Il Saggiatore ha riportato in libreria Sesso solitario di Thomas Laqueur, libro pubblicato per la prima volta all’inizio degli anni Duemila – nel 2004 in lingua inglese – che ripercorre nel dettaglio la storia culturale della masturbazione.

Un argomento ostico, senza dubbio, perché va a toccare la pratica tabù per eccellenza della nostra cultura, quella ammantata da un eterno “si fa ma non si dice”, e che tuttavia, sorprendentemente, non proviene da un passato poi così antico. La peculiarità di Sesso solitario sta infatti nel segnare come anno zero della storia culturale della masturbazione il 1712. “Culturale” assume qui un significato preciso: non significa che la nostra specie si sia astenuta dal fai-da-te per quasi due millenni ma, tutt’al contrario, che questa pratica è emersa come un fattore umano solo una volta staccatasi dallo sfondo delle condotte pienamente naturali. Solo una volta che, per così dire, l’autoerotismo ha cominciato a mescolare il corpo con i simboli, i saperi e i desideri dell’homo sapiens. Perché proprio il 1712 allora?

Siamo in pieno Illuminismo, nel secolo in cui la ragione gonfia il petto e si autoproclama arbitro e giudice di qualsiasi fenomeno le capiti a tiro. Ed è proprio in questo clima di sfrenato ottimismo che vede la luce quello che per Laqueur è il libretto nero della masturbazione, Onania: un opuscolo di ottantotto pagine firmato da un medico anonimo, volenteroso di gettare una luce pseudoscientifica sul più antico dei vizi umani. Onania è difatti un libro punitivo, che riprende il nome da Onan, il personaggio della Genesi che osò versare il proprio seme sul terreno anziché nel grembo della moglie del fratello morto – e che, a fronte di un tale gesto, morì a sua volta. È un libro punitivo che inventa una malattia medica e morale, l’onanismo, in grado di abbruttire il corpo e generare soverchianti sentimenti di colpa, vergogna e inquietudine nell’esecutore. Nel periodo in cui il destino dell’umanità è dipinto come un’opera di collaborazione reciproca e razionale, la masturbazione rappresenta la «pratica innaturale» di «violare» i corpi «senza l’Aiuto degli altri» (Laqueur 2024, p. 19), un’abitudine contronatura che è resa ancor più spaventosa per il fatto di essere anche l’opzione di godimento più democratica a disposizione.

Alle invettive di Onania fecero seguito decine di dissertazioni, centinaia e centinaia di articoli, opuscoli di consumo, volumi popolari e trattati eruditi, senza contare la prima e solenne voce enciclopedica sull’argomento. In un certo senso, questo libro aveva fatto ciò che altri prima di esso avevano già fatto, e che molti continueranno a fare in futuro: tradurre le ansie culturali di un’epoca in malattie, declinare gli aspetti non convenzionali della vita nella lingua del peccato. Eppure, l’anonimo autore aveva colto nel segno più di qualsiasi altro suo predecessore, perché nessun altro argomento era riuscito a raggiungere il clamore culturale della masturbazione. In nemmeno cinquant’anni, gli stessi Lumi sono costretti a riconoscerle uno statuto di eccezione, ascrivendola tra le voci dell’Encyclopédie, «il più grande compendio di sapere mai prodotto» dall’età della ragione (ivi, p. 23). Riconoscere per non legittimare, potremmo dire, dal momento che «la masturbazione era la negazione universale, l’alternativa più disastrosa a ogni cosa buona si potesse affermare sul corpo sessuale e la radice di tutto ciò che di malvagio, corruttivo e antisociale esisteva» (ivi, p. 51).

Ma cosa c’era, secondo Laqueur, di così temibile nella masturbazione, e perché questo nemico ha fatto capolino proprio in un’epoca simile? Forse, il fatto che si trattasse di un segreto ostinato in un mondo che andava via via esaltando gli ideali di trasparenza, un mondo della luce che non accettava la paura del buio. Oppure il suo rimando alla pratica libidica più accessibile ed eccessiva, che collegava impudicamente ciò che vi è di più alto (il cervello, i nervi, la ragione) con l’infimo per antonomasia (i genitali, gli istinti, la lordura), che sostituiva alla realtà il fantasticare sfrenato. Laddove la cultura moderna incoraggiava “l’individualismo e l’autodeterminazione” all’interno del tessuto sociale, la masturbazione si ergeva come il totem – tanto per rimanere concentrati sul simbolismo fallico – del solipsismo e dell’anomia.

Kant la giudicò un atto «peggiore del suicidio», perché se quest’ultimo mina l’autoconservazione dell’individuo, la masturbazione è un’eresia contro la specie intera. Samuel-Auguste Tissot diceva che era «molto più temibile del vaiolo» (ivi, pp. 65, 227). E l’elenco di personaggi illustri potrebbe continuare.

Curiosamente poi, la condanna dell’onanismo portò a galla un aspetto che era del tutto sfuggito alle epoche precedenti, e cioè la masturbazione femminile. D’un tratto, con una sorta di democratizzazione negativa del sesso autoerotico, tutte le polluzioni erano divenute oggetto di condanna. O, meglio ancora, la necessità di condannare tutto l’autoerotismo fece sì che quest’ultimo venisse indagato e quindi classificato in ogni sua forma.

Va detto che, almeno in teoria, le intenzioni dell’autore di Onania erano semplicemente di avvertire – non senza ciarlatanerie – la popolazione sui pericoli di un’attività scriteriata. La cosa gli sfuggì decisamente di mano, tanto che, non molto tempo dopo la diffusione dell’opuscolo, Onania vide prosperare attorno a sé un mercato più grande di lui. Per tutto l’Ottocento, era comune trovare pozioni per curare i danni della masturbazione. Pozioni che potevano essere acquistate direttamente dal libraio presso cui procurarsi una copia di Onania. Il prezzo medio di questi preparati era di dodici scellini, l’equivalente – per capirci – di «almeno 290 tazze di caffè» (ivi, p. 30). Nelle edizioni successive, persino la quarta di copertina del libro fu messa all’asta per ospitare annunci pubblicitari, come per esempio quello di un “miracoloso” tabacco ricostituente.

La masturbazione entrò anche nella corte di aziende della facoltosa signora Garroway, che oltre a medicamenti per la gotta, purganti alle prugne e impiastri di vario genere, aveva esteso il proprio business ai rimedi per il sesso solitario. Essa non passò inosservata nemmeno a J.H. Kellogg, riformatore della sanità americana nonché asso del capitalismo e della dinastia degli omonimi cereali, che la accusava di essere «il peggior esempio possibile» tra le umane inclinazioni verso il sesso (ivi, p. 52). Non mancavano nemmeno le applicazioni pedagogiche, con buona parte della letteratura del XVIII e XIX secolo dedicata a redarguire i genitori affinché sorvegliassero e punissero i propri figli per le loro attività clandestine.

Insomma, l’ambito medico andava sempre più stretto al dilagare ideologico della masturbazione. Un po’ perché la scienza medica non aveva lo stesso mordente della propaganda popolare, dei moralisti pusillanimi o dei venditori di fumo. Un altro po’, che tanto poco in realtà non è, perché allo scoccare del XX secolo la medicina non era riuscita a dimostrare il collegamento tra la masturbazione e l’amplissimo ventaglio di malattie a essa attribuite (epilessia, tubercolosi spinale, follia, foruncoli e l’intramontabile cecità). Per un certo periodo, a colmare il posto lasciato vuoto dalla medicina ci provò l’eugenetica. Basti pensare a un tema ricorrente di Wagner, poi riproposto dagli antisemiti del tardo XIX secolo, secondo cui gli ebrei «erano degenerati perché si masturbavano e si masturbavano perché degenerati» (ivi, p. 69).

A cambiare le sorti della masturbazione ci provò a suo modo anche la psicoanalisi. Freud e colleghi vi videro uno stadio da attraversare in modo appropriato per guadagnarsi l’accesso all’età adulta, ma anche alla civiltà tout court: la sublimazione del sesso autoerotico, osceno e illimitato, in virtù dell’amore genitale, della famiglia, della convivenza reciproca e, non in ultimo, della creazione artistica. Non più segnale di malattia, dunque, ma al massimo sintomo di un fallimento, di un cortocircuito sessuale che impediva a chi ne faceva uso di «riappacificarsi con le richieste della società» (ivi, p. 81). Con un piede ancora nel moralismo, la psicoanalisi ha fatto da anticamera alla rivoluzione autoerotica del secondo Novecento, quando la masturbazione si erge a simbolo dell’autarchia personale, a esperienza positiva di ribellione che trascina con sé gli ideali foucaultiani della cura di sé, della cultura autoriferita del corpo che apre l’accesso a un desiderio senza compromessi. Per parafrasare un leitmotiv sessantottino, del resto, chiedere di fare da soli, di praticare la decisione del proprio desiderio in autonomia, non è forse chiedere l’impossibile? Lo stesso impossibile che, con l’avvento del web, si trasformerà in un’opportunità impareggiabile, in un mondo parallelo in cui il tanto biasimato fantasticare degli onanisti converge in una comunità online che pullula di materiali, categorie, tags e, ovviamente, profitti.

Tutto qui dunque? Non proprio, perché per Laqueur questa serie di ammonimenti medici e morali (XVIII-XIX secolo) o di spazi di partecipazione in nome di una comunità di solitari incalliti (XX-XXI secolo) non sono che parafulmini, maschere sotto cui si cela un conflitto ancor più aspro e, per molti aspetti, tutt’oggi inspiegabile. A ben vedere, in questi quattro secoli sono mutati i contesti, le cornici interpretative, le voci e i pareri, ma non il nocciolo della questione: l’ansia e il segreto nei confronti della masturbazione rimangono. Il cinema, da Fuga da New York alla saga di American Pie, continua a scimmiottare la figura dell’onanista-outkast, l’arte a usarlo come strumento di provocazione. E non importa se l’azienda di gadget erotici Good Vibrations abbia deciso di lanciare il mese nazionale della masturbazione (è a maggio): nessun politico, a oggi, si è mai sognato di esporsi pubblicamente per difendere la legittimità del sesso solitario. C’è qualcosa che fa da ostacolo, un resto non meglio identificato che continua a farci recedere di fronte allo spettacolo angosciante dell’onanismo.

Laqueur su questo è granitico. Non era la distinzione tra il sesso a scopo procreativo e il sesso solitario a maledire la masturbazione, quanto un disegno decisamente più ampio, infinitamente più sfumato:

La perdita del seme potrebbe essere legata metaforicamente con le preoccupazioni per altri tipi di perdite […]: lo sperma, i soldi e l’energia scarseggiano e vengono spesi in maniera sfrenata a rischio e pericolo dello sprecone. Proprio come nel mondo degli affari e del commercio occorre disciplinare il proprio uso delle risorse che scarseggiano, così nell’economia dello sperma gli uomini hanno bisogno di risparmiare e amministrare il loro prezioso fluido corporeo. Le ansie rispetto al fatto di non avere tempo, denaro sicurezza a sufficienza. […] La sfera del corpo funge bene da cartina di tornasole di quella economica (ivi, p. 211).

Come se l’atto veramente immorale dell’onanista non abbia niente a che vedere con l’erotismo, con l’amore per il prossimo o con una qualche obbligazione nei confronti della specie. Il masturbatore, semmai, è osceno perché persevera nella più inaccettabile delle profanazioni economiche: ottenere qualcosa in cambio di niente.

È un bene che il libro di Laqueur sia tornato in libreria, sia perché ripercorre una storia che pochi si prenderebbero la briga di raccontare (la storia di quattro secoli di solitudine felice, potremmo dire), ma, soprattutto, perché riapre il dibattito su un argomento a proposito del quale, anche nella nostra epoca di (presunta e incondizionata) sfrontatezza, nessuno osa prendere parola in modo diretto. Che sia praticata nel buio di una camera o in collegamento con una comunità web che si scambia continuamente contenuti per titillarsi, la masturbazione rimane nel suo limbo: un segreto a metà tra la colpa e l’innocenza, tra «la scoperta di sé» e «l’assorbimento in se stessi» (ivi, p. 452).

Lacan diceva che i pazienti sono sempre disposti a vuotare il sacco sui propri sintomi, lo fanno volentieri, a volte vanno avanti così per anni e anni. Tutt’altra cosa è farli parlare del loro fantasma, la fantasia inconscia fondamentale che struttura il loro godimento. Senza nulla togliere allo psicoanalista francese, tanto varrebbe dire che nessuno, in nessun caso, è felice di parlare delle proprie seghe.

Thomas W. Laqueur, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione, il Saggiatore, Milano 2024.

Tags     erotismo, masturbazione
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