La regista tunisina Ben Hania si avvicina nel 2016 a Olfa Hamrouni e alla sua famiglia, quando anche i media si interessano alla vicenda che vede coinvolte le due figlie maggiori della donna, Rahma e Ghofrane, che, scappate in Libia, si sono radicalizzate e unite al califfato e in seguito arrestate. Nonostante le diverse interviste realizzate, le testimonianze della madre così come delle due sorelle delle ragazze, Eya, Tayssir, la regista non si ritiene soddisfatta del lavoro e decide di abbandonare il progetto. La svolta arriva tre anni dopo, nel 2019, quando Ben Hania decide di ritornare a parlare con Olfa e le due figlie minori coinvolgendo anche due attrici che avrebbero interpretato Rahma e Ghofrane e un’altra, Hend Sabri, che avrebbe interpretato la stessa Olfa nel caso la donna non se la fosse sentita di riprendere e ripercorrere alcuni episodi di un passato troppo doloroso. L’interesse della regista, infatti, più che rivolto verso l’ansia e la preoccupazione provate dalla madre e dalle due figlie più piccole, Eya, Tayssir, per la detenzione di Rahma e Ghofrane, sembra quello di far riemergere le tracce di un passato traumatico contraddistinto da molti attriti e conflitti la cui rielaborazione possa portare al consolidamento del legame tra le donne. Olfa, infatti, ha avuto un rapporto anche ostile con le figlie, ha cercato di proteggerle certo, ma talvolta esercitando anche estremo controllo e repressione sfociate nella violenza, fino ad essere poi lei succube di determinate dinamiche. La radicalizzazione delle due ragazze sembra essere un’estrema forma di ribellione adolescenziale, avvenuta dopo essere state osteggiate dalla madre per il loro modo di vestirsi e truccarsi, troppo provocante, blasfemo e non conforme al modello che secondo Olfa le figlie avrebbero dovuto rispettare. Rahma e Ghofrane decidono di compiere un atto radicale di ribellione sia nei confronti della madre sia nei confronti dell’ordine stabilito. Dopo la Primavera Araba avviene infatti una re-islamizzazione della società, ponendosi in netto contrasto con il passato dove anche solo portare “una sciarpa sopra la testa veniva visto come atto di resistenza”, come sottolinea Tayssir. Da quel momento tutte le donne della famiglia iniziano ad indossare il niqab convinte da Rahma e Ghofrane, minacciate quasi, come afferma Olfa che di quel periodo ricorda ancora le canzoni che cantavano osannanti al-Baghdadi e la sharia.
Nel corso del film la vita della famiglia viene raccontata sia attraverso le testimonianze sia attraverso la pratica del reenactment, ovvero la ricostruzione finzionale di un evento realmente accaduto. Nel ripercorre la propria giovinezza Olfa ricorda la prima notte di nozze in cui si rifiuta di avere un rapporto sessuale con il marito. La sorella della donna piomba nella stanza e dice all’uomo di farsi valere e di violentare Olfa se necessario. A quel punto la donna si ribella, picchia il marito, sporca le lenzuola con il sangue dell’uomo e le mostra alla sorella come se fosse il suo, perso a seguito del rapporto. Olfa in apertura del film dice di sentirsi come Rose in Titanic, “lei racconta la storia e ci sono degli attori che la interpretano”. Tuttavia, come replica la regista alla donna, sia Olfa che le due figlie più piccole Eya, Tayssir reciteranno nel film. Se nel cinema documentario i reenactment in prima persona, quindi accadimenti messi in scena da parte di chi li ha esperiti direttamente, mostrano spesso la difficoltà che incontra il soggetto nella rielaborazione del trauma, Olfa e le figlie sembrano avere il controllo della situazione. Nella scena della prima notte di nozze, descritta in precedenza, è Hend Sabri a interpretare il ruolo di Olfa. Tuttavia, piuttosto che essere turbata dalla situazione, la donna mostra all’attrice i gesti e le parole da dire verso il marito, orgogliosa di quell’episodio che ha segnato un momento di svolta nel suo percorso di indipendenza. In tutte le scene interpretate dall’attrice vediamo Olfa sullo sfondo osservare silenziosamente oppure intervenire dando indicazioni, assumendo il ruolo di metteuse en scène della sua storia.
Nel proseguo del racconto vediamo che si separa dal marito per poi frequentare un altro uomo, Wessem, sempre interpretato da Majd Mastoura, attore che ricopre tutti i ruoli maschili del film. In un altro reenactment veniamo a scoprire che il nuovo compagno della donna in realtà ha compiuto delle molestie nei confronti delle due figlie più piccole che, attraverso il film, sembrano finalmente trovare un confronto. Eya parla con l’uomo steso su un letto, dicendogli che in lui pensava di trovare il padre che non ha mai avuto. Al contrario, l’ha portata a odiare “la stessa idea di padre”. A cedere in questo caso non è la ragazza ma l’uomo, che infastidito chiede alla regista di tagliare la scena per poi andarsene. A quel punto Eya invita Ben Hania, che rimane sempre al di fuori dell’inquadratura, a richiamare l’uomo. “Digli di tornare per aiutare me, ho già rifatto questa scena con uno psicologo, so cosa sto facendo. È solo un dialogo e lui un attore, lo sa. Deve solo pensare che anche io stia recitando. Digli che sono delle linee di dialogo che ho imparato”, dice la ragazza alla regista. Il rispecchiamento tra attore e il personaggio che questi interpreta viene enfatizzato in maniera esplicita più volte nel corso del film. Vediamo Olfa e Hend Sabri, ad esempio, nella stessa inquadratura davanti ad uno specchio mentre una truccatrice le prepara per la scena. Le due donne dall’affiancarsi sembrano poi quasi sovrapporsi. Se, come abbiamo detto, Olfa dà indicazioni precise su cosa dire e come comportarsi all’attrice, dall’altra parte, quest’ultima, ancora in una fase di specchiamento, la interroga, cerca di farla ripensare al proprio racconto, alla propria versione dei fatti. Più che finzione e verità a mescolarsi sono varie prospettive, e il confine tra attore e persona, testimonianza e racconto diventa sempre più labile, punti di vista che complicano la messa in scena decostruendola e ricostruendola.
La dimensione performativa è messa in mostra fin da subito. Il luogo in cui avvengono i reenactment è un luogo ricostruito in modo da richiamare lo spazio originario, la camera da letto, il collegio in cui stanno per un periodo Eya e Tayssir. Tuttavia, anche l’ambiente affidato alla testimonianza diretta, al racconto della madre e delle due figlie, avviene in uno spazio performativo, una stanza di un appartamento con sullo sfondo abiti di scena e un manichino. Nel documentario assistiamo molte volte a interviste rilasciate da testimoni seduti sul proprio divano di casa, in uno spazio protetto, in modo che possano essere a loro agio. In Quattro figlie, il divano ricopre uno spazio centrale nell’ambiente ma la stanza, più che un salotto di casa, richiama quasi un camerino rispecchiando anche nella scenografia la dimensione meta-cinematografica, che ritorna diverse volte dal momento in cui entrano ed escono dall’inquadratura i truccatori o le aste del microfono. Le figure fantasmatiche di Rahma e Ghofrane, interpretate dalle due attrici, piuttosto che il centro nevralgico intorno a cui ruota la narrazione, sembrano dei satelliti, dei memory trigger per portare la famiglia ad un incontro con il passato che non sia esclusivamente attraverso un processo di autorappresentazione e spettacolarizzazione del sé ma secondo un confronto dialettico. Eya, Tayssir nel confronto con le attrici che interpretano le sorelle, riprendono discorsi relativi alla pubertà, l’adolescenza, i primi amori, riflettendo anche sul rapporto tra femminilità e cultura e come sia evoluto nel corso della storia recente del paese. L’unico momento in cui vediamo Olfa cedere, invece, piangere e abbondare la scena, è quando vede per la prima volta le attrici che interpretano le figlie. Il lavoro di working through, di rielaborazione, avviene proprio nel confronto con le figlie, con la loro rappresentazione cinematografica, reinstaurando il legame nel dialogo e nel re-incontro, restituendo loro un’innocenza e una leggerezza perduta.
Quattro figlie. Regia: Kaouther Ben Hania; sceneggiatura: Kaouther Ben Hania; fotografia: Farouk Laaridh; montaggio: Jean-Christophe Hym, Kaouther Ben Hania, Qutaiba Barhamji; interpreti: Hend Sabri, Olfa Hamrouni, Eya Chikhaoui, Tayssir Chikhaoui, Nour Karoui, Ichraq Matar, Majd Mastoura; produzione: Tanit Films, Cinétéléfilms, Twenty Twenty Vision, ZDF/Arte, Jour2fête; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia, Tunisia, Germania; durata: 110’; anno: 2023.