Il continuo gioco di interazioni che si stabilisce tra cinema e letteratura è impossibile da negare: il cinema non ha mai potuto prescindere dalla letteratura come, allo stesso tempo, ha sùbito influenzato la produzione letteraria, sia nelle tecniche che nelle trame. La reciproca implicazione tra le due parti permette al lettore/spettatore di godere di una incredibile fluidità tra le arti: si può vedere un racconto o leggere un film. Nel caso che stiamo affrontando, però, non si tratta di un grande romanzo visivo o della trasposizione di un grande classico, ma di una breve novella dell’autrice Claire Keegan, dal titolo Foster, pubblicata sul periodico statunitense “The New Yorker” nel febbraio del 2010. Nel 2018 il regista Colm Bairéad incontra per la prima volta il breve testo, restandone catturato e decidendo di farne un film: così prende vita The Quiet Girl, candidato agli Oscar 2023 nella categoria miglior film internazionale.

La novella, dal quale il film prende spunto, è senz’altro una novella visiva: la narrazione procede per immagini che si concatenano l’una all’altra permettendo allo spettatore di prefigurare, attraverso l’immaginazione, il suo film. Vedere il film dopo aver letto la novella è, infatti, come rivederlo per una seconda volta: il montaggio delle immagini del film è anticipato da quello delle parole immaginifiche della novella. «Le competenze intertestuali del lettore d’oggi sono in realtà intermediali: durante la lettura vengono, cioè, attivati modelli figurativi appresi e interiorizzati attraverso il cinema, la televisione, il fumetto, con effetti di risonanza che agiscono sul lettore, ma che prima ancora possono aver agito sullo scrittore» (Costa 1993). L’uso della narrazione in prima persona e l’utilizzo del verbo to flash, che potrebbe essere tradotto con “balenare”, confessa il proposito della scrittrice: farci, non solo leggere, ma anche vedere il racconto.

Secondo il critico Tullio Kezich, l’intimo rapporto che lega il cinema e la letteratura non va cercato tanto nella fedeltà al testo letterario o nel valore artistico della trasposizione cinematografica, ma «nell’alone che riescono a suscitare, la forza mitizzatrice che emanano, il fascino che esercitano sulle masse». (Kezich 1986). L’alone che si estende dalle pagine di Keegan fino alle immagini di Bairéad è quello della dolcezza del gesto, capace di rivelare la prepotenza delle sensazioni corporee.

Al centro della narrazione è la vita di Cáit, una silenziosa bambina di nove anni, che vive in una famiglia indigente, poco attenta alle sue esigenze. Un giorno, la madre e il padre decidono di spedirla da alcuni parenti per un tempo indeterminato. Cáit comprenderà cosa voglia dire essere una famiglia e troverà il calore e i gesti di accudimento mai sperimentati. I signori Kinsella, infatti, diventeranno dei genitori adottivi e Cáit una figlia ritrovata: svolge le faccende di casa, prepara i pasti, aiuta in fattoria e condivide dei momenti di serenità. Il continuo silenzio della bambina evidenzia come il suo corpo sia uno specchio sensoriale sopra cui si riflette il mondo: se nella novella i suoi pensieri sono sempre esplicitati dalla narrazione in prima persona, il film la fa parlare attraverso le espressioni, i gesti, gli sguardi e i movimenti del corpo.

È, infatti, proprio il suo corpo ad essere il perno del passaggio dalle parole alle immagini. L’intensa presenza del corpo della protagonista permette anche allo spettatore di cogliere gli stimoli fisiologici-sensuali forniti dalle immagini. Fin dalla prima sequenza, in cui Cáit immersa tra le frasche, in posizione fetale, si rialza improvvisamente, come quasi a risorgere, il film innesca nello spettatore dei precisi pensieri carnali. Lo spettatore, come essere corporeo-materiale «può instaurare una relazione di tipo diretto e non linguistico con lo spazio, gli oggetti, le azioni, le emozioni e le sensazioni altrui, per il tramite dell’attivazione di rappresentazioni sensori-motorie e viscero-motorie nel cervello dell’osservatore» (Gallese, Guerra 2015).

Non è possibile, infatti, restare indifferenti alle spie sensoriali disseminate dal regista: l’erba umida, la terra granulosa al contatto con i sandali, la cenere delle sigarette e l’odore del fumo, i raggi del sole e il calore dell’acqua. Gli elementi materiali stimolano direttamente gli strati corporei dell’essere umano: sono i suoi sensi e i suoi nervi ad essere sensibilizzati, coinvolgendo gradualmente la sua intera sostanza fisiologica. I gesti di affetto dei signori Kinsella, come le cento pettinate serali della signora Eibhlín o il biscottino lasciato sul tavolo dal signor Seán, valgono molto più di tante parole che potevano essere dette. Perché è proprio quando le parole non bastano che le immagini e i gesti riescono a parlare: immagini odorose, tattili e talvolta gustative permettono allo spettatore di cogliere la fragranza del gesto e di meditare su quanto esso possa fare la differenza.

The Quiet girl ha il potere di far ricordare al lettore/spettatore due verità fondamentali: vivere l’esperienza del film, non è solo vedere il film, ma interessa la fisicità degli spettatori; vivere l’esperienza del libro, non è solo leggere il libro, ma lasciare che il sensuale svolgersi delle parole, possa creare immagini e sensazioni.

Riferimenti bibliografici
A. Costa, Immagine di un’immagine, Cinema e letteratura, UTET, Torino 1993.
T. Kezich, Mattia Pascal uno due tre, in Omaggio a Pirandello, a cura di Leonardo Sciascia, Bompiani, Milano 1986.
M. Guerra, V. Gallese, Lo schermo empatico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015.

The Quiet Girl. Regia: Colm Bairéad; sceneggiatura: Colm Bairéad; fotografia: Kate McCullough; montaggio: John Murphy; musiche: Stephen Rennicks; interpreti: Carrie Crowley, Andrew Bennett, Catherine Clinch, Michael Patric, Kate Nic Chonaonaigh; produzione: Inscéal, Broadcasting Authority of Ireland; origine: Irlanda; durata: 95’; anno: 2022.

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