The Rossellinis, presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e ora disponibile sulle principali piattaforme streaming, è il primo film di Alessandro Rossellini, nipote del regista Roberto. Il documentario, che segue Alessandro nel suo viaggio alla ricerca dei familiari – dall’Italia alla Svezia, da Dubai agli Stati Uniti – si chiede che conseguenze abbia avuto su ognuno dei membri l’essere un/a Rossellini, cioè discendente di uno dei più celebrati registi italiani nel mondo, autore di capolavori come Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) e considerato uno dei padri del neorealismo. Alessandro – un passato da tossicodipendente che non nasconde e che anzi è centrale nella narrazione – con rara, brutale onestà confessa di non essersi sentito mai all’altezza del famoso nonno e sospetta che anche per i figli e le figlie di Rossellini sia così. Battezzando questa malattia esistenziale “rossellinite”, Alessandro decide quindi di andare in cerca della grande famiglia allargata dei Rossellini per una sorta di pubblica terapia familiare.
All’inizio lento e forse un po’ spaesato, come il suo regista, piano piano il documentario procede e diventa un viaggio, goffo ma sincero, all’interno della famiglia disfunzionale più famosa del cinema. In questo viaggio, ideali compagni sono Eros e Thanatos, la pulsione erotica e vitale contro la pulsione di morte e autodistruzione. Thanatos viene evocato fin all’inizio, con le immagini del funerale di Roberto Rossellini nel 1977 e la visita alla tomba di famiglia, in cui i figli Isabella e Renzo – discutendo del post-mortem – esprimono entrambi il desiderio di essere seppelliti accanto al padre, in una competizione per la prossimità fisica e affettiva che non si spegne neppure dopo la morte. Thanatos poi ritorna sia nel ricordo di Gil, figlio adottivo scomparso nel 2008, sia nei problemi di malattia e tossicodipendenza che hanno segnato la vita di Alessandro e dello stesso Gil.
A fare da contraltare, la presenza di Eros nella straripante vitalità di un patriarca che si sposò tre volte e fu padre di sette figli (tra biologici e adottivi) e nell’amore che – nonostante crisi e incomprensioni – lega la grande famiglia rosselliniana. L’idea di paternità, cinematografica e genetica, è centrale nel documentario ed è costantemente richiamata da paralleli tra i ricordi d’infanzia dei figli Renzo, Robin, Ingrid, Isabella, Raffaella, immagini d’archivio e sequenze dei film di Rossellini, da Roma città aperta (1945) a Europa 51 (1952), da Viaggio in Italia (1954) a La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966). La tesi di Alessandro è che l’indiscusso talento artistico di Rossellini e la sua personalità carismatica, egocentrica e anticonvenzionale non solo abbia causato quel senso di inadeguatezza ribattezzato “rossellinite”, ma anche una conveniente rimozione delle mancanze di Rossellini come padre e come uomo.
Agli zii e alle zie, Alessandro chiede quindi un dialogo onesto sulle difficoltà di essere discendenti del padre-padrone Rossellini. Non tutti lo assecondano: c’è più affinità di intenti con lo zio Robin, ex latin lover ora in ritiro in una piccola isola della Svezia, e Raffaella, ora convertita all’Islam con il nome di Nur, che vive a Dubai. Robin e Nur confessano con onestà il loro disagio per un padre considerato egoista, superficiale e dominatore, la malsana competizione tra fratelli e sorelle per il suo amore nonostante tutto, la loro fuga da una famiglia spesso mai sentita come accogliente. Più difficili i rapporti ed il dialogo con le gemelle Ingrid e Isabella, che rifiutano di accettare, anche ironicamente, la diagnosi di “rossellinite” e non cedono alla richiesta di un j’accuse al patriarca.
La personalità che emerge incontrastata nel racconto di Alessandro è proprio zia Isabella, chiamata perfidamente ex modella nella sequenza d’apertura, ma considerata anche l’unica erede – tra tutti i membri del clan Rossellini – del carisma e del successo del padre. Isabella è la più serena e controllata nelle interviste, spesso irritanti e troppo guidate, a cui Alessandro sottopone i familiari, emergendo come una soddisfatta matriarca che ha preso il posto dell’amatissimo padre, superandolo anche dal punto di vista finanziario. Se infatti la voce fuori campo di Alessandro commenta il funerale del nonno dicendo che non ha lasciato ai familiari nemmeno una lira, Isabella è la zia magnanima a cui chiedere aiuto economico al bisogno. Da più di trent’anni modella, attrice, scrittrice, regista, Isabella Rossellini ha trasformato il cognome paterno in un brand che mescola insieme tradizione cinematografica, celebrità, glamour e moda, tanto che il documentario si chiude con una catartica rimpatriata familiare organizzata da Vogue Italia, in cui il clan Rossellini al completo posa con gli abiti di Dolce e Gabbana.
La bellezza e l’importanza strategica che, chi la possiede, ottiene in un mondo vetrinizzato e centrato sull’immagine è l’altra grande ossessione del documentario di Alessandro Rossellini. Se Alessandro si descrive come il brutto anatroccolo del clan in cerca di amore e redenzione, Isabella è colei che grazie all’uso sapiente e calcolato della bellezza ereditata dalla madre – la star hollywoodiana Ingrid Bergman – è rimasta immune dalla “rossellinite” e dai fantasmi di morte e distruzione che porta con sé. L’attrice e modella infatti ha costruito nel tempo un’immagine di eleganza e sofisticazione, ma anche di sensualità eccentrica e fuori dai canoni, che le hanno recentemente valso il premio Stella della Mole del Torino Film Festival per aver saputo «portare bellezza in ogni forma d’arte con la quale si è misurata, dal cinema al teatro, ai video musicali, alla moda». Associando bellezza e autenticità, per esempio nelle campagne pubblicitarie di Lancôme, Isabella è ora anche la testimonial del concetto di “bellezza senza tempo” funzionale ad una grey economy che mira a vendere prodotti antietà alle donne mature.
Per Umberto Eco, la Bellezza nel XX secolo è politeista e sincretica, perché unisce la provocazione delle avanguardie così come le esigenze del consumo portate avanti dal cinema e dai mass media. Nella costruzione della star persona di Isabella Rossellini, così come emerge anche dal documentario del nipote Alessandro, la bellezza non è più un valore effimero legato al tempo biologico e quindi difficilmente prolungabile e controllabile, ma una pratica di constante monitoraggio e autodisciplina, possibile attraverso la materialità del successo economico e finanziario. La bellezza, dunque, può essere l’antidoto alla “rossellinite”, ma solo se capitalizzata e trasformata in un marchio di famiglia, come ha fatto Isabella Rossellini, i cui figli – estremamente fotogenici, come ribadisce più volte Alessandro – hanno seguito le orme della madre. Non è un caso, dunque, se la pacificazione tra Alessandro e i parenti arriva anche grazie ad un servizio di moda organizzato da Isabella, dove i “Rossellinis” posano come una grande famiglia allargata, multietnica e glamour, nel ricordo di un patriarca che sarà sempre impossibile superare.
Riferimenti bibliografici
V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale: il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
U. Eco, a cura di, Storia della bellezza, Bompiani, Milano 2002.
S. Freud, Al di là del principio del piacere, Mondadori, Milano 2007.
The Rossellinis. Regia: Alessandro Rossellini; sceneggiatura: Andrea Paolo Massara, Alessandro Rossellini, Dāvis Sīmanis; interpreti: Isabella Rossellini, Alessandro Rossellini, Renzo Rossellini, Tommaso Rossellini; produzione: B&B Film; distribuzione: Nexo Digital; origine: Italia, Lettonia; anno: 2020; durata: 90′.