Sul braccio di Senna tra il Jardin des Plantes e la Gare de Lyon, poco lontano dal parco di Bercy e dalla Cinémathèque française, galleggia l’Adamant, un barcone di legno dalla costruzione avanguardista (tra una baita di montagna e un disco volante) che giornalmente accoglie persone con disturbi psichiatrici organizzando per loro attività ricreative. Nicolas Philibert decide di passare con loro del tempo e di filmarli, realizzando il suo ultimo lungometraggio, Sur l’Adamant, Orso d’oro alla Berlinale 2023 e selezionato come film di apertura del Biografilm Festival.
La scelta di Philibert è ben coerente con il resto della sua produzione: l’individuazione di un luogo circoscritto, una “casa” per il racconto – il barcone come la piccola scuola di campagna in Essere e avere (2002) –, ma anche la prossimità con alcune deviazioni dell’umano che interessano da sempre lo sguardo delicato ed empatico del documentarista – i disagi psichici degli ospiti dell’Adamant come quelli fisici della comunità di sordi e di ciechi indagati in Nel paese dei sordi (1992).
Quella del regista non è mai pura osservazione dei fatti – l’interazione con i soggetti rappresentati è costante – e al contempo la sua presenza non si traduce mai in una posizione esplicitamente riflessiva o performativa, in cui esponga o dichiari i suoi intenti, etici ed estetici. Potremmo forse parlare, formulando una crasi, di “osservazione partecipata”, là dove l’occhio cinematografico di Philibert sulla scena non si nasconde mai, anzi intercetta gli sguardi in macchina dei suoi personaggi, talvolta intervenendo con una parola fuori campo che domanda, interrompe, distrae i suoi interlocutori. In una forma di «convivialità» (direbbe Gauthier) con chi appare davanti alla macchina da presa, la sua cinepresa lascia parlare gli eventi ma afferma costantemente il suo interesse ad essere da questi ricompresa.
Il documentario mostra attraverso interviste dirette o, più spesso, quadri quotidiani delle diverse attività (pittura, musica, rassegne cinematografiche), le presenze abituali del centro, rendendocele ad una ad una familiari. Si tratta di figure appartenenti a diverse generazioni e culture, ognuna con una propria storia (non necessariamente traumatica): chi racconta delle figlie che non vede l’ora di incontrare seguendo la cadenza fissa predisposta mensilmente dal tribunale, chi parla della sua fobia per i rumori forti, chi ricorda una giovinezza parigina spensierata.
Un aspetto però colpisce di queste persone, forse l’unico che davvero le accomuna tutte. Una totale disposizione e capacità nel narrare e nel narrarsi, quasi che l’atto di messa in parola rappresenti per ciascuno di loro il solo rispettabile profilarsi di un’identità riconoscibile all’altro, non estromessa dal mondo e anzi energicamente compartecipe della vita.
Questo fin dalla sequenza d’esordio, nella quale uno dei pazienti si esibisce in una formidabile performance del brano Bombe humaine del gruppo francese anni ’80 Téléphone. Non soltanto le sue doti canore sono sorprendenti, ma l’interpretazione teatrale di quanto sta recitando, la scansione netta dei singoli termini, colpisce a tal punto da provocare nello spettatore una immediata memorizzazione della melodia e delle strofe della canzone.
Incantesimo iniziale che si ripete in qualche modo in occasione di ognuno dei discorsi dei folli ospiti dell’Adamant: è la loro abilità nel mettere in linguaggio le prassi quotidiane, i sentimenti, i ricordi, le paure a costruire letteralmente il film, senza che ci sia bisogno d’altro. È curioso che ad un certo punto un uomo – lo stesso che canta nel prologo – dica che le parole sono importanti, “ma di più le medicine”. Prima ci si cura, poi si parla. Verrebbe da pensare che un’affermazione del genere contraddica l’importanza della dimensione verbale, così evidentemente cara a Philibert. Invece in qualche modo la invera, inserendo la parola dentro una scala di priorità che la rende oggetto concreto e non più entità astratta, passibile dell’inserimento in un elenco in cui la accompagnano pastiglie e tranquillanti.
La parola – in questo film come nell’intero lavoro di Philibert – diventa così la principale unità di composizione dell’opera, tanto più quando, come in questo caso, non ha solo funzione di testimoniare un fatto bensì anche (e soprattutto) di far sì che il fatto esista. I matti dell’Adamant parlano per il piacere di parlare. La parola non viene dopo il fatto da documentare. La parola è quanto di più prezioso il regista possa documentare.
Anche quando è balbettata, timorosa, indecisa, o al contrario irriverente, aleatoria, pretestuosa, come nelle numerose assemblee in cui i pazienti si divertono anche soltanto a leggere l’ordine del giorno e a rispettarne verbalmente i punti, senza che vi sia per forza una ragione sostanziale per parlare di un certo argomento; o come quando si prendono in giro tra loro per un certo tono o un certo timbro usato. Non il contenuto dei discorsi ma la forma dinamica del linguaggio, questo conta per chi vive le sue giornate sull’Adamant e per Nicolas Philibert.
D’altronde Jean-Louis Comolli nel suo ultimo testo, Une certaine tendence du cinéma documentaire (2021), prende ad esempio la sua intervista a Philibert divenuta nel 2019 un film (Nicolas Philibert, hasard et nécessité) per denunciare una scarsità di peso nell’utilizzo della parola nel documentario e il dovere di tornare a produrla in modi intelligenti, non scontati, pazienti, in modo da educare lo spettatore a ragionare sul verbo e non solo sulle immagini, dentro e fuori la sala.
Di certo Philibert si è preso carico di tale istanza dall’inizio della sua carriera, ed è fuor di dubbio che un film come Sur l’adamant contribuisca a rinforzarla. Come recita il cartello finale prima dei titoli di coda, il centro galleggiante rischia di chiudere e deve essere soccorso affinché, in primo luogo, venga salvato “le langage”.
Riferimenti bibliografici
J-L. Comolli, Une certaine tendence du cinéma documentaire, Éditions Verdier, Lagrasse 2021.
Sur l’Adamant. Regia: Nicolas Philibert; montaggio: Nicolas Philibert; fotografia: Nicolas Philibert; produzione: TS Productions; distribuzione: Les Films du Losange; origine: Francia; durata: 109’; anno: 2023.