“Quando la leggenda diventa realtà, stampa la leggenda”. Questo è il West secondo un giornalista in L’uomo che uccise Liberty Valance (Ford, 1962). Il West è la leggenda che ne ha riscritto la storia (Cartosio 2018), in un processo trasfigurativo tale per cui un passato violento ha assunto la forma – narrativa – dell’epos originario degli Stati Uniti e dell’uomo americano. E in Italia, invece, è possibile immaginare uno spazio capace di frasi frontiera di un’epica delle (sue) origini? Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis tornano ad una leggenda nostrana e al suo fondo di verità, una competizione tra cowboys americani e butteri italiani vinta da questi ultimi, ad un tempo, gli anni successivi all’Unità, e ad un genere, il western, e per rispondere a questa domanda in Testa o croce? lanciano una moneta: realtà o leggenda? Storia o mito?
Quando, al tramonto dell’800, Buffalo Bill (John C. Reilly) e il suo Wild West Show arrivano nei dintorni di Roma, è il mito stesso della frontiera, attraverso il suo reenactment spettacolare, che si scontra con le forme di vita italiane. Il signorotto locale che ospita Cody sfida gli americani ma chiede ai suoi di perdere, così da incassare i soldi scommessi sulla vittoria dei cowboys. Santino (Alessandro Borghi), il buttero scelto dal caso con il lancio di una moneta per rappresentare gli italiani, però, non rinuncia al suo orgoglio, vince la gara ed è pronto a subirne le conseguenze. Ma il mandriano non è un eroe, il suo orizzonte non è epico: Rosa (Nadia Tereszkiewicz), moglie del signorotto e vittima delle sue angherie, uccide il marito con un colpo di pistola prima che possa vendicarsi di Santino e spinge quest’ultimo a una fuga attraverso le fangose campagne romane, che si rivela un’impietosa cavalcata in una geografia senza epos.
Santino non è un eroe epico non solo perché non può rappresentare una comunità che non si riconosce in quanto tale (i due fratelli italiani che vorrebbero riscattare la taglia sulla sua testa finiscono per ammazzarsi a vicenda) e non ha valori condivisi (la brama del podestà di “fare l’Italia con le armi e le ferrovie”, proiezione di un mito – americano – , è solo un’illusione), ma soprattutto perché non ha lo stile del westerner (Warshow 2001). Nell’ingenuità del suo orgoglio il buttero è vittima degli eventi (viene catturato nel sonno e poi liberato da forze esterne), sono gli anarchici che incontra lungo la strada a volerlo volto eroico della loro rivoluzione. Ma l’unico gesto che compie da “uomo libero” – salire ebbro su un palcoscenico e cantare del suo presunto eroismo nell’aver liberato Rosa – lo fa assomigliare più a una vanagloriosa maschera degna della commedia all’italiana. Neppure una maschera commedica, però, riesce ad aderire al volto di un uomo senza orizzonte, che solo quando finisce decapitato può farsi viatico allucinatorio dell’emancipazione di Rosa. Testa o croce? non è, in fondo, la storia di Santino.
Nella storia del cinema il western, molto più di un genere, è stato «la messa in atto dell’intera ontologia occidentale e dei suoi modi di rappresentazione (dall’epico al tragico, perfino al commedico, fino al romanzesco)» (De Gaetano 2025). De Righi e Zoppis decostruiscono i codici del genere per farli reagire con una tradizione, quella del cinema italiano, che, manchevole di epica (il corpo decapitato del buttero che il cavallo continua a trasportare per le campagne), ha fatto di quella mancanza lo strumento per mettere in crisi le forme tradizionali del racconto e aprirsi alle possibilità del reale. Il prodotto di questo esperimento è duplice. Da un lato, nel film viene esposto il processo stesso di invenzione di una tradizione – che passa per la trasfigurazione mitica di un precipitato leggendario come nel caso del West – e quindi il potere affabulatorio della narrazione, con la sua possibile strumentalizzazione violenta (anche solo nell’alveo dell’immaginario). Dall’altro, il superamento della necessità mitica di un eroe – tradizionalmente maschile – che colonizzi la frontiera per creare mondi “nuovi”, permette l’emergere di un personaggio femminile che impara ad abitare i luoghi per scardinarne dall’interno le logiche coercitive.
Perchè Testa o croce?, in nuce, è il romanzo di formazione/emancipazione di Rosa e del movimento di liberazione di un soggetto femminile da un racconto, di matrice eminentemente patriarcale, che la vorrebbe vittima da salvare o moglie priva di volontà, incapace di dare forma alla propria storia. Ma a Rosa stanno stretti tanto il corsetto che indossa, quanto le versioni della sua storia proposte dal podestà (suo suocero), da Santino, dal capo dei rivoluzionari e dallo stesso Buffalo Bill che, mentre insegue la coppia di fuggitivi, scrive sul suo taccuino del leggendario “rapimento” della donna, da inserire nel suo show.
Il moto di liberazione della protagonista non può che passare da un confronto con la violenza, così connaturata all’immaginario western (soprattutto nella sua declinazione epica: “Nessuna grande nazione è nata senza violenza” si dice nel film) e conseguenza prima dell’azione che non conosce limiti di tanti eroi americani. Se la storia di Rosa è innescata da un gesto violento istintuale, l’uccisione del marito, il suo processo emancipativo la condurrà, passando per la simbolica rivoltellata ai genitali del capo dei rivoluzionari – epitome di un maschilismo trasversale ad ogni ideologia –, a rinunciare alla violenza quando decide di risparmiare il podestà, che è “già morto” strozzato dalle sue illusioni. Quell’illusione che fa il paio con un sogno americano che alletta anche la donna.
All’inizio della sua fuga con Santino, infatti, Rosa gli chiede che questi la porti in America, verso la frontiera della libertà. Ma quando il buttero muore, l’amore che sembrava stesse germogliando tra i due – un amore di comodo forse, ingenuo anch’esso, ma che non a caso non diventa mai passione passibile di sancire un destino melodrammatico per la donna – apre ad una potenza visionaria (Rosa parla con la testa di Santino, immagina la morte del potestà) che le permette di accedere una nuova percezione di sé e del mondo. Liberarsi da un mythos (epico, commedico, tragico), in fondo, ha sempre significato per i personaggi romanzeschi del cinema italiano aprirsi alle rivelazioni offerte dagli scarti del reale e accedere in questo modo a una verità non verosimile (De Gaetano 2018).
Così, riappropriatasi della propria narrazione bruciando il quaderno di Buffalo Bill, dopo aver seppellito il corpo di Santino in un ultimo gesto d’amore, aver riscattato i soldi della sua taglia e aver confessato al potestà la verità sull’omicidio del marito, Rosa può cavalcare libera. Non verso un’America dove, tra la vastità e la polvere della Monument Valley, c’era una volta il West. Ma attraverso un’Italia in cui, tra i rivoli, gli acquitrini e riflessi dei raggi del sole che si infrangono sugli specchi dei cercatori di rane, non c’è orizzonte per l’epos, ma forse spazio per una visionaria storia di liberazione.
Riferimenti bibliografici
B. Cartosio, Verso ovest. Storia e mitologia del Far West, Feltrinelli, Milano 2018.
R. De Gaetano, La scena americana. Filosofia, letteratura, cinema, Mimesis, Milano 2025.
Id., Cinema italiano: forme, identità, stili di vita, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2018.
R. Warshow, Movie Chronicle: The Westerner, in Id., The Immediate Experience, Harvard University Press, Cambridge 2001.
Mark E. Wildermuth, Feminism and the Western in Film and Television, Palgrave Macmillan, London 2018.
Testa o croce?. Regia: Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis; sceneggiatura: Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis, Carlo Salsa; fotografia: Simone D’Arcangelo; montaggio: Andrés P. Estrada, Jacopo Ramella Pajrin; interpreti: Nadia Tereszkiewicz, Alessandro Borghi, John C. Reilly, Peter Lanzani, Mirko Artuso, Gabriele Silli; produzione: Ring Film, Cinema Inutile; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, Stati Uniti d’America; durata: 116′; anno: 2025.