Quando si parla di cinema oggi, si sa, si deve includere anche l’animazione e non come discorso a parte. Quindi, quando si parla di cinema italiano, si deve fare i conti anche con la sua animazione, un campo in cui la cosiddetta “corrente neopittorica” è, da alcuni anni, un riferimento costante. Ma di che cosa si tratta? A questo proposito, non si possono non citare i nomi di Giannalberto Bendazzi, fra i più importanti storici dell’animazione mondiale, ma anche – e nel nostro specifico, soprattutto – quello di Priscilla Mancini, che sull’argomento ha dedicato un bello studio che si può considerare fondamentale sull’argomento, L’animazione dipinta. Dalla voce della stessa autrice:

La Corrente Neopittorica è la sezione internazionalmente più nota e più premiata del cinema d’animazione indipendente italiano […]. Essa non è nata in un giorno preciso e a un’ora definita. Si è formata pian piano, nel corso degli anni e in maniera inconsapevole. È stata “individuata” a posteriori, prima da un’intuizione di Giannalberto Bendazzi e in seguito in un’indagine analitica e critica delle tendenze nell’animazione italiana degli ultimi anni e col riconoscimento di indubbie caratteristiche comuni. Non esiste in effetti alcun “manifesto” neopittorico sottoscritto o stilato dagli animatori che sono stati inseriti nella Corrente (Mancini 2016, p.16).

Ora, fra le caratteristiche in comune fra molti degli animatori c’è la loro frequentazione – per studio e insegnamento – dell’Istituto Statale d’Arte di Urbino. Da qui, appunto, la suggestione di considerare l’idea di una Scuola di Urbino, da intendersi come si intendevano le scuole nel Rinascimento, per identificare determinati autori e autrici provenienti da quel contesto (a sottolineare questo legame oggi c’è – tra l’altro – la creazione dell’associazione Alma). Fra i maestri da prendere in considerazione c’è, senza dubbio, Roberto Catani, i cui film animati si connotano spesso di un montaggio inventivo e virtuosistico in grado di restituire leggerezza e sottigliezza in relazione tra loro. Ci sono poi autrici come Magda Guidi e Mara Cerri nel cui lavoro, invece, sembra essere più accentuata l’attenzione per ciò che nel cinema cosiddetto live-action sarebbe il profilmico, tra narrazione e onirismo.

A proposito del termine velatura, l’Enciclopedia Treccani presenta la sua definizione in relazione al campo che, qui, ci interessa, ovvero la pittura: «Il pittore ha spesso bisogno, sia per intonare meglio il dipinto, sia per addolcirne il modellato, sia per aumentare la forza di un tono, o dargli vivacità e trasparenza, di applicare il colore in sottile strato che si dice velatura». La spiegazione, poi, continua: «Più che un ripiego dell’ultima ora, la velatura, in una sana tecnica, deve rappresentare un bel calcolato e preordinato artificio volto a ottenere qualità di raffinatezza in altro modo irraggiungibili».

Dato questo assunto, dipingere attraverso velature presupporrebbe che, alla base, ci sia un qualcosa di comune a/in tutte le opere. Ovvero, un qualcosa che potremmo considerare come una specie di concatenazione di elementi x, tra teoria (idee relative a questa o quella rappresentazione eccetera) e pratica (disegno, creazione del colore eccetera). Ora, se proviamo a traslare lo stesso discorso nell’ambito dell’animazione neopittorica, si potrebbe identificare la concatenazione di cui sopra con le seguenti parole di Mancini:

In ogni lavoro la componente figurativa e la base narrativa sono molto delineate. Quelle che vediamo trasformarsi sotto i nostri occhi, fondendosi continuamente in immagini diverse, sono figure, riconoscibili, identificabili e coerenti nell’utilità filmica della storia rappresentata. Va aggiunto che non sempre la trama è perfettamente comprensibile a una prima visione, perché fatta di ellissi, passaggi non detti, sospensioni volutamente studiate per spiazzare lo spettatore davanti alla bellezza delle immagini, e per una comprensione completa, o almeno per una degna interpretazione, è utile rivedere i film più e più volte; tuttavia non si parla certo di astrattismo (Mancini 2016, p.23).

In questo “contesto” le velature potrebbero derivare dal lavoro dei singoli animatori sulle «ellissi», i «passaggi non detti», «le sospensioni volutamente studiate» di cui Mancini scrive. In merito, si possono prendere in esame Per tutta la vita (Catani, 2018) e Via Curiel 8 (Cerri e Guidi, 2011).

Come scrive Mancini, il cinema di Catani presenta un immaginario di influenze che provengono da diversi ambiti, soprattutto legati a pratiche visive (in merito, l’autrice cita Tarkovskij per il cinema live-action, Chagall e Bacon per l’arte, poi Cucchi, Kiefer e Mattotti per il disegno e l’illustrazione, e Luzzati e Norštein per l’animazione).

In Per tutta la vita, più che una storia, si ha una situazione o tematica, come spesso capita quando si ha a che fare con i film dei neopittorici. In sintesi, l’argomento è il seguente: quel che di bello dovrebbe rimanere di una relazione d’amore, qualcosa che passa attraverso velature che tolgono rischi di psicologismo/patetismo e stilizzano plasticamente il gioco di ricordi tra le figure al centro dell’attenzione – e cioè: un lui e una lei. Le scene si intarsiano una dentro l’altra per possibili metafore o sineddoche visiva: si ha un virtuosismo il cui montaggio interno mette in evidenza una forza ellittica molto particolare. Citando quanto scrive un grande antropologo delle immagini come Carlo Severi, si potrebbe dire che qui «lo spazio liminale nel quale la relazione tra spettatore e figura dipinta si realizza può anche situarsi […] al di fuori dell’immagine» (Severi 2018, p.46). Una modalità che renderebbe Catani un animatore il cui modus operandi sembrerebbe incline a certe tentazioni da “primitivista” pittorico.

Guardando Via Curiel 8 si ha invece l’impressione di trovarsi di fronte ad un film in cui le «ellissi», i «passaggi non detti», «le sospensioni volutamente studiate», ovvero le caratteristiche menzionate da Mancini, non sembrano essere date dalla ricerca visiva ma dall’approccio alla narrazione.

Il film è ciò che si potrebbe dire una storia non-storia: un ragazzo e una ragazza; un appartamento; i loro ricordi; i loro incontri. Questi nuclei tematici si legano tra di loro in una cadenza che ha una connotazione, se si vuole, fortemente cinematografica. Allo stesso tempo, il ritmo di questa esecuzione, se fosse musicale, sembrerebbe porre l’accento sulle virtù dello staccato rispetto al legato. E cioè: la maestria delle animatrici riesce a velare ai sensi (sguardo e ascolto) quei momenti della trama in cui i nessi esplicativi tra i nuclei elencati possono emergere in maniera univoca. Emerge un’impressione di mistero, degna di essere accostata al miglior Antonioni per lo sguardo sulle relazioni di “coppia”. Al riguardo, si potrebbe anche usare la lente interpretativa della psicanalisi, e così identificare il lavoro di Cerri e Guidi come una specie di trattato sul perturbante freudiano. Ma, pure in questo caso – fortunatamente – non sembra esserci rischio di illustrazione: il segno cine-pittorico non calca la mano, lavora in sottrazione.

Riferimenti bibliografici
G. Bendazzi, Animazione. Una storia globale, Utet, Torino 2017.
P. Mancini, L’animazione dipinta. La Corrente Neopittorica del cartoon italiano, Tunué, Latina 2016.
C. Severi, L’oggetto-persona. Rito, memoria, immagine, Einaudi, Torino 2018.

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