Storia naturale dell’estetica, il nuovo libro di Lorenzo Bartalesi, professore di Estetica alla Normale di Pisa, ha un obiettivo ambizioso, enunciato nel suo stesso titolo: rintracciare le radici biologiche dell’esperienza estetica. Impresa niente affatto scontata: si tratta innanzi tutto di capire se, per dirla con Wittgenstein, lo strato duro dell’esperienza estetica, quello oltre il quale la vanga si spezza, ha a che fare con il livello biologico della vita umana. Mi si consenta una digressione sul tema delle origini dell’estetico. Il terreno è fertile: è stato preparato da anni di dibattiti sul ruolo dell’esperienza estetica nei processi della mente. Questa è però una prospettiva sostanzialmente riduzionista, al di là delle posizioni dei singoli studiosi, perché parte dal presupposto di ritrovare nella mente il “luogo generativo” di un’esperienza accessibile a tutti: la bellezza che spesso si affaccia tra le cose del mondo. Motivo per cui le analisi svolte in ambito neuroestetico sono spesso ineccepibili, ma raramente vanno oltre i case studies individuati: un certo stile pittorico, le scene di suspense al cinema e così via dicendo. Manca un’ipotesi sul significato dell’esperienza estetica.

In un simile contesto le ricerche sulla possibilità di una “estetica biologica” trovano terreno fertile. Tuttavia, queste ricerche rovesciano la prospettiva: il problema non è tanto quello di trovare una relazione di corrispondenza tra un’esperienza più o meno specializzata e i processi mentali, quanto quello di indicare le fonti a cui attinge l’esperienza estetica e quali sono le esigenze di senso che soddisfa. Il saggio di Bartalesi affronta la questione tornando su uno dei problemi più spinosi dell’opera di Charles Darwin, il fondatore della moderna teoria evoluzionistica. Bartalesi mostra in modo inequivocabile che l’interesse di Darwin per l’estetico non è né marginale, né risponde a una mera esigenza di completezza della teoria, ma va a toccare alcuni dei suoi punti nodali. L’esperienza estetica riferibile ai livelli più elementari della vita, anche degli animali non umani, si configura sostanzialmente in due poli principali. Da una parte c’è l’espressività facciale, gestuale e corporea, di cui è necessario comprendere il grado di intenzionalità comunicativa; dall’altra parte c’è l’insieme di preferenze, le quali formano quello che Darwin, avendo alle spalle la tradizione filosofica dell’illuminismo scozzese e inglese, non esita a definire uno standard of taste, una «regola del gusto» (Bartalesi 2024, p. 44).

Il secondo aspetto è fondamentale per cogliere i presupposti di un’estetica biologica, dal momento che offre uno scorcio sul tipo di ricettività alla base del «meccanismo estetico» (ivi, p. 178) del vivente; l’espressione è di Fabrizio Desideri, uno dei referenti principali di Bartalesi. Non dimentichiamo che le preferenze estetiche dell’individuo, considerate a livello biologico, si manifestano innanzi tutto in prestazioni fondamentali della vita come la scelta del partner sessuale. Su questo punto Bartalesi mette in luce l’originalità dell’approccio di Darwin, che conduce a una «estetica funzionalistica in quanto estetica della contingenza e della perfezione» (ivi, p. 17). In questa breve e felice formula Bartalesi condensa l’idea di una teoria estetica alternativa sia all’organicismo speculativo di un Goethe sia all’estetica formalista di un darwiniano come Haeckel. Per quest’ultimo, scrive Bartalesi, «la natura è intrinsecamente artistica e ornamentale e le sue forme, seppur prive di intenzionalità, sono vere e proprie opere d’arte dotate di un valore estetico oggettivo a prescindere dal giudizio dell’osservatore» (ivi, p. 18).

La chiave per capire perché un fenomeno complesso come l’esperienza estetica abbia una delle sue prime manifestazioni compiute nelle preferenze che guidano la scelta del partner starebbe, invece, in una distinzione che fa Darwin e a cui Bartalesi si preoccupare di dare il giusto rilievo. Quando consideriamo le scelte dell’individuo a livello biologico, per Darwin dobbiamo infatti distinguere tra «due divergenti ordini di utilità: l’utilità sessuale e l’utilità di fitness» (ivi, p. 31). Non è dato quindi rintracciare un unico criterio delle nostre preferenze estetica di base. È lecito piuttosto chiedersi se una molteplicità di fattori, non sempre coincidenti tra loro, influiscano nel determinare le nostre scelte. Quale partner preferiamo? Quello più attraente o quello che ci sembra esibire la caratteristiche più adatte alla sopravvivenza? E le due istanze potrebbero variare o addirittura divergere tra loro? D’altronde, su un punto Darwin ha le idee chiare: l’esistenza di un gusto attesta il fatto che, qui Bartalesi cita il Taccuino N dello scienziato inglese, «le idee generali dei nostri antenati hanno lasciato la loro impronta su di noi» (ivi, p. 42). Abbiamo, a livello mentale, una dotazione innata per rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente. Ma è una dotazione imperfetta, nel senso che non elimina l’indeterminatezza dei molteplici casi che ci potremmo trovare ad affrontare. Darwin, sembra suggerire Bartalesi, lascia perciò spazio all’idea che già nelle manifestazioni elementari del senso estetico, com’è il caso della scelta del partner, sia riscontrabile una certa libertà di riorganizzare le diverse spinte motivazionali a cui siamo soggetti, arrivando a prendere una decisione non predeterminata da un’unica istanza utilitaria, bensì definita dal concorso di diverse istanze.

Bartalesi condivide d’altronde con Desideri l’idea che l’estetico nel suo significato più primitivo — l’estetica “allo stato grezzo”, direbbe John Dewey — risponde all’esigenza di fornire un «primo orientamento nei confronti del mondo» (ivi, p. 178). È una tesi che ritroviamo anche in autori come Kant e Dewey, non a caso ben noti sia a Bartalesi che a Desideri. L’originalità della prospettiva qui sostenuta consiste nel fatto di affermare che, quando parliamo di homo sapiens e della sua raffinata capacità di fare esperienze estetiche e perfino di produrle attraverso la creazione di opere d’arte, ci troviamo di fronte a una «sopravvivenza dell’estetico» (ivi, p. 179), che ha rappresentato un enorme vantaggio evolutivo, in quanto ha permesso di differenziare diversi tipi di esperienze e di reazioni emotive.

Un lettore più o meno specialista di cose filosofiche e scientifiche può leggere l’importante saggio di Bartalesi in due modi. Approfondendo le ipotesi che l’autore elabora a proposito della teoria dell’evoluzione di Darwin, del posto dell’estetico in questa teoria e dei suoi sviluppi successivi. Oppure concentrarsi sull’aspetto squisitamente filosofico, chiedendosi se l’autore ha davvero toccato lo strato contro cui la vanga si spezza, o se sia possibile approfondire altri aspetti relativi all’origine dell’estetico. Bartalesi giunge fino al punto in cui, direbbe Emilio Garroni, riconosciamo nella creatività umana un tratto stabile e predominante di metaoperatività, cioè della capacità di stabilire le regole nel corso del gioco. Per Garroni questa capacità rappresenta l’autentico salto evolutivo di homo sapiens e si accompagna all’esigenza di sentire le proprie scelte e preferenze come valide non solo per sé ma come comunicabili e condivisibili anche dagli altri; in questo la prospettiva di Garroni è squisitamente kantiana. Sarebbe interessante sollevare il dibattito, il clima filosofico è favorevole: l’origine dell’estetico, natura o società?

Riferimenti bibliografici
F. Desideri, Origini dell’estetico, Carocci, Roma 2018.
E. Garroni, Creatività, Quodlibet, Macerata 2010.

Lorenzo Bartalesi, Storia naturale dell’estetica, Einaudi, Torino 2024.