Una giovane donna abbraccia con dolcezza un imponente albero da sughero, poggiando il viso sul suo tronco robusto. Cammina lentamente tra gli alberi, osservando con cura le meraviglie di una natura alla quale si sente profondamente legata. Le sue passeggiate sono lunghe e immerse nel silenzio del bosco, mentre le sue parole esprimono un indomito desiderio di indipendenza. Durante il cammino strappa alcuni fiori da portare a casa. È un quadro idilliaco che si spezza improvvisamente quando, sullo sfondo, appare un’opprimente costruzione metallica che rilascia un fastidioso sibilo, la cui presenza dissona con la quiete delle prime sequenze, generando un certo disagio.

La giovane che vediamo in questi primi momenti è Valentina, protagonista del documentario di Francesca Scalisi, Valentina e i MUOStri, presentato all’interno del concorso italiano durante il 65° Festival dei Popoli. La regista si dimostra ancora una volta attenta alle problematiche sociali che coinvolgono piccole comunità e all’emancipazione dei loro membri, basti pensare a Digitalkarma (2019), nel quale ci viene raccontato della lotta per l’indipendenza di una coraggiosa donna all’interno un piccolo villaggio del Bangladesh, oppure ad Half-Life In Fukushima (2017) in cui assistiamo alla difficile vita di un contadino giapponese che decide di restare nella propria città, ormai del tutto vuota in seguito al disastro nucleare.

Valentina ha 26 anni e vive a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, con suo nonno, sua madre e suo padre, in una piccola abitazione circondata da piante, fiori e alberi. Tuttavia, negli spazi immediatamente adiacenti sono state installate le imponenti antenne militari americane, «il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari che permetterà il collegamento della rete militare USA, accrescendo esponenzialmente la velocità e il numero delle informazioni e dei dati trasmessi nell’unità di tempo» (Mazzeo 2013, p. 19). Soltanto quattro al mondo sono le basi del MUOS e quella di Niscemi è l’unica ad essere stata costruita a pochissimi passi dall’uomo, devastando oltretutto una ricca e singolare riserva naturale denominata “Sughereta”, habitat prospero di flora e fauna. Le enormi antenne bianche interferiscono con la vita quotidiana di chi abita questi spazi, causando gravi disagi. Valentina e la sua famiglia, in tal senso, sono costretti spesso a illuminarsi con la luce fioca delle candele o a ricaricare i dispositivi nell’auto. Le onde, poi, non risparmiano neppure altre forme di vita che popolano il luogo: una carrellata ci mostra fiori e piccoli esseri, un tempo vivi, che giacciono ormai inerti o agli ultimi spasmi.

Questo, dunque, il “MUOStro” con il quale convivono le tante famiglie che, come quella Terranova, scelgono di continuare ad abitare questi luoghi. Valentina, a differenza della sorella, trasferitasi in città per lavoro, decide di non proseguire gli studi e di fermarsi a Niscemi per aiutare i propri cari, nonostante a più riprese manifesti la voglia di lasciare il luogo d’origine per costruire un futuro più concreto e indipendente. Le sue giornate sono scandite da piccoli gesti quotidiani: aiutare il nonno, assistere la madre, restare accanto al padre che, per via di alcune patologie, non potrà più guidare. Quest’ultimo si trova infatti a dover far fronte a dei problemi di salute non soltanto dovuti all’età, ma soprattutto al mal funzionamento del proprio pacemaker sul quale interferiscono le onde elettromagnetiche delle antenne. È proprio la necessità di utilizzare un’auto, se pur per brevi spostamenti, che porterà il signor Salvatore a dare delle lezioni di guida a Valentina, la quale appare però demoralizzata dalle brusche maniere dell’uomo. Difatti, spesso, come possiamo vedere nell’arco del film, si isola nella tranquillità della propria stanzetta, con le sue cuffie, a tessere all’uncinetto delle coloratissime rose di lana, passione ereditata dalla madre, alla quale è estremamente legata, tanto da non riuscire neppure a pensare, senza turbarsi, al momento in cui lei non ci sarà più. 

Scene semplici e al contempo di grande potenza, che riescono a trasportarci nell’intimità delle mura di casa Terranova, vero centro nevralgico del racconto di Scalisi, che sceglie di non incentrare la narrazione sulle questioni politiche intorno al MUOS, ma di mostrare una famiglia costretta ad affrontare tanti ostacoli. Ad avvalorare ciò, risulta funzionale la scelta della regista e della direttrice della fotografia, Stefania Bona, di utilizzare il formato quattro terzi piuttosto che quello standard di sedici noni; se quest’ultimo sarebbe senz’altro stato pratico per mostrare meglio i paesaggi sui quali incombono le antenne, il primo riesce a restituire invece un profondo senso d’intimità a chi sta guardando, coerentemente con la volontà della documentarista. Il Muos, nell’intreccio, resta sullo sfondo, ma la sua presenza è costante nel microcosmo che ci viene raccontato.

Sul cassetto del comodino della stanza di Valentina, così come in diversi ambienti del paesino, notiamo vari adesivi e locandine del movimento No Muos: un insieme di comitati e gruppi di cittadini che si oppongono all’installazione del sistema satellitare militare, attivi con campagne di sensibilizzazione, contestazioni pacifiche, e sporadiche occupazioni dell’area. Come ci viene mostrato nel lungometraggio, spesso queste proteste sono violentemente represse dai militari che presidiano la zona, con violenti getti d’acqua contro la folla, o, come raccontato dalla madre di Valentina, anche  mediante soprusi fisici. I residenti locali sostengono infatti che il sistema Muos rappresenti una minaccia per la salute e per l’ambiente, e una causa di militarizzazione del territorio. La presenza delle forze armate, nelle piccole stradine del paese, è sempre più costante e sembra infastidire i residenti che non tollerano di dover essere monitorati. In questo contesto, assistiamo a diverse scene in cui Valentina, durante le lezioni di guida con suo padre, viene fermata per dei controlli, che si fanno sempre più frequenti.

Ciò non bastasse, a turbare ancor più la ragazza, ci sono gli incendi, la cui natura non è mai chiara: ulteriore problematica fortemente rilevante legata non solo alla Sicilia, ma a tutto il Sud Italia. È proprio un rogo divampato in quelle zone che devasta uno di quegli alberi alla quale la giovane che fanno della maggior parte dei ricordi della propria infanzia e nei quali trova spesso rifugio, come ci mostra la sequenza d’apertura. Padre e figlia resteranno inermi mentre uno di quegli alberi viene divorato dalle fiamme; nella loro impotenza, la giovane non può fare altro che piangere per la distruzione dell’albero, mentre il padre cerca di consolarla.

Valentina è profondamente sensibile, ma, come lei stessa si definisce durante le “prove” di un fantasioso colloquio di lavoro inscenato con sua madre, è anche forte. Quando decide di partecipare alla protesta, il padre Salvatore sceglie di sostenerla, aiutandola a intraprendere un percorso di emancipazione, più volte proposto anche da sua sorella, che la porterà a prendere in mano la propria vita. Inizia così a comporre il proprio curriculum, determinata a raggiungere una maggiore indipendenza. La vediamo, infatti, verso la fine, entrare nel centro per l’impiego di Niscemi, per l’atteso colloquio: non entriamo insieme a lei, non vediamo cosa accadrà, ma ascoltiamo l’inizio della conversazione in voice off. La trasformazione è stata decisiva: quando la protagonista, al ritorno, incappa nell’ennesimo posto di blocco, muove con fermezza delle recriminazioni verso la condotta dispotica dei militari.

Il percorso di emancipazione viene punteggiato dalla colonna sonora del documentario. Sin dalle prime sequenze, sembra essere dominante il rumore disturbante delle onde elettromagnetiche, a segnalare dell’imminente pericolo, e in netto contrasto con i suoni più armoniosi della natura. Tuttavia, verso il finale, non appena Valentina decide di partecipare in maniera più attiva alle manifestazioni, questi suoni si affievoliscono progressivamente, lasciando spazio ai soavi rumori che animano la campagna. È proprio qui che dalla staticità delle riprese che inquadrano l’estensione del paesaggio, si assiste ad un movimento di camera che sale verso l’alto fino a mostrare le stelle nel cielo notturno, le quali finiscono per confondersi con le luci delle antenne.

Scegliere di restare, nonostante tutto: questo sembra essere il filo conduttore del lavoro di Francesca Scalisi, che prova l’urgenza di raccontare i disagi di una comunità e di un territorio. I gesti e i comportamenti di Valentina, della sua famiglia e degli abitanti del paese aprono uno spiraglio di speranza, cercando di difendere a tutti i costi il rapporto con il territorio, cercando anche di ridare vita a ciò che sembra non averne più, proprio come la protagonista fa con le sue rose, che donano colore a un tronco malmesso e a delle piante sfiorite.

Riferimenti bibliografici
A. Mazzeo, Il MUOStro di Niscemi. Per le guerre globali del XXI secolo, Editpress, Firenze 2013.

Valentina e i MUOStri. Regia: Francesca Scalisi; sceneggiatura: Francesca Scalisi; fotografia: Stefania Bona; musica: Olga Kokcharova; produzione: DOK Mobile, Articolture; produttori: Mark Olexa, Ivan Olgiati, Chiara Galloni; distribuzione: Articolture; origine: Italia, Svizzera; durata: 80’; anno: 2024.

Tags     Muos, resistenza, Sicilia
Share