di Vera inizia a legarsi ai tempi del bambino che, spesso, va a prendere a scuola per passare il pomeriggio insieme a fare i compiti, mangiare un gelato, guardare un film al cinema, organizzare una festa a sorpresa per la nonna. L’autenticità di un affetto che non chiede nulla in cambio affascina Vera che si lascia, tuttavia, irretire dal padre del bambino.

A differenza di quanto accade con Manuel, Vera mostra un’estrema accondiscendenza nei confronti di Daniel che viene continuamente giustificato, nonostante abbia inscenato l’incidente per ricevere il rimborso dell’assicurazione e, episodio ancor più grave, le abbia sferrato un pugno, lasciandola con metà volto tumefatto. La scelta di Vera di non denunciare l’uomo per l’aggressione è un momento inafferrabile del film che lascia interdetti. A rinforzare questo sentimento di spaesamento è la scena finale in cui Vera scopre che Daniel l’ha narcotizzata per scappare con i soldi con i quali lei avrebbe finanziato l’operazione di Manuel e, prima di andare via, è anche entrato nel suo appartamento derubandola. Ancora una volta, in maniera rassegnata, Vera decide di non formalizzare la denuncia e di ritornare alla sua vita.

A differenza di altri film che hanno inteso raccontare le vite dei padri attraverso gli occhi dei figli (tra i più recenti, DeAndré#DeAndré. Storia di un impiegato, Lena 2021), Vera rompe la dimensione umbratile di cui spesso patiscono i figli d’arte e si consacra alla parodia di questa condizione: come affermano i registi Tizza Covi e Rainer Frimmel, nel film “le persone vere rimangono vere e allo stesso tempo si trasformano in personaggi immaginari. E al termine delle riprese persino noi non sappiamo più che cosa è vero e che cosa è stato inventato” (Catalogo 2022, p. 172). In questo miscuglio omogeneo di parti diseguali, le persone non fanno altro che cercare di costruirsi nell’esatto modo in cui hanno immaginato di essere: con un cappello a tesa larga, un gilet di pelliccia, pantaloni attillati e tacchi a spillo, Vera attraversa il mondo immaginando di essere avvolta da una nuvola di sabbia.

Riferimenti bibliografici
AA.VV., 79. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, catalogo, La Biennale di Venezia, Venezia 2022.

Vera. Regia: Tizza Covi, Rainer Frimmel; sceneggiatura:   Tizza Covi; fotografia: Rainer Frimmel; montaggio: Tizza Covi; suono: Tizza Covi; interpreti: Vera Gemma, Daniel De Palma, Sebastian Dascalu, Annamaria Ciancamerla, Walter Saabel; produzione: Vento Film (Tizza Covi, Rainer Frimmel); origine: Austria; durata: 115’; anno: 2022.

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