Tutti i film che hanno per protagonista Checco Zalone si basano su uno dei meccanismi drammaturgici più caratterizzanti e recursivi della commedia italiana: il dèplacement. Lo spiazzamento, la dislocazione. È il meccanismo che regge tanti classici della commedia, da Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque a Il diavolo (1963) di Gian Luigi Polidoro, via via fino ai film del primo Salvatores e a tutti i cinepanettoni: prendi un personaggio-tipo (il più possibile stereotipato), strappalo bruscamente al suo contesto abituale, sbattilo in un contesto geografico, sociale e/o culturale che non conosce e stai a vedere cosa succede. In genere, l’attrito fra i codici del personaggio protagonista e quelli del nuovo ambiente in cui si trova a dover agire genera situazioni dall’effetto comico garantito.

Il personaggio di Checco Zalone è stato spesso “agito” dai suoi sceneggiatori proprio all’interno di questo meccanismo canonico: in Cado dalle nubi (2009) Checco lascia la natia Puglia per andare a cercar fortuna a Milano, in Quo vado? (2016) accetta di essere trasferito in Norvegia pur di poter conservare l’agognato posto fisso e ora in Tolo Tolo fugge addirittura in Africa per sottrarsi alle conseguenze di un fallimento imprenditoriale maturato nella sua terra d’origine. Ogni volta Checco – la sua maschera – porta con sé i pregiudizi e i luoghi comuni dell’italiano medio, a cominciare dalla diffidenza nei confronti del diverso, conditi da una sfacciata, ostentata e grossolana ignoranza (in Che bella giornata, 2011, crede che l’Islam sia un paese invece che una religione, in Tolo Tolo cita Neruda come se fosse un pittore e pensa che Bertolucci sia la marca di un tè venduto nel deserto).

Rispetto ai film precedenti Tolo Tolo presenta però una differenza non trascurabile: prima Checco era tendenzialmente un personaggio evolutivo, in Tolo Tolo non lo è più. Alla fine di Quo vado?, ad esempio, Checco abbandonava l’idolatria del posto fisso e andava a fare il volontario in Africa con una compagna che aveva già tre figli da tre uomini di etnie diverse. In Tolo Tolo Checco rimane invece identico a se stesso: scappa in Africa, sfugge a un attentato terroristico, attraversa il deserto, finisce in un carcere libico, si imbarca su una nave di profughi che attraversa il Mediterraneo e riapproda in Italia restando sostanzialmente quello che era all’inizio del film, fedele all’unico culto dell’acido ialuronico, del corpo abbronzato e dell’abbigliamento firmato, senza che gli avvenimenti in cui è rimasto coinvolto siano riusciti a scalfirlo e a trasformarlo. Un passo indietro rispetto ai film precedenti, scritti e diretti da Gennaro Nunziante? Vedremo.

Intanto, è comunque il caso di rilevare che Tolo Tolo – scritto in collaborazione con Paolo Virzìcambia qualcosa sul registro comico (la tessitura delle gag è meno densa, la partitura ritmica di Nunziante non c’è più, la risata si fa più fine e meno immediata), ma guadagna qualcosa sul piano più specificamente filmico e sociale. Vediamo innanzitutto l’aspetto filmico: Luca Medici (che firma la regia con il suo vero nome, quasi a marcare la differenza fra autore e personaggio) dimostra una notevole padronanza del linguaggio cinematografico, tanto da riuscire a far l’Italia nera con un solo piano-sequenza: quello che sulle note di Italia di Mino Reitano scivola sulla visione onirica di un’Italia da cartolina dove perfino il David di Michelangelo è nero, e neri i gondolieri veneziani, neri i piccoli sudtirolesi, neri perfino i calciatori della nazionale.

La messinscena, complessivamente considerata, opta per la forma del pastiche. Tolo Tolo ibrida generi e linguaggi con una ribalderia e un’esuberanza davvero travolgenti: c’è il musical e c’è il cartone animato disneyano finale, ci sono i balletti acquatici alla Esther Williams e c’è l’action movie, i toni da commedia cinica trascolorano a volte nel patetismo romantico, Primo Levi viene citato al fianco di Francesco De Gregori, Mamma Roma (di cui si vede una scena) è citato accanto a Salvate il soldato Ryan (di cui si rifà affettuosamente una scena). L’ibridazione non è solo il tema del film, diventa anche il suo linguaggio. E il pastiche diventa la forma che consente al film di aderire al suo oggetto.

Quanto al meccanismo della dislocazione, in Tolo Tolo diventa capillare e pervasivo, non definisce più solo la macrostruttura narrativa ma si insinua negli interstizi del racconto. Nessuno in Tolo Tolo è mai dove dovrebbe essere. Ed è questo essere sempre nel posto sbagliato che innesca il meccanismo comico. Gli abitanti di Spinazzola, ad esempio, seguono il nastro del sushi invece di stare fermi, Checco si rialza sul pullman dei migranti invece di stare sdraiato e nascosto, e così via.

Veniamo all’impatto sociale che il film può avere sul pubblico. Tolo Tolo è in fondo un apologo in tre atti sul tema della contaminazione culturale. Il primo atto mette in scena un esempio di contaminazione fallita (il tentativo di Checco di aprire con i soldi dei parenti un sushi bar a Spinazzola fallisce non tanto e non solo per la voracità dello stato e delle tasse, come pensa Checco in chiave autoassolutoria, ma per l’ignoranza dei potenziali clienti, poco disposti – dopo l’euforia iniziale dell’evento – a mettere in discussione le proprie abitudini alimentari). Il secondo atto – quello ambientato in Africa – è un esempio emblematico di contaminazione culturale subita ma non compiuta: Checco entra in contatto con un’altra cultura, ma non capisce, continua ad applicare i suoi schemi mentali a una realtà che richiede sguardi diversi, continua ad essere il Candide un po’ troglodita che proprio perché non vede riesce a far vedere a noi.

Come diceva Barthes a proposito di Charlot: «Vedere qualcuno che non vede è il modo migliore per vedere quello che non vede» (Barthes 1975). Charlot non vede l’ingiustizia di cui è vittima. Quando in Modern Times è costretto all’inferno della catena di montaggio non percepisce quel suo dover continuamente e ossessivamente avvitare bulloni come l’effetto del modo di produzione fordista, ma come un destino a cui sarebbe vano ribellarsi. Infatti lui non si ribella. Charlot non vede affinché noi possiamo vedere ciò che lui non vede. Una cosa analoga si può dire di Checco: lui non vede, ma noi vediamo. Non solo la povertà e la dignità degli africani, vediamo anche che colui che sembrava l’africano più colto e istruito (il fan del cinema neorealista!) in realtà è un traditore, vediamo che il reporter francese umanitario è in realtà un odioso narciso radical-chic che abbandona i suoi compagni di viaggio in un carcere libico, e così via.

Il terzo atto, infine, schizza un abbozzo di contaminazione culturale riuscita: dopo il rientro di Checco in Italia, il concerto multiculturale finale e l’agnizione fra padre e figlio in un contesto di accoglienza lascia intravvedere un diverso possibile esito dei viaggi dei migranti. Ma allora perché – come si diceva poc’anzi – Checco non cambia e rimane identico a quello che era all’inizio? Una risposta possibile potrebbe essere questa: Checco questa volta non cambia perché rispecchia anche in questo l’insensibilità dell’italiano medio di cui la sua maschera è epitome ed epitaffio: quell’italiano che per quanti naufragi in mare abbia visto, pur essendo stato testimone di tragedie umanitarie e di catastrofi epocali, si esalta solo al grido “Prima gli italiani!” e sente riaffiorare in sé il germe del fascismo («Un’infezione latente», diceva Primo Levi) non appena si trova di fronte al diverso o a ciò che non capisce e che lo turba (l’immigrato).

Il Checco di Tolo Tolo è statico e immutabile come il paese a cui dà voce: un paese che arriva perfino a prendere le distanze dal suo idolo comico epocale (si vedano i numerosi articoli che sottolineano che Tolo Tolo non fa ridere) se questi gli propone di mettere in discussione i propri pregiudizi, le proprie certezze e le proprie idées reçues.

Riferimenti bibliografici
R. Barthes, I miti d’oggi, Einaudi, Torino 1975.
G. Canova, Quo chi? Di cosa ridiamo quando ridiamo di Checco Zalone, Sagoma, Vimercate 2016.
A. Amorosi, Abbiamo visto per voi Tolo Tolo. Il verdetto: una c…ata pazzesca, Affaritaliani.it, 4 gennaio 2020; A. Cazzullo, Il film non fa molto ridere, ma va visto, Corriere della sera, 3 gennaio 2020; V. Caprara, Un road movie alla rovescia, più canzoni che sorrisi, Il Mattino, 3 gennaio 2020; P. Mereghetti, Tolo Tolo di Checco Zalone: sgradevolezze e crudeltà sulle orme di Alberto Sordi, Corriere della sera, 27 gennaio 2019; A. Minuz, L’Italia rovesciata di Zalone, Il Foglio, 28/29 dicembre 2019; E. Morreale, Zalone, il “nuovo mostro” che racconta la realtà, la Repubblica, 2 gennaio 2020.

Tolo Tolo. Regia: Checco Zalone; sceneggiatura: Checco Zalone e Paolo Virzì; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Pietro Morana; musiche: Checco Zalone in collaborazione con Antonio Iammarino e Giuseppe Saponari; interpreti: Checco Zalone, Souleymane Sylla, Manda Touré, Nassor Said Birya, Alexis Michalik, Arianna Scommegna, Antonella Attili, Pier Maria Cecchini, Gianni D’Addario, Nicola Nocella, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso, Sara Putignano, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari; produzione: Medusa Film, Taodue; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia; durata: 90′.

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