Il cinema si è da sempre posto come arte di convergenza di una moltitudine di influenze artistiche, dalla letteratura alla musica, passando per le arti figurative, al fine di configurarsi quale il catalizzatore di una serie di espressioni estetiche da cui trarre l’origine di un racconto per immagini. Per quanto, in tutte le cinematografie mondiali, è possibile riscontrare il debito culturale, ontologico e narrativo che alcune opere mostrano nei confronti della pittura, in Tiepide acque di primavera l’arte figurativa (cinese) non è meramente il mezzo di ispirazione di una narrazione filmica, ma il paradigma estetico inderogabile dell’intero racconto, il centro speculativo imprescindibile da cui il film trae i suoi significati, i filoni narrativi e la dimensione estetica in cui si iscrive la sua storia. Il lungometraggio di Gu Xiaogang – al suo debutto nell’opera di finzione – infatti, propone non solo un ragionamento sistematico su cosa significhi costruire una narrazione cinematografica a partire da un celebre dipinto ma, in particolar modo, su come si possano trasporre attraverso il linguaggio filmico, i codici estetici dell’arte figurativa, senza perdere di coerenza e impatto narrativo.

Prendendo le mosse dal celebre dipinto di Huang Gongwang Abitare tra le montagne di Fuchun (1348-1350), Tiepide acque di primavera – primo capitolo di una trilogia basata sull’opera del pensatore/artista – articola sia dal punto di vista estetico, che narrativo, un racconto dalla connessione immediata (e imprescindibile!) con la grammatica tipica dell’arte sinica. Analogamente allo Shan shui – un tipo di pittura naturalistica dominata da soggetti paesaggistici come montagne, fiumi e cascate (Sirèn 1956) osservati nel susseguirsi delle stagioni – il film dialoga apertamente con l’arte medievale cinese, raccontando la travagliata storia della famiglia Gu alle prese con i drammi esistenziali nel corso dei quattro periodi di cui si compone un anno (le riprese, infatti, sono durate poco più di due anni, in modo da restituire sullo schermo il succedersi delle stagioni e agevolare, nel contempo, la disponibilità degli interpreti non professionisti, impegnati quotidianamente con i loro rispettivi mestieri).

Nel tradurre in termini filmici i codici, l’estetica e il linguaggio della pittura paesaggistica della dinastia Yuan (1228-1368), Gu Xiaogang ambienta prima di tutto la storia nella Cina sud-orientale, precisamente a Fuyang, crocevia di una molteplicità di ambientazioni e paesaggi differenti (la città è bagnata dal fiume Fuchun, sulle cui sponde sorgono le montagne della Cicogna e del Cervo, contrapposte alla megalopoli di Hangzhou), al fine di offrire una sovrapposizione costante di spazi diversi (urbani, montuosi, forestali, acquei). Dal momento che i dipinti dello Shan shui si caratterizzano per un complesso e rigoroso insieme di regole riguardanti la forma, la composizione e l’equilibro, per cui «i sentieri non entrano in sovrapposizione in linea retta, ma serpeggiano come un torrente» (Sirèn 1956, pp. 62, 104), in Tiepide acque di primavera il linguaggio filmico adottato riflette questo stesso andamento estetico, attraverso la connessione dei paesaggi raffigurati nei singoli piani delle inquadrature. I piani-sequenza e i long takes di cui si compone l’opera vengono qui messi al servizio di una “poetica della comparazione figurale” dove le porzioni delle singole inquadrature (dagli sfondi, ai primi piani) restituiscono una geografia di spazi interconnessi ampiamente diversificata (in linea con i codici figurativi dei dipinti cinesi medievali).

 

Un approccio evidente negli establishing shot del film (che restituiscono, dall’alto, una visione comparata degli spazi, con la porzione inferiore dell’inquadratura visivamente occupata dalle costruzioni architettoniche in cemento, stagliate contro ambienti naturali dominanti la porzione superiore del quadro), che trova la sua più alta teorizzazione, formulazione ed esecuzione estetica nei piani-sequenza. Nella scena dove la giovane nipote della matriarca passeggia insieme al fidanzato in riva al fiume (risolta in un’unica inquadratura), la macchina da presa – montata su una barca in movimento – segue a distanza i movimenti dei personaggi (stagliati su uno sfondo forestale), in una lunga carrellata che mette in relazione, nel medesimo quadro e in assenza di montaggio, una serie di ambienti differenti (la foresta è relegata sullo fondo, la riva nella porzione centrale dell’inquadratura e il fiume in primo piano), per poi confluire in una panoramica (senza alcuno stacco, con la barca che inverte la rotta) che ci restituisce l’immagine di una montagna, in una netta continuità iconografica con il celebre dipinto di Huang Gongwuang.

Seppur in Tiepide acque di primavera la traduzione filmica dei codici figurativi dell’arte medievale passi perlopiù attraverso l’immagine, non bisogna però sottovalutare il ruolo che Gu Xiaogang assegna alla cornice narrativa nel trasporre in termini diegetici quell’interconnessione di più dimensioni attorno a cui si struttura Abitare tra le montagne di Fuchun. Intersecando tra loro i filoni relativi ai percorsi dei vari componenti della famiglia Gu – le cui storie e i conflitti si inseguono continuamente, sovrapponendosi in un complessa rete di intrecci e sentieri narrativi – il film mostra un’adesione evidente alla dimensione comparativa tipica dello Shan Shui anche sotto il profilo della narrazione. Un approccio ad incastro di cui il lungometraggio dispone per rinsaldare ulteriormente il legame con l’immaginario artistico/culturale del passato, senza però sacrificare sull’altare della rimemorazione uno sguardo incontrovertibilmente calato nella sfera politico/sociale della Cina del presente.

Nel mutuare da Mizoguchi e Hou Hsiao-hsien un racconto a metà tra tradizione e modernità, Gu Xiaogang articola qui una narrazione sul confronto tra spazi e generazioni (non a caso gli adulti parlano in dialetto locale, mentre i giovani in mandarino), in un ambiente in continuo mutamento. L’intreccio di sentieri narrativi e geografici si disloca tra il costante processo di urbanizzazione (in relazione alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022) e incontaminati scenari naturali, tra la traduzione estetica di raffigurazioni del passato e lo sguardo sul presente/futuro, per culminare in un’ultima, rassicurante immagine di catartica essenza. Ciò che resta, allora, è un momento di silenzio, dove i grattacieli che torreggiano sul fiume osservano, come in un dipinto, l’immobilità di un luogo dalla bellezza spiazzante.

 

Riferimenti bibliografici
O. Sirèn, Chinese Painting: Leading Masters and Principles, Ronald Press, New York 1956.
C. Yee, S.I. Hsiung, The Chinese Eye: an Interpretation of Chinese Painting, Indiana University Press, Bloomington 1964.

Tiepide acque di primavera. Regia: Gu Xiaogang; sceneggiatura: Gu Xiaogang; fotografia: Yumi Ninghu; montaggio: Liu Xinzhu; interpreti: Qian Youfa, Wang Fengjuan, Zhang Renliang, Zhang Guoying, Sun Zhangjian, Du Hongjun, Sun Zhangwei, Peng Luqi,  Zhuang Yi, Sun Zikang; produzione: Dadi Film, Qu Jing Pictures, Factory Gate Films; distribuzione: Movies Inspired; origine: Cina; anno: 2019; durata: 150′.

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