Christopher Nolan torna al latino, ma a un livello superiore (almeno nelle ambizioni, che sono da Protagonista).

Memento (titolo dell’esordio di cui ricorre il ventennale: vi ricordate Sammy Jankis?) in latino è l’imperativo di meminisse, come nel motto trappista memento mori (“ricòrdati che devi morire”), ma in inglese è un sostantivo che indica qualunque strumento in funzione mnemonica, come i post-it o le fotografie (il film inizia con una polaroid che anziché autosvilupparsi passa dalla visibilità alla sparizione dell’immagine, segnalando allo spettatore il carattere di inversione temporale con cui dovrà confrontarsi). La memorizzazione è il gioco da giocare: il film che “inizia dalla fine”, e in cui ogni sequenza successiva va interpretata come sequenza precedente da ricollocare nella linearità cronologica, è un tour de force per formalisti russi che hanno ben chiara la dialettica fra storia e racconto (fabula e sjužet) tornata in auge col primo Tarantino.

Insomnia (titolo del film del 2002 ambientato in Alaska nel periodo del semestre in luce, quando l’eterno giorno del circolo polare non permette i normali bioritmi di veglia e di sonno) è sia un sostantivo femminile (indicante appunto l’assenza di sonno, che colpisce il protagonista detective che si chiama Dormer, che in inglese è l’abbaino da cui entra la luce) sia un neutro plurale (sogni, visioni): l’insonnia prolungata, cioè la confusione fra stato di veglia e sonnolenza, comporta una sorta di sospensione dell’ontologia ordinaria, con ripercussioni sul sistema etico. Pur essendo il remake di un film norvegese (Skjoldbjærg, 1997), Insomnia è dunque già pienamente all’interno della poetica nolaniana che nel 2006 produce The Prestige, trattato sull’illusionismo (dunque film sul cinema) nell’ingarbugliato intreccio – i deleuziani dicono indiscernibilità – fra le potenze del falso e le possibilità magiche della tecnologia (David Bowie interpreta Nikola Tesla).

Ma se “memento” e “insomnia” sono parole a sé stanti, “tenet” è il cuore del quadrato magico (palindromo sia sull’asse verticale che sull’asse orizzontale)

SATOR

AREPO

TENET

OPERA

ROTAS

dunque un punto di giunzione testuale e, più esattamente, il cuore del palindromo, essendo la parola che rivela la propria specularità (TE/ET con al centro la N, lettera che compare in varie inquadrature del film e che guarda caso è l’iniziale di Nolan) germinando la specularità dell’intero gruppo. Non sapendo come far comparire queste parole dal sapore misterioso, Nolan le trasforma in nomi: Sator è il criminale russo che minaccia di innescare un marchingegno che porterà all’annichilimento del mondo (ma solo la Terra o l’intero Universo?), Arepo è il nome di un falsario di opere d’arte (perché anche qui è in gioco l’eterno tema autoreferenziale della discernibilità di vero e falso, nonché dell’attribuzione dell’opera), Rotas è il nome della ditta nei cui caveaux si nasconde il tornello capace di invertire la freccia del tempo. Così come, non volendo far entrare la conoscenza del quadrato del Sator nella competenza enciclopedica dei personaggi, fa appello alla competenza spettatoriale: ecco allora che alcune scene si svolgono sulla costiera amalfitana e si nomina Pompei, cioè il luogo in cui gli scavi archeologici del 1925 misero in luce la più antica versione della scritta (antecedente al 79 d.C.).

Ma per fare un film palindromo certo non basta intitolarlo Palindromes (Solondz, 2004) – del resto per fare un film a nastro di Moebius non basta intitolarlo Moebius (Ki-duk, 2013) – e forse non basta neppure intitolarlo In girum imus nocte et consumimur igni (Debord, 1978) anche se va segnalato che l’ultimo documentario del pensatore situazionista si apre con l’immagine fissa di alcuni spettatori cinematografici e anche Tenet si apre sul pubblico addormentato dell’Opera di Kiev, dove una sorta di scontro terroristico sembra annegare come evento nel sonno collettivo della società dello spettacolo. Così come per fare un film sull’io diviso bisogna fare un film diviso (questa è la trovata di Psycho che distanzia l’adattamento di Hitchcock dal romanzo di Bloch), per fare un audiovisivo sull’inversione temporale bisogna escogitare la visualizzazione non tanto della reversione (altrimenti basta mandare la pellicola all’indietro, come avevano già fatto nel 1896 i fratelli Lumière con Demolition d’un mur, che Nolan omaggia nel finale russo, in cui edifici crollano e subito si ricostruiscono in un contesto scenografico che rimanda anche all’ultima parte di Full Metal Jacket) quanto della compresenza di un doppio scorrimento della temporalità.

Insomma, quello che è in questione non è il montaggio (come in Inception, in cui il giochino deleuziano sui livelli di immersione onirica è affidato alla capacità dello spettatore di distinguere in parallelo/alternato immagine-percezione, immagine-ricordo, immagine-sogno e immagine-cristallo; come in Dunkirk, in cui la linearità del significante deve continuamente essere riallineata sulla differenza einsteiniana fra velocità terrestre, velocità marittima e velocità aerea) ma l’inquadratura, intesa come campo d’azione degli effetti speciali.

L’innovazione degli effetti speciali – uno dei campi di battaglia dell’autorialità cinematografica da quando Kubrick vinse il suo unico Oscar per aver firmato come autore gli effetti visivi di 2001 – è una componente specifica dell’estetica del film, come era ben chiaro ad André Bazin quando nel 1946 (in piena esplosione neorealista) tesseva le lodi dell’effetto Dunning (precursore del blue screen) nel saggio Vita e morte della sovrimpressione:

L’opposizione che certuni vorrebbero vedere fra la vocazione di un cinema consacrato all’espressione quasi documentaria della realtà e le possibilità d’evasione nel fantastico e nel sogno offerte dalla tecnica cinematografica è, in sostanza, artificiale. […] Ciò che piace al pubblico nel fantastico cinematografico è evidentemente il suo realismo, voglio dire la contraddizione fra l’oggettività irrecusabile dell’immagine fotografica e il carattere incredibile dell’avvenimento (Bazin 2008, pp. 16-17).

Ciò che Nolan promette in Tenet, ciò che deve mantenere, è la visione contemporanea – nella stessa inquadratura, intesa come immagine percepita unitaria dallo spettatore – di elementi che si muovono regolarmente e di elementi (manipolati a parte prima del mixaggio digitale) che si muovono al contrario. La promessa è mantenuta in varie scene: quella dell’inseguimento sull’autostrada, in cui una serie di automobili sembrano andare contromano ma “in realtà” si muovono all’indietro; quella all’aeroporto, dove i protagonisti agiscono in mezzo alla pista in cui il jet distrutto si ricompone e l’incendio si riassorbe; quella finale dell’assalto al bunker russo, in cui i soldati si muovono non in mezzo ad esplosioni ma in mezzo ad implosioni.

E però, nonostante questo exploit di realismo ontologico al servizio di un superamento delle leggi fisiche, la durata complessiva dell’effetto inedito risulta troppo breve per compensare la banalità del resto del film, inutilmente pieno di scene dialogiche e di scene d’azione ormai standard (i 90 anni di Sean Connery ci ricordano che 007 è un’invenzione della guerra fredda, termine deliberatamente utilizzato in Tenet in funzione anacronistica: tutti sono vestiti come negli “eterni anni sessanta” di cui parlava Jameson).

Ovviamente stiamo parlando di un film di successo (il popolo dei cosplayers non scorda il regista di ben tre Batman) ma il botteghino non è il sentiero della gloria verso la canonizzazione (potere dei giochi di parole: l’ultima scena si svolge sotto la scritta Cannon Square, un nome a cui basta togliere la N di Nolan per ottenere la parola canon cara ad Harold Bloom). Attendiamo il cinquantenne Nolan nel futuro, Covid permettendo, sperando che non sia finito il suo Memento magico.

https://youtu.be/PI_Rxa0YFWg

Riferimenti bibliografici
D. Amato, Il cinema dei fratelli Nolan. Ri(e)voluzione della fantascienza filmica, Santelli, Cosenza 2020.
A. Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 2008.
R. Cammilleri, Il quadrato magico, Rizzoli, Milano 2004.
U. Eco, Sator arepo eccetera, Nottetempo, Roma 2006.
S. Joy, The Traumatic Screen. The Films of Christopher Nolan, Intellect Books, Bristol 2020.
J. Mottram, The Secrets of Tenet. Inside Christopher Nolan’s Quantum Cold War, Titan Books Ltd, London 2020.
T. Shone, The Nolan Variations. The Movies, Mysteries and Marvels of Christopher Nolan, Knopf, New York 2020.

Tenet. Regia: Christopher Nolan; sceneggiatura: Christopher Nolan; fotografia: Hoyte van Hoytema; montaggio: Jennifer Lame; musiche: Ludwig Göransson; interpreti: John David Washington, Robert Pattinson, Elizabeth Debicki, Dimple Kapadia, Michael Caine, Kenneth Branagh, Martin Donovan, Fiona Dourif, Jurij Kolokol’nikov, Himesh Patel, Clémence Poésy, Aaron Taylor-Johnson, Denzil Smith; produzione: Syncopy Films, Warner Bros; distribuzione: Warner Bros; origine: Stati Uniti d’America, Regno Unito; durata: 150’.

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