La bottega di pelletteria intitolata “Quir” è gestita dalla coppia composta da Massimo e Gino: il primo è una signora solare e simpatica che ama girare per le vie di Palermo con la sua bicicletta carica di fiori, mentre il secondo è il compagno da più di quarant’anni e recentemente marito. Il negozio è anche il punto di ritrovo della comunità LGBTQI+ palermitana, capoluogo conservatore e patriarcale della Sicilia.

Il regista, Nicola Bellucci, non è nuovo al cinema del reale incentrato sull’attivismo sociale, avendo infatti già trattato il tema dei diritti umani in Grozny Blues (2015), riguardante le condizioni di vita delle donne nella Cecenia, oltre che in Nel giardino dei suoni (2010), avente ad oggetto Wolfgang Fasser, un terapista e ricercatore del suono cieco che utilizza la propria esperienza di non vedente per aiutare bambini disabili a interagire con il mondo. Entrambi i film precedenti presentano la medesima formula di Quir, incentrata sul legame fra il regista e le persone scelte per rappresentare al meglio la tematica trattata, unito al mix di osservazione e partecipazione alla vita del gruppo sociale oggetto del film

Il film viene strutturato dal confronto fra spazi liminari ma al contempo contrapposti: il dentro, cioè gli interni della pelletteria e delle case degli individui ripresi, e il fuori, costituito dalla città palermitana e dal mondo siciliano circostante, presentato come roccaforte della cultura patriarcale italiana, esemplificata fin dai primi minuti del film tramite la registrazione di un chiaro insulto omofobo proveniente dall’esterno e urlato alla coppia protagonista. Lo spazio liminare è appunto l’ingresso del negozio intitolato “Quir”: varcata la soglia si entra in un modo diverso dalla strada esterna, dato che l’interno della pelletteria presenta colori sgargianti e un arredamento barocco, con quadri dei proprietari (anch’essi coloratissimi) e manichini decorati, secondo un’estetica chiaramente camp, cioè caratterizzata dal «gusto per l’artificio, il travestimento, la dissimulazione […] l’eccesso (cromatico, di oggetti, di situazioni assurde)» (Previtali 2025, p. 28-29).

Alla contrapposizione fra interno ed esterno corrisponde quindi quella fra privato e pubblico, dato che la pelletteria è sia luogo di lavoro che centro di incontri identitari: qui si ritrova la comunità LGBTQI+ della città e il regista racconta i pensieri e la vita di alcuni di loro. Oltre alla coppia protagonista, infatti, ci vengono presentati anche Charly Abbadessa, membro della comunità gay hollyoodiana degli anni Sessanta e Settanta, Ernesto Tomasini, vivace e stravagante artista, e la ragazza trans Vivian Bellina.

Queste persone vengono introdotte a partire dalla pelletteria, luogo di incontro e nodo di congiunzione degli spazi trattati dal film, dato che la macchina da presa si sposta in seguito nelle case di questi individui, come se si irradiasse da un punto di incontro ad altri spazi, per poi tornare sempre nella bottega. È in queste aree interne e intime che si verifica la rivendicazione identitaria del privato, raccontata dalla quotidianità delle persone che il documentario segue e che viene veicolata in particolare da tre elementi: l’autonarrazione, l’esibizione dei corpi e la performance.

Il primo elemento è la storia del vissuto e delle esperienze personali da parte dei singoli individui protagonisti, mentre il secondo consiste nella centralità della raffigurazione dei corpi dei personaggi filmati, che vengono spesso mostrati mentre si lavano, si vestono, si mostrano in pigiama o in deshabillé. Anche questo aspetto viene veicolato dal documentario per mostrare l’interiorità e il privato, che al contempo si carica di una valenza pubblica perché politica tramite l’esibizione del corpo, ambito di lotta civile perché campo in cui si iscrivono significati (dai gesti, ai movimenti, al vestiario, al trucco…), performance e dunque identità.

Tutti concetti esposti nel film tramite le inquadrature dei suoi protagonisti, che ci vengono mostrati nella loro nudità (Charly Abbadessa), nel processo di vestizione (Massimo) e mentre danno luogo a numerose performance, a partire dai balli e dai canti di Ernesto Tomasini fino al travestitismo di Massimo. In particolare, quest’ultimo aspetto svolge un’importante funzione tanto culturale quanto politica, dato che «destabilizza le distinzioni tra naturale e artificiale, tra profondità e superficie, tra interiore ed esteriore attraverso cui il discorso dei generi opera quasi sempre» (Butler 2004, p. XXXVI), stabilendo dunque un ulteriore parallelo tra l’architettura spaziale del film (dentro-fuori) e le sue ricadute politiche (privato-pubblico).

La regia esibisce e sottolinea la continua tensione fra questi due ambiti filmando spesso le persone da luoghi liminari, realizzando inquadrature da soglie, tramite il posizionamento della macchina da presa nell’oscurità di un ingresso o di un androne per riprendere soggetti che si trovano in una stanza vicina e ben illuminata. Al contempo, la regia mostra raramente l’esterno, come se la macchina da presa, identificandosi con i protagonisti, lo temesse e, per questo, preferisse evocarlo tramite i racconti, intrisi di sofferenza e senso di minaccia, delle persone filmate.

Queste parlano del proprio coming out, delle paure legate all’accettazione della propria sessualità, della relazione con i genitori e con le persone a loro più vicine. L’esterno, il mondo patriarcale, si manifesta anche così: minaccioso perché più vicino, liminare, limitato ai genitori, ai conoscenti e alla paura di mostrare in pubblico la propria natura più intima. In una scena di particolare intensità, Massimo riflette sui vari modi in cui la cultura omofoba e patriarcale si esprime: dalla battuta scherzosa alla violenza fisica. Quando la macchina da presa si muove fuori dagli abitati accadono episodi simili: dall’insulto urlato da lontano di cui si è parlato poco sopra, alla battuta di un negoziante che offre a Massimo due caciotte descrivendole come «due palle».

Nicola Bellucci realizza dunque un documentario diviso fra l’umanità, tenera e spontanea, dei suoi protagonisti e l’importanza delle rivendicazioni sociali da loro espresse. Infatti, oltre alla componente spaziale, il film si concentra anche su quella temporale: gli individui filmati hanno età differenti e appartengono a momenti diversi della battaglia per i diritti LGBTQI+, cosa che viene tematizzata esplicitamente nel film, tramite i vari racconti dei protagonisti del documentario. Questi esprimono esigenze e rivendicazioni eterogenee, afferenti a vari momenti della battaglia civile queer. In particolare, Ernesto Tomasini riassume brillantemente l’evoluzione delle rivendicazioni sociali e politiche del movimento gay: dalla centralità della sessualità, fondamentale per la sua generazione, alla messa in rilievo di altri aspetti, come l’attenzione ai diritti civili.

Riferimenti bibliografici
J. Butler, Scambi di genere, Sansoni, Milano 2004.
G. Previtali, Che cos’è il trash, Carocci, Roma 2025.

Quir. Regia: Nicola Bellucci; sceneggiatura: Nicola Bellucci; fotografia: Pierre Mennel; montaggio: Anja Bombelli, Piero Lassandro; musica: Roberto Lobbe Procaccini, Valerio Vigliar; interpreti: Gino Campanella, Massimo Milano, Charly Abbadessa, Vivian Bellina; produzione: 3sat Schweiz. Soap Factory, SRF Schweizer Radio und Fernsehen; distribuzione: Wanted Cinema; origine: Svizzera; durata: 105’; anno: 2024.

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