Come riavvicinarsi a una coscienza lanterna? È questo l’interrogativo essenziale da cui prendono forma le modalità di racconto del film Silent Friend, diretto da Ildikó Enyedi e presentato in concorso all’ottantaduesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Punto focale del racconto è la regressione a un’attitudine percettiva in grado di cogliere stimoli simultanei e disseminati, che incoraggia una visione non centrata ma globale del mondo, aperta alla scoperta.
È solo a partire da questa postura che si può soddisfare in modo autentico l’impulso vitale che anima la specie umana: la ricerca. Per conoscere ciò che ci circonda è necessario accordarsi all’ordine della natura, sottraendosi al regime temporale umano che prescrive la rigidità di un andamento lineare. La percezione del tempo deve assumere piuttosto i caratteri di un groviglio irregolare, in cui vicende del passato e del presente si condensano, ponendosi in un rapporto di simultaneità. A tal fine il film assume il punto di vista di una forma di vita non umana, un ginkgo biloba secolare, intersecando le vicende di tre figure che hanno percorso lo stesso orto botanico universitario a distanza di decenni, accomunate da un’istintiva vocazione alla conoscenza.
Tale vocazione è scaturita in parte dalla loro condizione di marginalità all’interno dei contesti in cui si trovano. Il primo personaggio è un neuroscienziato cinese (interpretato dalla star di Hong Kong Tony Leung) che si trasferisce in Germania poco prima dello scoppio della pandemia di COVID-19, trovandosi confinato in un campus di una nazione di cui non parla la lingua. Seguiamo poi un’altra figura che agli inizi del Novecento è la prima donna ammessa nella stessa università, e diviene presto oggetto di sguardi indiscreti e molestie verbali costanti da parte di colleghi e docenti. Nella terza linea narrativa, ambientata negli anni settanta, protagonista è uno studente che fatica a trovare il suo posto nella vita universitaria.
La necessità di ciascuno di radicarsi nell’ambiente si traduce nell’incessante ricerca di punti di contatto con le forme di vita vegetale che osservano, che, seppur in modalità differenti, consiste sempre nell’individuazione di un linguaggio da decodificare, nella scoperta di reazioni a stimoli. Esercitando questo sguardo indagatorio su ciò che li circonda, i personaggi non aspirano unicamente a comprendere il mondo, ma svelano la determinazione a rivendicare il proprio ruolo al suo interno, emancipandosi dal confinamento soggettivo e assumendo anch’essi una coscienza lanterna. La comprensione dell’ambiente, infatti, può aver luogo solo percependosi come parte integrante di un sistema e non come entità avulsa da esso, dunque acquisendo consapevolezza di esistere in una relazione bidirezionale con tutte le parti in gioco.
Si tratta di un atteggiamento che trova espressione anche nelle strategie discorsive del film, che si svincola costantemente dalla subordinazione all’azione umana. Tra una scena e la successiva si interpongono spesso segmenti descrittivi che ritraggono ambienti naturali brulicanti di specie animali di ogni tipo; ma la manifestazione più intensa di tale atteggiamento risiede nei dettagli microscopici delle piante, che consentono di osservare sempre più da vicino ciò che è invisibile agli occhi. Quando invece è posta in relazione con l’umano, la natura trova sempre il modo di farsi strada all’interno dell’inquadratura, ritracciandone i confini e reinquadrando le figure, oppure proiettando ombre sui loro corpi e volti.
È in questa incessante dialettica tra uomo e natura che risiede il potenziale per l’attivazione di una percezione che dà accesso a una visione d’insieme dei fenomeni. La pratica della ricerca, in questo senso, non può configurarsi unicamente come scoperta dell’altro, ma implica necessariamente una scoperta di sé in quanto parte di un complesso intreccio di relazioni reciproche.
Attraverso la sua modalità di racconto non lineare, Silent Friend traccia un percorso costellato di intermittenze che si riflette nei processi della ricerca, nelle interruzioni e nella discontinuità che la contraddistinguono. L’opera si conclude infatti senza che i protagonisti abbiano portato a compimento le loro sperimentazioni: la scoperta è un processo in continuo divenire.
Silent Friend. Regia: Ildikó Enyedi; sceneggiatura: Ildikó Enyedi; fotografia: Gergely Pálos; montaggio: Károly Szalai; musica: Gábor Keresztes, Kristóf Kelemen; interpreti: Tony Leung Chiu-wai, Luna Wedler, Enzo Brumm, Sylvester Groth, Martin Wuttke, Johannes Hegemann, Rainer Bock, Léa Seydoux; produzione: Pandora Film (Reinhard Brundig), Inforg-M&M Film (Monika Mécs), Galatée Films (Nicolas Elghozi, Morgane Olivier), Rediance Films (MengXie); distribuzione: Films Boutique, Movies Inspired; origine: Germania, Francia, Ungheria; durata: 145′; anno: 2025.