Il libro di Jacopo Tomatis è un’opera monumentale che prende in considerazione la gigantesca produzione discografica e musicale che solitamente viene rubricata sotto l’etichetta “musica leggera” e spiega, da una molteplicità di punti di vista, perché si tratta in realtà di un fenomeno assai pesante, come cantava Gianni Morandi ormai qualche decennio fa. Pesante sotto il profilo artistico ed estetico, visti la quantità e qualità dei talenti coinvolti sia a livello musicale sia poetico. Pesante, ovviamente, in quanto comparto industriale e mediatico, capace di mobilitare audience imponenti, di produrre utili miliardari, di muovere un’economia gigantesca, anche al livello delle esportazioni e di conquista di mercati internazionali, specie europei e sudamericani. Ancora, la canzone italiana è un fenomeno di peso per come ha saputo farsi portatrice di messaggi, modelli, stili, visioni del mondo e concezioni della vita che hanno segnato tutte le trasformazioni del paese da circa un secolo in qua. E pesante anche per il calibro delle dispute, sociali e politiche che si sono giocate dentro e intorno alle canzoni.

Jacopo Tomatis è un giovane musicologo di grande e raffinata competenza, ma qui il discorso tecnico, di analisi prettamente musicologica, è costantemente tenuto sotto sorveglianza e utilizzato solo quando è strettamente funzionale a spiegare alcune svolte o alcune componenti strutturali dei brani in questione. Per il resto, si tratta di un libro ampiamente accessibile anche ai non specialisti, che riesce a coniugare la sottigliezza delle argomentazioni, nella descrizione di uno scenario indubbiamente articolato e complesso, con una piacevolezza di lettura – del tutto conforme all’oggetto preso in esame – che consente di attraversare le circa 600 pagine che lo compongono come fossero un racconto.

Perché la nostra storia inizia con l’invenzione della tradizione di una musicalità italiana, di una melodia tipicamente italiana, che non era mai esistita ma che si affermerà rapidamente, non solo in Italia, come un canone al quale attenersi fedelmente nella rivendicazione di una identità specifica o contro il quale opporsi a sostegno dei vari processi di modernizzazione. Stabilito che figure dai nomi arcaici come Natalino Otto o Armando Trovajoli sono stati in realtà dei rivoluzionari eclettici, capaci di geniali innovazioni e contaminazioni di stampo postmodernista, non di rado osteggiati dall’establishment dell’epoca, ma sempre difesi dall’entusiasmo popolare, il testo racconta la nascita dell’industria discografica che conosciamo, con le sue istituzioni e contro-istituzioni: Sanremo, il Cantagiro, il Club Tenco, le riviste, da Ciao Amici a Muzak, l’avvento di Domenico Modugno, i musicarelli e gli urlatori alla sbarra, il rapporto complicato con l’egemonia industriale americana e quella culturale francese. E le mille polemiche, alcune, rilette oggi, assolutamente strepitose.

Il recupero di un’altra tradizione inventata come quella del folk, i Cantacronache, gli apocalittici e gli integrati, gli etnomusicologi accigliati e quelli entusiasti, Umberto Eco che gioca con la canzone diversa e Roberto Leydi che sospetta del canto popolare e bastona Bob Dylan. Poi c’è la beatificazione dei cantautori e l’irruzione della politica, il processo a De Gregori e le orge tossiche del Parco Lambro, la diatriba sull’artisticità della musica leggera, la disparità di genere che agisce così in profondità da essere pressoché invincibile, il progressive rock e una nostalgia che ritorna ciclicamente e poi diventa la cifra dominante. Sullo sfondo, troviamo tanto panico morale, specialmente preventivo, e tanto entertainment, l’invenzione della gioventù, le mille ritualità, l’intersezione fra diversi settori dell’industria culturale, le culture di gusto e la segmentazione dei pubblici che sono i sottotesti su cui si plasma l’evoluzione dell’assetto produttivo (dalla radio al video) e di quello tecnologico (dal vinile al digitale, dal juke-box all’Ipod).

In tutto questo, vale la pena di sottolineare almeno due aspetti che rendono davvero prezioso questo libro. Il primo è la capacità di controllare un numero semplicemente spaventoso di eventi, situazioni, dibattiti e soprattutto artisti. Perché la ricostruzione di questa storia culturale si basa su un lavoro mostruoso sulle fonti primarie e secondarie (dai documenti alle riviste a una bibliografia a dir poco impressionante), ma soprattutto su una conoscenza del campo di riferimento davvero pregevole. Da Gino Paoli a Fausto Amodei, dai Decibel agli Alunni del Sole, da Guccini a Battiato, per arrivare fino agli Afrika Bambaataa, ai Rokes, a Gianni Meccia, a Onda Rossa Posse, a Clementi e Ferretti, agli Skiantos, ad Anna Oxa, fino a Jovanotti, Ghali, Marracash e Sfera Ebbasta, non c’è area dello scibile canzonettistico che non venga toccato e analizzato da Tomatis, accordando a ciascuno uguale dignità di fenomeno culturalmente significativo, al di là di ogni giudizio di valore, che in una storia culturale non è e non deve essere rilevante.

Già, perché la seconda considerazione riguarda il fatto che se esiste una costante nei discorsi che hanno riguardato la musica leggera italiana, questa è proprio la stucchevole ricorrenza, quasi ossessiva, con cui torna costantemente il tema della legittimazione e vengono costantemente riproposte assiologie e relative gerarchie. La sola ragione per cui qui utilizziamo l’espressione “musica leggera” è che alla leggerezza in quanto tale attribuiamo un valore inestimabile, come nella lezione di Italo Calvino. Ma lo stigma con cui questa assenza di gravità è stata recepita e respinta nel nome dell’arte, dell’impegno, e soprattutto dell’autenticità, senza mai cercare di capire come e perché queste note sono state capaci di diventare la colonna sonora delle nostre vite, è un monito sufficiente a lasciare perdere per sempre atteggiamenti di questo tipo e ad essere accoglienti e inclusivi, con qualsiasi forma espressiva, lasciando perdere tutto il resto.

Ultima nota: fra gli elementi di piacere di questa lettura, ci potrà essere per ciascuno la creazione della propria hit parade dei sottovalutati o addirittura degli ignorati. Perché per quanto sterminato, l’elenco degli artisti presi in considerazione non avrebbe potuto essere esaustivo neanche volendo. Ciascuno potrà chiedere conto a Tomatis delle assenze che lo feriscono, e l’autore si dichiara disponibile a fare ammenda nella prossima edizione, riveduta e ampliata.

Jacopo Tomatis, Storia culturale della canzone italiana, Il Saggiatore, Milano 2019.

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