The Falcon and the Winter Soldier è la seconda serie originale prodotta all’interno del Marvel Cinematic Universe. Dopo il successo di WandaVision, uscita lo stesso anno con analoghe modalità distributive, i sei episodi della nuova miniserie (creata da Malcolm Spellman, già sceneggiatore e produttore di serie HBO, FX, AppleTV+) vengono rilasciati su Disney+ tra il marzo e l’aprile 2021, a cadenza settimanale. Come nel caso della serie precedente, tutte le puntate sono dirette dallo stesso regista — stavolta la canadese Kari Skogland, particolarmente attiva nella serialità quality americana contemporanea. Secondo prodotto della Fase 4 del MCU, le vicende si svolgono in continuità con i film del franchise, ambientate dopo gli eventi di Avengers: Endgame (2019). Allo stesso tempo, pur rifacendosi apertamente alla complessità narrativa del mondo Marvel, il prodotto mantiene una sua autonomia immaginaria e narrativa, permettendo alla costola seriale del MCU di espandersi ulteriormente, non solo al di fuori dei fumetti, ma anche del cinema.

Le serie Marvel sembrano essere concepite con l’intento di approfondire personaggi che, fino a quel momento, hanno svolto ruoli secondari all’interno dei film. In modo complementare, negli scorsi mesi hanno anche assunto la funzione di placare l’esuberanza del fandom internazionale nell’attesa della riapertura delle sale cinematografiche — e dunque della tanto agognata distribuzione di Black Widow, avvenuta finalmente il 9 luglio 2021. The Falcon and the Winter Soldier è, in questo senso, una vera e propria ramificazione dal tronco narrativo centrale del MCU. Sei mesi dopo il Blip (la resurrezione di massa del 50% della popolazione mondiale, precedentemente sterminata dallo schiocco di dita di Thanos in Avengers: Infinity War) Sam Wilson/Falcon e Bucky Burnes/Winter Soldier devono superare la scomparsa (non ci è dato sapere, ancora, che fine abbia fatto) di Steve Rogers/Captain America. Falcon collabora con la US Air Force, e vive con l’incombenza dello scudo che Cap gli ha lasciato in dono, testimone passato da un eroe all’altro. Si tratta di un’eredità non solo materiale, ma soprattutto morale, a partire dalla quale Sam non riesce a sostenere il peso di un difficile compito: sostituire Steve Rogers, indossando la tuta e lo scudo dell’eroe nazionale, e diventare il nuovo Captain America.

Falcon non si sente all’altezza, ma soprattutto teme che il colore della sua pelle possa rappresentare un impedimento alla riaffermazione di questa figura mitologica nell’immaginario americano contemporaneo. Decide, dunque, di reprimere le sue ambizioni, di rimettere in discussione la sua identità e, contravvenendo ai voleri del vecchio Cap, di cedere lo scudo allo Smithsonian Institution a fini espositivi e memoriali. Nel frattempo, dopo aver ricevuto la grazia dal Governo, Bucky sta conducendo un percorso riabilitativo per superare il più classico dei disturbi da stress post-traumatico, ovvero la riemersione dei fantasmi delle vittime dal suo passato bellico di Winter Soldier. Se, dunque, la serie rappresenta una prosecuzione ideale sui temi dell’identità etnica e razziale già introdotti in Black Panther (2018), The Falcon and the Winter Soldier è anche un tentativo di recuperare la riflessione sull’elaborazione del trauma personale di Wanda in WandaVision (2021) e di rilanciarla su un piano più prettamente pubblico, nazionale, politico.

L’intenzione dello showrunner Malcolm Spellman, d’accordo con il supervisore produttivo e deus ex machina del MCU Kevin Feige, è quella di costruire una profonda riflessione sull’identità americana oggi, sulle tracce traumatiche dello stato di guerra perenne in cui vive la società statunitense. Una guerra razziale interna, personificata dai dubbi di Sam e alimentati dalla conoscenza di Isaiah Bradley, un super-soldato nero attivo durante la guerra di Corea, prima utilizzato, poi perseguitato, torturato e infine dimenticato dal Governo; una guerra militare verso un nemico esterno che, nella storia, cambia continuamente volto, attraversata dal super-soldato bianco Winter Soldier ed elaborata dall’uomo-Bucky, oggi, sotto forma di trauma personale. Sam s’interroga da subito su cosa significhi per un nero prendere in mano un simbolo iconico storicamente bianco, lo scudo di Cap, in una continua tensione tra la sua identità conflittuale di afrodiscendente e il desiderio del suo vecchio amico di passargli il testimone dell’eroe nazionale.

Quando in un dialogo di Endgame Steve chiedeva a Sam come si sentisse a impugnare il suo scudo, egli rispondeva: “Come se appartenesse a qualcun altro”. Se, parafrasando il Dark Knight di Nolan, Sam ha paura di essere l’eroe che l’America merita, ma non quello di cui ha bisogno, l’incontro con il nuovo Captain America, l’inetto e bianchissimo John Walker al servizio della nuova propaganda americana, lo costringe a rimettere in questione le sue ambizioni e convinzioni. Sam deve un riscatto storico a Isaiah, concretizzando un necessario aggiornamento di ideali e immaginari nazionali dal contesto bellico degli anni Quaranta ai movimenti di liberazione ed emancipazione della comunità nera americana degli ultimi anni. Ma dopo un Presidente degli Stati Uniti nero, il paese è veramente pronto a un Captain America nero? Non secondo Isaiah. Il ruolo di Bucky nella presa di coscienza di Sam sarà, in questo senso, decisivo: per risolvere la conflittualità iniziale della loro relazione, basata su una divergenza di ricordi, memorie, considerazioni del comune amico Cap, lo introduce per la prima volta a Isaiah; lo raggiunge in Louisiana, dove si è ritirato per rimettere in sesto la barca della sorella, convincendolo a combattere la propria disillusione ed assumersi le proprie responsabilità. La nuova amicizia tra Bucky e Sam, nata dalle ceneri della memoria di Steve, non sarà, però, solo la chiave di risoluzione dei conflitti interiori dei due personaggi, ma anche lo spunto per combattere insieme una terza guerra: quella ai Flag Smashers.

I Flag Smashers sono un gruppo terroristico internazionalista che vuole tornare al mondo pre-Blip, ovvero a una situazione in cui i popoli di tutto il mondo collaboravano tra loro senza distinzioni né confini nazionali (il loro slogan è “one world, one people”). La riapparizione improvvisa del 50% della popolazione mondiale dopo cinque anni ha infatti generato situazioni di squilibrio sociale: miliardi di persone rimaste senza casa devono essere rimpatriate nei loro paesi, reintegrate in una società che, dopo cinque anni, sembra non riuscire più ad assorbirli. Dietro le loro rivendicazioni risiedono, dunque, motivazioni di natura ecologista, le stesse che avevano mosso Thanos nel gesto estremo dello Snap (lo schiocco di dita): il mondo, infatti, non è più in grado di sostenere il grado di stress cui gli uomini lo hanno sottoposto. La loro giovane leader Karli Morgenthau (nei fumetti è di genere maschile, cattivo anti-patriottico e nemico storico di Captain America) viene qui profilata come una versione estremista di Greta Thunberg: si tratta sì di una villain, anche lei super-soldato, mossa però da motivazioni politiche e morali del tutto condivisibili.

Se nei film del MCU il confine tra eroi e anti-eroi è piuttosto definito (al netto di alcune incrinature interne al mondo degli Avengers), nelle serie questo si fa sempre più sfumato: si pensi, ancora, al personaggio di Wanda in WandaVision, oppure a Loki, cui è dedicato il terzo prodotto seriale targato Marvel. In The Falcon and the Winter Soldier, accanto alla costruzione di eroi dubbiosi, costantemente sotto stress, dalle caratteristiche tridimensionali, abbiamo dei villain complessi, con cui è addirittura possibile allineare il nostro sguardo. Si tratta di personaggi che abitano la zona grigia dei/delle difficult men/women, dove le distinzioni tra buoni e cattivi, tra eroi e anti-eroi, sono decisamente più confuse rispetto al cinema (si pensi, in particolare, alla complessità dei personaggi di Helmut Zemo e Sharon Carter, decisamente più piatti all’interno dei film Marvel). Tale processo di rarefazione genera, da un lato, un vero e proprio dubbio all’interno del classico processo di identificazione binaria del punto di vista, per cui lo spettatore non capisce più da che parte stare: da quella di Falcon, che da black underdog si trasforma in eroe istituzionale che combatte un gruppo di ecologisti internazionalisti; oppure da quella di Karli, la cui bontà delle istanze di base viene stemperata da un profondo radicalismo delle forme in cui esplicita il suo conflitto interiore/esteriore.

Dall’altro, questo approccio “grigio” a un mondo tradizionalmente bianco e nero, come quello fumettistico, conferisce una spiccata componente di realismo a tutta la serie. Non si tratta soltanto degli evidenti legami all’attualità americana e mondiale, dall’omicidio di George Floyd e l’emersione globale del movimento Black Lives Matter, passando per le continue rifrazioni alla situazione pandemica generale, fino alla nuova ondata di ecologismo giovanile con i Fridays for Future di Greta Thunberg. Siamo, si diceva, di fronte a un realismo delle forme che, mettendo continuamente in discussione la verità dell’oggetto, insistendo sulle condizioni umane, gli smarrimenti e le singolarità dei soggetti, delle loro scelte e dei punti di vista, rimanda in modo esplicito alla modernità americana dell’Eastwood degli ultimi vent’anni. Dentro The Falcon and the Winter Soldier troviamo, dunque, una sintesi del carattere esemplare del cinema eastwoodiano: dall’identità traumatica della guerra globale americana di Flags of Our Fathers, American Sniper e 15:17 to Paris, fino al rapporto umano e politico con l’altro in Gran Torino e The Mule, dai dubbi morali/sociali di Million Dollar Baby e Mystic River, fino alla predominanza della realtà soggettiva sulla verità in Sully e Richard Jewell. Dubbio, realismo, soggettività. Tutte parole chiave del cinema di Eastwood, come di questa serie. Tutti elementi che Giorgio De Vincenti ha individuato come cruciali nella costruzione e nell’evoluzione della modernità cinematografica europea del dopoguerra.

The Falcon and the Winter Soldier si configura, insomma, come una serie ibrida e complessa, a metà tra realismo della messa in scena e action movie da blockbuster marvelliano, costantemente in bilico tra classicismo hollywoodiano e modernità europea, tra la necessità di configurare un dialogo di profondità con l’universo Marvel (e i suoi personaggi secondari) e la costante volontà di aprirsi al di fuori di esso, collocandosi di diritto in quella zona grigia in cui s’inscrive il carattere aperto e libertario della forma cinematografica all’interno delle strutture seriali della televisione complessa.

Riferimenti bibliografici
A. Canadè, A. Cervini, a cura di, Clint Eastwood, Pellegrini, Cosenza 2012.
G. De Vincenti, Il concetto di modernità nel cinema, Pratiche, Parma 1993.
B. Martin, Difficult Men: Behind the Scenes of a Creative Revolution: from the Sopranos and the Wire to Mad Men and Breaking Bad, Penguin, Londra 2014.
J. Mittell, Complex TV: The Poetics of Contemporary Television Storytelling, New York University Press, New York 2015.

The Falcon and the Winter Soldier. Regia: Kari Skogland; sceneggiatura: Malcolm Spellman; fotografia: P. J. Dillon; montaggio: Jeffrey Ford, Todd Desrosiers, Kelley Dixon, Rosanne Tan; interpreti: Anthony Mackie, Sebastian Stan, Wyatt Russell; produzione: Marvel Studios; distribuzione: Disney+; origine: Stati Uniti; anno: 2021.

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