Questo contributo si configura come una sorta di post scriptum al volume Game of Thrones: una mappa per immaginare mondi, uscito per la collana Narrazioni seriali (Mimesis) all’inizio del 2017. Il libro nasceva, per così dire, sotto il segno di una doppia difficoltà, che occorreva trasformare in una sfida. Da un lato, volendosi limitare all’espansione lineare nel tempo senza considerare quella transmediale, si trattava di rendere conto di un prodotto seriale inconcluso, un’ampia e complessa narrazione che si era già articolata nell’arco di dieci stagioni (dal 2011 al 2016), per un totale di 60 episodi, ed era destinata a estendersi e intricarsi ancora. Dall’altro, bisognava necessariamente operare delle selezioni e quindi delle esclusioni rispetto alla ricchezza di spunti di indagine che la serie attiva e alla molteplicità di approcci che consente di adottare: una ricchezza e una molteplicità che rientrano senza dubbio tra i principali punti di forza del conclamato successo di HBO. Nell’introduzione avevamo menzionato almeno qualcuna delle piste a cui il volume aveva rinunciato, o che aveva potuto soltanto sfiorare, da quelle più tradizionali, come i rapporti con il racconto letterario o i generi popolari (non solo il fantasy), a quelle interdisciplinari, (le possibili letture nella prospettiva della storia delle religioni o delle tecniche militari); fino a quelle che caratterizzano maggiormente il panorama degli studi contemporanei sulla serialità, come il fandom o, più in generale, le pratiche di consumo e/o di “riappropriazione”.
Ma cosa possiamo invece dire, esclusivamente sulla base del primo episodio della nuova stagione (trasmesso in Italia da Sky nella notte del 17 luglio), non tanto delle piste che il volume tralascia, ma di quelle che prova a percorrere?
La preparazione dell’arrivo della settima stagione, così come il suo avvio (a partire dalla doppia folgorante apparizione delle mappe diegetiche che suggellano il conflitto tra le due regine), confermano la centralità del concetto di mappa, sia rispetto alla gestione del rapporto tra complessità spaziale e complessità narrativa, sia rispetto ai processi di fruizione della serie. La celebrata sequenza dinamica ed evolutiva dei titoli di testa, bizzarro “orienting paratext” (Jason Mittell, Complex TV. Minimum Fax, 2017) che da un lato valorizza la mappa come dispositivo privilegiato di introduzione e orientamento, nonché di organizzazione e condivisione del sapere, e dall’altro ha bisogno di ulteriori strumenti paratestuali per essere compresa nel suo complesso funzionamento, sollecitando da subito la partecipazione dei fan, non è che uno dei moltissimi “dispositivi cartografici” di orientamento nel mondo della serie che si vanno via via moltiplicando.
In questo senso, è interessante rilevare la proliferazione di “orienting paratext” e l’investimento di Sky nel mettere a disposizione sui suoi diversi canali, per novizi e/o appassionati, un ricco e ampio repertorio di contenuti, dalle infografiche delle stagioni pubblicate sul sito di Sky Atlantic e condivise su Facebook, agli approfondimenti che vanno a comporre lo “Speciale Trono” sulla piattaforma Now TV: recap di varia ampiezza, interviste al cast e alla troupe, “greatest moments”, omaggi ai fan, per un totale di cinquanta contenuti che preparano l’arrivo della settima stagione e scandiscono l’attesa dello spettatore.
Va detto che Sky si è spinta molto oltre nel preparare l’avvio della nuova stagione, e che questo ulteriore investimento merita qualche riflessione. Uno dei molti fattori del successo di Game of Thrones sta nella sua capacità di coniugare la solidità degli “ascolti” sui canali lineari, secondo la tradizionale logica dell’appuntamento, e non lineari, on demand, con l’intensità del coinvolgimento degli spettatori più attivi e affezionati, che consumano largamente anche su piattaforme non autorizzate (TorrentFreak ci informa che “the season opener of Game of Thrones was pirated 90 million times”): due “metri” del successo di un contenuto mediale che, appunto, non si conciliano immediatamente nelle politiche e nei modelli di business dei player del settore audiovisivo.
Come hanno ampiamente dimostrato Jenkins, Ford e Green nel loro Spredable Media (2013), l’intensità del coinvolgimento può avere ricadute positive sugli operatori del settore per almeno due ordini di ragioni: innanzi tutto per il valore “simbolico” che è in grado di produrre, e che motiva i fan nelle loro attività di condivisione e valorizzazione dei contenuti amati, ma anche perché tale valore simbolico è suscettibile di essere convertito in valore commerciale, economico. In tale possibilità di “traduzione”, tuttavia, non c’è alcun automatismo, e le innovazioni nei modelli di business e di marketing che richiede la rendono anzi difficoltosa per i player tradizionali.
A questo proposito, il piano di marketing elaborato da Sky in Italia per il lancio della settima stagione di Game of Thrones può rappresentare un punto di osservazione interessante per comprendere un recente tentativo, certo limitato e non esente da eloquenti ambiguità, di armonizzare logica dell’appuntamento e valore del coinvolgimento. Uno dei concetti chiave intorno a cui si è costruito è quello di “maratona”, come Sky sceglie espressamente di chiamare la visione consecutiva di molti episodi per rispondere alle istanze del pubblico coinvolto e, al contempo, differenziarsi dal competitor Netflix, a cui l’espressione “binge watching” è ormai prevalentemente associata.
Quello che è curioso rilevare è che Sky, che deve tutelare il proprio core business, e quindi la logica dell’appuntamento, è obbligata a proporre solo una particolare declinazione della “maratona”. Se infatti, come precisa un post su Facebook, “il vero fan de #IlTronoDiSpade la segue puntata per puntata, dribblando gli spoiler come un guerriero in battaglia!” dove starebbe la maratona? La maratona si dà solo retrospettivamente, come occasione di rivedere integralmente e consecutivamente tutte le precedenti stagioni della serie, che vengono dunque messe a disposizione per un consumo on demand.
Ma il gioco sulla maratona non finisce qui, perché Sky, tra lo sgomento e l’ilarità dei fan, ne propone anche una versione, per così dire, letterale: il 5 luglio, un post su Facebook spiega che “ci sono due modi di fare la maratona de Il Trono di Spade. Un gruppo di maratoneti ha scelto il più difficile: The Marathron. “Voi potete farla su Sky Box Sets”.
E così, fino al 17 luglio, le foto di veri maratoneti, che corrono davvero attraversando l’Italia dietro a uno schermo che trasmette le sei stagioni di Game of Thrones, scandiscono la pagina Facebook di Sky Atlantic HD, fino all’evento conclusivo che celebra la fine della maratona e l’avvio della nuova stagione (con proiezione notturna collettiva). Tutti i fan sono invitati a iscriversi all’ultima tappa, dalle sedi Sky di Milano al Castello Sforzesco, e a partecipare a due giornate (15 e 16 luglio) interamente dedicate alla serie, Il Trono di Spade: l’inverno al Castello, con eventi per i fan, cosplayers, installazioni e musica live.
L’intera iniziativa potrebbe apparire goffa e improbabile, e la tentazione di liquidarla con il commento lapidario di un utente su Facebook (“Quando dici facciamo la maratona di GoT?, ma i tuoi amici capiscono male”), è forte. Così come la tentazione di associarsi allo sconcerto di “Serial Minds”: “Allora, le cose vanno messe in chiaro: divano SÌ, fatica NO, serie TV BELLO, sudore BRUTTO, allungo le gambe sulla sedia PIACERE, allungo le gambe per fare stretching DOLOROSA NECESSITÀ”. Alla luce di questa sacrosanta divisione del mondo, in bene e male, è il caso di dire che mai come questa volta il sistema di valori di Serial Minds è in crisi. The Marathron è un po’ il crollo del Muro di Berlino della nostra consapevolezza seriale, perché Sky è riuscito a fare il clamoroso compromesso storico. Non sappiamo se ringraziarli o lanciare anatemi, ma il colpo di genio è innegabile: se fino a oggi abbiamo dovuto sopportare la sofferenza morale di un’attesa infinita per la nuova stagione di Game of Thrones, ora potremo unire anche la sofferenza fisica. “Serpeggia del sadismo dalle parti di Sky? Giusto un filo, ma stiamo pur sempre parlando della serie più sadica di sempre”.
Tuttavia, crediamo che The Marathron, con tutti i suoi annessi nel favorire il coinvolgimento e al limite anche provocare i fan, resti comunque una “spia” interessante per comprendere come parte del mercato audiovisivo, magari anche annaspando e arrancando, stia provando a negoziare i cambiamenti in corso nel più ampio scenario mediale, e continuare a seguirne, di corsa o dal divano, le trasformazioni.
Riferimenti bibliografici
H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable media, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2013.
S. Martin, V. Re, (a cura di), Game of Thrones. Una mappa per immaginare mondi, Mimesis, Milano-Udine 2017.
J. Mittell, Complex TV. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, Minimum Fax, Roma 2017.