Quando il direttore d’orchestra è già entrato, ed è fermo con la bacchetta in mano, a luci spente, parte inaspettatamente un video con sottotitoli. Una ragazza a Roma, il giorno prima del matrimonio, chatta con sua madre: le dice che sta per tornare in albergo a riposare. Scopriremo più tardi che si tratta dell’Hotel Quirinale, disegnato dallo stesso architetto, Achille Sfondrini, che ha disegnato il Teatro Costanzi, con cui era collegato direttamente da un corridoio che Maria Callas amava percorrere quando cantava all’Opera di Roma. Stiamo per assistere a una nuova edizione della Sonnambula di Bellini, diretta da un Maestro eccellente come Francesco Lanzilotta, interpretata da una diva altrettanto eccellente come Lisetta Oropesa, e affidata al collettivo le lab, che ambienta i propri allestimenti nella città in cui hanno luogo.

Il pubblico capisce ben presto che non si tratta di una cornice, stilema ormai scontato. In una Carmen con la regia di Piero Faggioni e la direzione di Abbado che inaugurò la Scala nel 1984, durante l’overture si vedeva Escamillo-Placido Domingo in prigione. I critici osannarono questa versione perché sarebbe stata un flashback del protagonista, ma l’effetto era limitato a pochi minuti iniziali. Fu particolarmente caustico il commento di Alberto Arbasino: perché non fare allora un Rigoletto come un flashback di Gilda morente cucita nel sacco?

La regia d’opera è diventata un’arte autonoma: un fenomeno che va salutato con entusiasmo, nonostante qualche eccesso, da parte di chi è interessato al melodramma non solo dal punto di vista vocale, ma anche e soprattutto da quello intermediale, storico-culturale ed estetico. Spesso i registi costruiscono un controtesto, che scorre in parallelo al testo primario: lo espande, lo attualizza e talvolta addirittura lo contraddice, come nelle regie geniali di Damiano Michieletto. Si è diffuso così il video, ormai una voce a parte nei crediti (ad esempio D-Wok).

Le lab è un collettivo diretto da Jean Philippe Clarac e Olivier Deloeuil, attivo a Bordeaux, per la prima volta in Italia per un’opera: nell’intervista del programma ci svelano che la loro regia è nata dalla visione di Caravaggio a San Luigi dei Francesi, che è un racconto del passato in un abito contemporaneo. La loro Sonnambula si svolge nella galleria d’arte Elvezia, nome che ammicca alla Svizzera; l’altro spazio è la suite Maria Callas dell’Hotel Quirinale di cui abbiamo parlato. La ragazza si addormenta sulle note di «Viva Amina» del coro iniziale e sulle stesse note del coro finale si risveglia. Questa Ringkomposition ci fa capire che è stato un sogno, ma non si limita ad una cornice introduttiva: vediamo prima i quadri di Palazzo Barberini, poi la ragazza che si trucca allo specchio, si immerge nella vasca da bagno con un’aria allucinata, da sonnambula appunto: tema amatissimo dalla pittura (stupendo il quadro di Millais riprodotto nel programma). C’è un dettaglio importante che ci svela la chiave della regia: più volte i numeri dell’opera sono presentati come PERFORMANCE N° 1,2,3. Possiamo dedurre che tutta l’opera è una performance allestita nella galleria d’arte? Sembrerebbe di sì, soprattutto a causa dei costumi eleganti che si affiancano a quelli dei contadini: siamo forse assistendo a un addio al nubilato? Il Conte, il personaggio urbano e aristocratico, guarda attraverso un Ipad: perché lo fa? Alla fine è forse tutto smaterializzato?

Veniamo alla definizione della Sonnambula. Lo splendido saggio di Emanuele Senici nel programma di sala mi ha fatto scoprire che il librettista, il sublime Felice Romani, aveva pensato di trasformare l’intreccio del modello, un vaudeville dell’onnipresente Eugen Scribe, facendo del Conte il padre naturale di Amina. Ne sarebbe venuta fuori un’opera ben più perversa dell’idillio elegiaco e lacrimevole di Bellini. Il Maestro Lanzillotta la definisce un idillio semi-serio, ed in quel “semi” sta la peculiarità, soprattutto riguardo a due assi portanti del melodramma, l’empatia e la maternità. Nell’opera seria domina il topico triangolo amoroso, che George Bernard Shaw ha sintetizzato nella celebre battuta, per cui l’opera è il genere in cui il soprano vuole andare a letto con il tenore, ma si oppone il baritono. Il ruolo dell’antagonista è infatti sempre affidato alla voce più scura del baritono: le eccezioni sono opere anomale, come Macbeth o Rigoletto. Il melodramma però non è un genere schematico, come vuole la vulgata: gli antagonisti suscitano una forma di empatia negativa a cui ho dedicato un libro scritto assieme a Stefano Ercolino. Le cose sono diverse quando si passa all’opera comica, o semi-seria, o dramma giocoso (il Don Giovanni di Mozart). In questo caso tutto si sfuma, ed è difficile trovare figure demoniche, come lo Iago di Verdi; non c’è empatia negativa infatti nel suo ultimo, comico e malinconico capolavoro, il Falstaff.

Chi è il cattivo nella Sonnambula? Certamente non il Conte, che è pure l’elemento socialmente estraneo, il figlio segreto del padrone. Lo sarebbe stato se Romani lo avesse trasformato nel padre biologico di Amina. Il Conte si limita invece a flirtare, bonariamente, e ad esercitare l’altrettanto bonaria critica illuminista della paura dei fantasmi. La sonnambula ha ovviamente una cattiva, Lisa, l’ostessa amante di Elvino, che non suscita però nessuna forma di identificazione.

Con Serena Guarracino abbiamo cercato di dimostrare che nel melodramma, prevedibilmente, le madri cattive sono rare: appartengono alla prima fase barocca (Agrippina), o al Novecento; l’Ottocento romantico tende ad evitarle, con l’eccezione della famigerata Lucrezia Borgia, che comunque Donizetti rappresenta come madre affettuosa. E nell’opera più famosa di Donizetti, Lucia di Lammermoor, la madre cattiva del romanzo di Walter Scott diventa «la madre estinta» pianta dalla figlia. Nella Sonnambula la madre estinta del protagonista viene evocata con commozione. Le lab le dà un rilievo quasi troppo macabro se teniamo presente la cifra semi-seria di questo primo capolavoro di Bellini: al centro della scena vediamo una serie di tombe di marmo bianco. Bellini ha dedicato il suo capolavoro, Norma, alla madre cattiva per eccellenza, Medea, ammorbidita però perché alla fine non compie l’infanticidio. Un caso perfetto di empatia negativa.

Veniamo al finale. Ben lungi da svolgere il ruolo di antagonista, il Conte alla fine è un aiutante magico: spiega ai paesani cosa è il sonnambulismo, e guida Amina per salvarle la vita. L’aria elegiaca «Ah non credea mirarti / sì presto estinto fior» è la più commovente che Bellini abbia mai scritto: una delle più struggenti della storia dell’opera. La caballetta è invece marziale, virtuosistica e saltellante come poche, ed è stata il cavallo di battaglia di una cantante un po’ fredda ma vocalmente ineccepibile come Joan Sutherland, e di una cantante-attrice tragicissima, notoriamente una Medea, come Maria Callas: entrambe evocate da le lab con splendide fotografie.

Il pubblico della Sonnambula 2024 dell’Opera di Roma non potrà mai dimenticare il livello straordinario della parte musicale: la direzione calibrata ma drammatica di Lanzillotta, la bravura ineccepibile del coro, e la qualità dei solisti: il Rodolfo di Ferruccio Tagliavini, potentissimo ma suadente; la dolcezza innamorata dell’Elvino di John Osborne, e la perfezione astrale di Lisette Oropesa, che purtroppo ha cantato solo nel primo atto, anche se, devo dire, nessuno degli amici del nostro palco, compreso chi scrive, aveva avvertito problemi di voce. La sostituta, Ruth Iniesta, se l’è cavata comunque egregiamente!

Riferimenti bibliografici
S. Ercolino e M. Fusillo, Empatia negativa. Il punto di vista del male, Bompiani, Milano 2023.
M. Fusillo e S. Guarracino, Passioni smodate. L’estetica del melodramma disseminata nei media, in corso di stampa.
E. Senici, Personaggio alpino e verginità femminile nella “Sonnambula”, Teatro dell’Opera, Roma 2024.

*La foto in copertina è di Fabrizio Sansoni.

La sonnambula. Musica: Vincenzo Bellini; libretto: Felice Romani; regia, scene, costumi: le lab; direttore: Francesco Lanzillotti; interpreti: Lisette Oropesa / Ruth Iniesta, John Osborn, Marco Ciaponi, Roberto Tagliavini, Manuel Fuentes, Monica Bacelli, Francesca Benitez, Mattia Rossi, Giordano Massaro, Leonardo Trinciarelli; produzione: Teatro dell’Opera di Roma; durata: 130′; anno: 2024.