Better run through the jungle
Whoa don’t look back to see
Thought I heard a rumblin’
Calling to my
name.

Creedence Clearwater Revival 

Prima frontiera. La produzione di questo Triple Frontier ha avuto una vita lunga e travagliata. Scritto da Mark Boal nel 2010 per Kathryn Bigelow, il film era destinato a diventare uno dei tasselli dell’ormai abituale collaborazione tra lo sceneggiatore e la regista (anche compagni nella vita) che sta riscrivendo i codici del war movie contemporaneo (da The Hurt Locker a Zero Dark Thirty per arrivare allo stesso Detroit). In questi nove anni, però, un numero sorprendente di grandi star sono transitate nel progetto prima di abbandonarlo definitivamente (Tom Hanks, Johnny Depp, Mark Walhberg, Will Smith, Mahershala Ali, Channing Tatum) arrivando a una soluzione solo nel 2017 con l’acquisto dei diritti da parte di Netflix e l’individuazione di un nuovo regista. Il cast definitivo – Ben Affleck e Oscar Isaac in testa – resta comunque di prim’ordine.

Seconda frontiera. J.C. Chandor è uno dei registi più talentuosi del cosiddetto cinema indipendente americano (sponda Sundance). Con All Is Lost (2013) ha firmato uno dei più strazianti survivor movie del decennio: una barca tra le onde, Robert Redford perso nell’oceano in tempesta, oltre il tempo e lo spazio, lì dove rimane l’azione pura a significare ogni sommovimento dell’anima. Ed è sempre una la questione centrale nel cinema di Chandor: come sopravvivere? Sin dall’esordio con Margin Call nel 2011 (ottimo thriller cronachistico sulla crisi finanziaria del 2008), passando appunto per l’abissale esperienza di perdita dell’icona-Redford, arrivando infine al noir metropolitano 1981 – Indagine a New York (2014) filmato come fossimo ancora nell’epoca di Sidney Lumet o Ulu Grosbard.

Terza frontiera. Queste due straordinarie traiettorie del cinema americano si incontrano nel 2019 (su Netflix) in un solidissimo film di genere. I quesiti etici sulla situazione geopolitica mondiale nello sguardo di personaggi assuefatti alla violenza (in pieno stile Boal/Bigelow) riportano a galla gli stili e i motivi del cinema di genere americano anni settanta/ottanta (in pieno stile Chandor). Cosa accade? Triple Frontier è una zona al confine tra Argentina, Paraguay e Brasile dove si toccano i limiti estremi dei tre stati sudamericani. E proprio in quella zona si rifugia un potente narcotrafficante colombiano che ha costruito una casa-cassaforte nella giungla nascondendo centinaia di milioni di dollari.

Santiago “Pope” Garcia (Oscar Isaac) è un consulente delle Forze Speciali americane nonché ex agente operativo; quando viene a sapere dell’esatta ubicazione di quella villa torna in America per ricomporre la sua vecchia squadra nell’esercito e organizzare un piano d’assalto. Pope ritrova Tom (Ben Affleck) che fa l’agente immobiliare e ha seri problemi economici, poi Ironhead (Charlie Hunnan), Ben (Garrett Hedlund), Catfish (Pedro Pascal), tutti in balia di una personale crisi e in qualche modo costretti a sopravvivere da “reduci”. Inizialmente titubanti all’offerta di Pope gli amici sono comunque affascinati dal tornare in azione: l’obiettivo è quello rubare i soldi sporchi, attraversare la frontiera e iniziare una nuova vita “perché meritavamo di più”.

Eccoci al punto: un mucchio selvaggio alla Sam Peckinpah in un dispositivo d’azione alla Walter Hill (I guerrieri della palude silenziosa è un referente obbligato) fa pian piano riaffiorare istinti ferini alla William Friedkin (il suo capolavoro maledetto Sorcerer torna in mente in questa metafisica esperienza della giungla). La memoria corre pertanto una stagione precisa di cinema americano in cui nella dura confezione del genere esplodono le ambiguità morali dell’individuo in un (in)diretto discorso politico sulla contemporaneità. Sono nuovamente le azioni a definire i caratteri, il film non perde tempo: le frontiere (morali) sono subito attraversate e la casa-cassaforte violata con forza. Il denaro è tanto, tantissimo, pesa… come trasportarlo? L’avidità fa perdere tempo e mezzi, il film si dilata, si smarrisce nella giungla e diventa nuovamente un survivor movie. Con la magnifica colonna sonora – tra i Creedence Clearwater Revival e il Bob Dylan di Masters of War – che apre ulteriori orizzonti interpretativi.

Il bottino si assottiglia pian piano nel viaggio di ritorno. Dall’elicottero alla foresta, dalle vette delle Ande da attraversare con i muli ai campi lunghissimi delle valli che ci immergono in un western crepuscolare. Sopravvive solo l’amicizia oltre il denaro, davanti a un bivacco, come fossimo in un film scritto da John Milius (con tanto di sbandierato omaggio ad Apocalypse Now). Una liminale lotta con la natura e con i propri confini etici che costringe il gruppo a fare scelte, ridiscutere codici, ritrovarsi faccia a faccia con la morte, sino a un gesto finale che ci riporta al cinema di Michael Cimino.

Insomma: Triple Frontier è un progetto travagliato, rimandato e rimaneggiato per nove lunghi anni, che non nasconde mai le cicatrici dei tanti sguardi che lo hanno attraversato, ma che s’impone nel 2019 con rara e sincera potenza cinematografica (anche su Netflix) confermando il talento cristallino di J.C. Chandor.

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