È figlio di un solido ancoraggio alla fruizione dello spettacolo dal vivo, di una riflessione puntuale sulle teoriche e le pratiche delle performing arts il volume di Valentina Valentini intitolato Teatro contemporaneo 1989-2019 di recente uscita per Carocci. Trent’anni di teatro che rendono conto di  un’intensa attività di ricerca condotta attraverso l’insegnamento di Arti performative e Arti elettroniche e digitali presso la Sapienza Università di Roma, numerose pubblicazioni internazionali e la creazione del network https://sciami.com. Quella dell’autrice è una scrittura densa e stratificata, colma di riferimenti alle teorie delle arti e alle filosofie della contemporaneità ma senza perdersi in esse, grazie al legame con l’evento che si fa corpo in scena. La prima fonte citata è proprio la fruizione diretta degli spettacoli, ponendo già dalle prime pagine il ruolo cardine di un ampio campione che va da Romeo Castellucci a Milo Rau, da Robert Lepage, Jan Fabre, Peter Sellars e Motus fino ai paesaggi vocali di Chiara Guidi, Roberto Latini, Ermanna Montanari.

Ciò che (man)tiene insieme tanta ricchezza e eterogeneità è, come indicato nel primo capitolo, la ridda delle Questioni che problematizzano, dagli anni ’70 in poi, cosa sia il teatro, quale sia il suo statuto, in quali forme e formati si avveri. Nelle questioni precipitano le interferenze fra teatro, performance art e installation art, la messa in discussione dei paradigmi di riferimento e dei processi produttivi, il ruolo dell’autore e quello dello spettatore, i rimandi fra arte e politica, le problematiche connesse al transculturale e al postcoloniale.

Il secondo capitolo indaga le Storie senza figure, l’obiettivo è comprendere quali siano i temi, i mondi, le figure che abitano la scena teatrale internazionale tra i due millenni. La fine degli anni ’80 ci restituisce un ribaltamento della parola d’ordine del ’68 proponendoci un motto capovolto per cui “il politico è personale”, sbilanciando la relazione fra l’io e il noi tutta a favore del primo termine. Gli eventi della storia recente vengono rivisti, raccontati attraverso la potente lente, anche deformante, dell’io che se ne appropria e ne fa narrazione particolare, esclusiva per punti di vista e linguaggi adottati. Si verifica, con opportuni riferimenti alla produzione teatrale internazionale, «come la storia venga sostituita dalla biografia, dalla testimonianza, dal ricordo» (Valentini 2020, p. 52) e ancora come il teatro fra i due millenni sia «ossessionato dalla questione di portare sulla scena realtà, autenticità, mettere sotto accusa ciò che è frutto di invenzione, per attingere all’“attualità”, alla “cronaca”» (ivi, p. 53).

Così, nelle Drammaturgie artistiche e politiche del terzo capitolo, la studiosa tratta le declinazioni del pensiero politico nelle opposte concretizzazioni di una piena o di una mancata convergenza fra dimensione politica e artistica. Nel premettere che «non è facile orientarsi, avendo alle spalle la perdita sia della visione del mondo marxista che offriva degli schemi per leggere la realtà, sia di quella del pensiero decostruzionista» (ivi, p. 62) il panorama viene comunque tracciato attraverso direttrici precise che vanno dal teatro delle ex repubbliche sovietiche (Eimuntas Nekrošius, Oskaras Koršunovas) all’America Latina (La Troppa, Daniel Veronese) fino alla tendenza realista-documentaria del reality trend (Rimini Protokoll, Claire Bishop).

Il penultimo capitolo, dedicato ai Formati, illustra le configurazioni spazio-temporali su cui il teatro fra i due millenni ha costruito i suoi spettacoli, misurando l’incidenza del dispositivo installativo e della performance art sui precedenti modelli storicizzati. Il plurale del titolo dispone all’accoglienza delle eterotopie e eterocronie, ai paradigmi del rito e del gioco, ai dissolvimenti e alle epifanie che popolano la scena contemporanea e che, nel loro frammentarne e problematizzarne l’unicità pure la ri-configurano e ri-costruiscono oltre il palco, oltre gli schermi, anche oltre la performance art. E se il discorso sulle Drammaturgie sonore, nitido e compiuto nell’analisi di una pratica vocale “di scuola italiana”, chiude il volume su una definizione netta e concreta, lasciando così poco spazio a aperture ulteriori, è piuttosto il quarto capitolo a segnare la via per ricerche future, a dare  prospettive di lettura per il teatro a venire, offrendo l’accesso a forme, dispositivi e possibili intersezioni fra le arti di domani.

Nella densità di contenuti e spunti presenti nella successione dei capitoli, è l’articolarsi di un metodo scientifico ciò che permette di mantenere l’orientamento, di riconoscere schemi di appartenenza, di collegare esperienze stilisticamente diverse, di tracciare linee di congiungimento fra realtà artistiche geograficamente distanti. La contestualizzazione progressiva delle teorie e delle pratiche artistiche compone una griglia che rifiuta la fluidità al punto da rinunciare a una pretesa esaustività, ed è la consapevolezza della parzialità, con il suo limite sempre a vista, a mettere in luce ciò che può esser definito teatro, a storicizzarlo come contemporaneo. In questo senso le scelte operate da Valentini non restringono il campo ma lo delimitano, e su quel limite segnano un varco. Il paesaggio, creato nel formato-libro, è una proposta più che di lettura di dispiegamento del testo, di pagine da aprire e accostare per formare una grande carta geografica, piena tanto di confini e passaggi quanto di possibilità di sconfinamenti e oltrepassamenti.

L’impostazione concettuale e strutturale di Teatro contemporaneo (1989-2019) si discosta significativamente dalla produzione scientifica precedente della studiosa, nonostante permangano riconoscibili contenuti, temi e protagonisti di anni di ricerche e siano molti i punti di continuità e i riscontri evidenti che da alcuni titoli vengono ripresi e nutrono questo volume. Uno scarto importante si palesa rispetto Mondi, corpi, materie (2007) in cui i teatri del secondo Novecento erano, pur nell’individuazione di alcune importanti categorie concettuali, criticamente analizzati e avvicinati all’interno di una struttura modulare, come d’altra parte anticipato dal titolo. Ma il confronto più potente e interessante è con Dopo il teatro moderno (1989). Lo  studio pionieristico, attraverso una ricognizione ardita e originale di spettacoli, lasciava emergere un universo teatrale nuovo e ancora in via di definizione, chiudendo l’agile volume sull’immagine della superficie che acquista un valore inedito, che «esprime la dimensione dell’Aperto» (Valentini 1989, p. 155).

L’autrice ha mantenuto l’invito/promessa fatto ai lettori e alla comunità scientifica di ieri, ovvero di contemplare e mettersi in ascolto di questo spazio illimitato e, a distanza di trent’anni, ci consegna un’immagine completamente diversa, una superficie segnata da griglie e linee, confini e ponti, creste e fratture. Per comporre questo scenario, per comprendere il proprio oggetto di studio e per circoscriverlo in un proprio tempo, è stato necessario porre una distanza di sguardo, introdurre cesure, creare relazioni, pervenendo infine ad un modo per portare a termine un’indagine sulle arti performative del/nel tempo presente.

Come spiega Agamben:

«Coloro che hanno cercato di pensare la contemporaneità, hanno potuto farlo solo a patto di scinderla in più tempi, di introdurre nel tempo una essenziale disomogeneità. Chi può dire: “il mio tempo”, divide il tempo, iscrive in esso una cesura e una discontinuità; e, tuttavia, proprio attraverso questa cesura, questa interpolazione del presente nell’omogeneità inerte del tempo lineare, il contemporaneo mette in opera una relazione speciale fra i tempi. Se […] è il contemporaneo che ha spezzato le vertebre del suo tempo (o, comunque, ne ha percepito la faglia o il punto di rottura), egli fa di questa frattura il luogo di un appuntamento e di un incontro fra i tempi e le generazioni» (Agamben 2008, pp. 22-23).

È proprio su una frattura, fatta di questioni e di selezioni, che il volume di Valentina Valentini si colloca, sulla possibilità di impossessarsi di un tempo, di dirlo proprio, di scegliere cosa trattenere dal territorio magmatico e in continua espansione delle performing arts per consegnarlo alle generazioni future di studenti, studiosi, spettatori e lettori, fissando così il luogo di un appuntamento che, allo scoccare degli anni ’20 del XXI secolo, è detto Teatro contemporaneo.

Riferimenti bibliografici
G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Nottetempo, Roma 2008.
V. Valentini, Dopo il teatro moderno, Giancarlo Politi Editore, Milano 1989.
V. Valentini, Mondi, corpi, materie. Teatri del secondo Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2007.

Valentina Valentini, Teatro contemporaneo 1989-2019, Carocci, Roma 2020. 

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