Fissando in un quadro statico l’ineffabilità di un momento, le fotografie rinnegano il movimento che ci rende sempre diversi nell’identità di noi stessi. Il ritratto di un volto felice è transitorio perché trattiene un gesto, uno stato, una presenza senza lasciare una vera e propria testimonianza. È questa la ragione per la quale la carrellata di volti che appare nelle prime scene di Un autre monde di Stephane Brizé è anch’essa incompleta. Racconta la storia di un amore tra un uomo e una donna, un matrimonio, le nascite di una figlia e di un figlio e la loro crescita. L’ultima fotografia è la più emblematica, lo sguardo dell’uomo è appesantito, gli occhi della donna sono provati. Poco dopo, i motivi di questa trasformazione sono chiari: Philippe Lemesle (Vincent Lindon) e sua moglie Anne (Sandrine Kiberlain) sono seduti l’uno di fronte all’altra insieme ai rispettivi avvocati per contrattare i termini del loro divorzio.

Nel corso dell’incontro, l’avvocatessa di Anne rimprovera Philippe per aver fatto passare alla moglie sette anni “di inferno” a causa di una promozione sul lavoro che, pur avendo garantito notevoli vantaggi in termini economici, ha assorbito l’uomo a tal punto da fargli trascurare il benessere della sua vita familiare e personale. Philippe pretende che Anne gli dica se è vero, incalzandola a dare una risposta che sia netta e precisa e quando Anne temporeggia, evidentemente commossa, gli avvocati cercano di riportare la conversazione su un piano pratico, lasciando da parte i sentimenti e le emozioni. In fondo, si tratta di una transazione in cui occorre trovare un accordo tra le parti, proprio così come accade in un’azienda.

Nel film di Brizé, la narrazione procede su due assi paralleli che, tuttavia, si rispecchiano l’uno nell’altro nel personaggio di Philippe che, oltre alla crisi familiare, dovrà affrontare una situazione altrettanto complessa e delicata sul lavoro. Dirigente di una fabbrica del gruppo statunitense Elsonn, Philippe è chiamato a operare un taglio del 10% sul personale effettivo, sebbene non ci siano né le condizioni né i margini per poterlo fare. Nonostante sia contrario alla decisione, a causa della posizione occupata, l’uomo dovrà spronare i responsabili dei vari settori a cooperare per individuare una serie di nominativi utili per i licenziamenti. Quando il suo collaboratore e amico Olivier Lefèvre lo invita a cercare un’altra soluzione, Philippe propone a tutti i dirigenti dell’area francese di rinunciare ai propri bonus annuali per garantire all’azienda un introito che permetterebbe di mantenere invariato il numero dei lavoratori in ogni sede. Philippe occupa la posizione scomoda della medietà, trovandosi a dover dare risposte ai propri dipendenti e, allo stesso tempo, a dover portare a termine l’obiettivo che la dirigenza gli ha assegnato. È determinato a salvaguardare tutti i posti di lavoro, ma non può dirlo apertamente. Anzi, sarà proprio questa sua determinazione a condurlo di fronte a “un altro mondo”, in cui non dovrà più farsi garante di scelte che non condivide.

Quando i tre referenti sindacali dell’azienda, allarmati da “voci di corridoio”, vanno nel suo ufficio a chiedere rassicurazioni in merito a un imminente piano di riorganizzazione interna, Philippe risponde che l’azienda non ha alcuna intenzione di ridurre il personale. Pochi giorni dopo, Philippe ottiene un colloquio con il direttore generale che, pur elogiandolo per l’accuratezza del documento proposto, lo rifiuta perché non risponde alle richieste degli azionisti che spronano i dirigenti aziendali a mostrare il coraggio del sacrificio. Dovendo rispettare un obbligo al quale non può sottrarsi, Philippe è costretto a comunicare il piano ai propri dipendenti, scoprendo così che la precedente conversazione era stata registrata. L’epilogo è il licenziamento di Philippe (che viene ritenuto non all’altezza del suo ruolo di leader) e del 10% dei dipendenti. Dunque, qual è l’altro mondo se l’uomo non è riuscito a renderlo tale attraverso il suo piano alternativo?

La trasformazione principale del personaggio non riguarda tanto una sua crescita quanto un ripensamento di se stesso all’interno dei due assi della narrazione: se, da un lato, la dimensione familiare sembra essere quella più compromessa, nel corso del film, Philippe riuscirà a riavvicinarsi alla moglie e, insieme a lei, a supportare Lucas (Anthony Bajon), sostenendolo in un percorso riabilitativo resosi necessario a causa di una delicata situazione di stress emotivo e comportamentale da parte del ragazzo. Dall’altro lato, sebbene Philippe si sia dedicato completamente al lavoro per sette anni, saranno sufficienti soltanto otto settimane a rendere vana tutta la sua dedizione. È la logica aziendale a non perdonare l’emotività, quella stessa emotività che gli avvocati rimproveravano ai loro assistiti nel corso della contrattazione dei termini per la separazione.

Questa logica viene pienamente incarnata da Claire Bonnet-Guérin (Marie Drucker), la responsabile di area territoriale che chiede a Philippe di aiutarla affinché venga allontanato dall’azienda Olivier, colui che per primo ha messo in dubbio la bontà del piano dei licenziamenti. A questa proposta, Philippe risponde di aver finalmente capito di essere stato un cattivo amico (per i suoi dipendenti e collaboratori), un cattivo padre (per Lucas, e per la figlia Juliette), un cattivo marito (per Anne), affermando inoltre che la sua libertà ha un costo ma non ha un prezzo: la mancanza di coraggio rimproverata dagli azionisti diventa quindi un’assunzione di responsabilità che porrà le basi per costruire “l’altro mondo”.

Mostrando l’ambiguità del posizionamento del soggetto all’interno sia della sfera lavorativa, sia della sfera familiare, Brizé mette in questione un tema cruciale per la contemporaneità in cui si è sempre rimessi a un sistema deviato e sofista che costruisce ragioni anche nei casi in cui l’irragionevolezza è più che evidente. L’intensità dell’interpretazione di Lindon riesce a restituire appieno il percorso di comprensione di Philippe che, soltanto dopo aver considerato l’esistenza di un’alterità nei termini di un’alternativa, si trova a ripensare la sua stessa esistenza. Un’esistenza che, come già recitava il finale di Une vie (Brizé, 2016), non è né bella, né brutta. L’importante è che non sia vissuta nella medietà.

Un autre monde. Regia: Stéphane Brizé; sceneggiatura: Olivier Gorce, Stéphane Brizé; fotografia: Eric Dumont; montaggio: Anne Klotz; musiche: Camille Rocailleux; interpreti: Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon, Marie Drucker; produzione: Nord-Ouest Films (Christophe Rossignon, Philip Boëffard), France 3 Cinéma, con Diaphana, Wild Bunch International, con la partecipazione di Canal +, Ciné +, France Télévisions, con Sofitvciné 7, La Banque Postale Image 13, Cineventure 5, Manon 10, con il supporto di Région Île-de-France, Région Nouvelle-Aquitaine and Département de Lot-et-Garonne, in partnership con CNC; origine: Francia; durata: 96’.

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