Nel 2021 ricorre il centenario del premio Nobel per la fisica ad Albert Einstein, assegnatogli per aver chiarito l’effetto fotoelettrico ipotizzando i “quanti di luce” (fotoni); e la catena di supermercati Eurospin prosegue la sua campagna pubblicitaria basata sull’equazione cliente=genio (spin è l’acronimo di “spesa intelligente” ma anche un termine della meccanica quantistica) introducendo il personaggio di Albertina, bambina con baffi bianchi e capelli bianchi arruffati, che conclude lo spot facendo una linguaccia che rimanda alla famosa foto scattata ad Einstein nel 1951. Ma nonostante tutti gli omaggi dell’universo pop, compresa una canzoncina di Francesco Gabbani intitolata Einstein (E=mc2), il nome di moda quest’anno è un altro: Werner Heisenberg (1901-1976), premio Nobel per la fisica 1932 per la creazione della meccanica quantistica, «forse la più grande rivoluzione scientifica di tutti i tempi» (Rovelli 2020, p. 12).
Uli Edel, l’ormai anziano regista di Christiane F., dovrebbe girare in questi mesi Heisenberg, dal libro di Richard von Schirach Die Nacht der Physiker (2012) in cui si racconta degli scienziati tedeschi impegnati durante la Seconda guerra mondiale a fabbricare la bomba atomica nazista (la stessa storia la trovate in italiano nel romanzo di Gabriella Greison La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall, Salani 2019, subito diventato un monologo teatrale). Nel frattempo sono stati acquistati i diritti cinematografici di Helgoland – il best seller di Carlo Rovelli ambientato nell’isola del Mare del Nord in cui il ventitreenne Heisenberg si ritirò (nel 1925) per inventare le matrici della meccanica quantistica – che diventerà un serial televisivo. In campo discografico, si segnala l’uscita dell’EP Lunazione degli Heisenberg, un gruppo punk post-hardcore romano che esiste già da una decina d’anni.
Lo scrittore cileno (ma nato a Rotterdam nel 1980) Benjamín Labatut – già autore dei racconti La Antártica empieza aquí (2009) e del saggio Después de la luz (2016) – in questo libro che in Francia s’intitola Lumières aveugles (ma nell’originale Un verdor terrible) si accosta, a cavallo fra immaginazione romanzesca e documentazione scientifica, ad alcuni personaggi storici fra cui: il matematico e astrofisico Karl Schwarzschild (1873-1916), che dal fronte di guerra spedì ad Einstein la soluzione delle equazioni relativistiche di campo per poi morire di una malattia autoimmune in qualche modo connessa al suo concetto di “singolarità gravitazionale” (un mostro siderale che poi sarebbe stato chiamato “buco nero”); e – nella parte centrale che dà il titolo all’edizione italiana (e a quella inglese When We Cease to Understand the World) – il premio Nobel per la fisica 1933 Erwin Schrödinger (un’altra vita saccheggiata dai narratori, citiamo solo Ucciderò il gatto di Schrödinger di Gabriella Greison, Mondadori 2020) e il suo avversario scientifico Werner Heisenberg.
L’andamento della narrazione di Labatut è da scalettone cinematografico. Prima scena, luglio 1926, sala congressi di Monaco di Baviera, interno giorno: Heisenberg interrompe il seminario di Schrödinger – che sta spiegando alla lavagna la sua teoria ondulatoria che permette di visualizzare le orbite degli elettroni attorno al nucleo atomico – urlando che non è possibile visualizzare il mondo subatomico; una convinzione iconoclasta, per così dire, dovuta al fatto che «aveva avuto una rivelazione. Qualcosa di inspiegabile» (Labatut 2021, p. 89). Seconda scena, giugno 1925 (flashback), isola di Helgoland: un uomo dal viso orribilmente devastato da un attacco di allergia al polline, dopo aver trascorso il viaggio «chiuso in cabina vomitando per il mal di mare» (ivi, p. 91), arriva all’alberghetto dove Frau Rosenthal lo cura dandogli un intruglio «che Heisenberg fingeva di mandar giù trattenendo i conati di vomito, per poi sputarlo dalla finestra non appena la donna lo lasciava in pace» (ivi, p. 92). Le scene successive descrivono un giovane fisico che lavora per giorni e giorni in un profondo stato di trance, trascurando persino di mangiare e dormire, senza nemmeno lavarsi i denti e a volte cadendo in uno stato di esaltazione simile all’estasi religiosa: più che uno scienziato di stampo illuminista/positivista si direbbe un mistico alla Wittgenstein (il Tractatus logico-philosophicus è del 1921).
Come obbedendo a un principio di complementarità letteraria, Labatut alterna tentativi di spiegazione scientifica (sotto forma di pensamenti del protagonista) con descrizioni naturalistiche che forse Deleuze avrebbe chiamato immagini-pulsione. Un esempio del primo tipo: «Ogni volta che uno degli elettroni che ruota attorno al nucleo cambia il suo livello di energia, emette un fotone, una particella di luce. Questa luce può essere registrata su una lastra fotografica. Ecco l’unica informazione che si può misurare direttamente, l’unica luce che proviene dall’oscurità dell’atomo» (Labatut 2021, p. 94).
Tralasciando le allucinazioni in soggettiva libera indiretta («I bambini correvano con i capelli in fiamme, le coppie ardevano come legna di una pira funeraria») che raggiungono l’apice in un excursus su Goethe e Marianne von Willemer (con il poeta che «s’immagina di morderle i capezzoli e penetrarla con le dita, mentre lei sogna di sodomizzarlo»), ecco un esempio di come viene inquadrato Heisenberg nel libro: «Camminava marcando il territorio come un animale: cacava accovacciato, con addosso le scarpe, e poi scavava tra i sassi per sotterrare la sua merda, certo che prima o poi qualcuno l’avrebbe sorpreso con il culo per aria» (ivi, p. 98).
Quando la pretesa di mettere in piedi una narrazione “basata su una storia vera” riguarda un artista o uno scienziato, il rischio è sempre che l’attenzione si sposti dalle altezze dell’opera alle bassezze dell’autore, col risultato di sapere tutto sulla gobba di Leopardi e nulla sulla costruzione formale di A Silvia; riducendo Einstein alla saggezza popolare per cui, come canta Gabbani, tutto è relativo. Se il mondo subatomico non è immaginabile ma solo “osservabile”, come pretendere che le buone vecchie strutture narrative diano conto delle matrici di numeri che sorreggono la teoria dei quanti? Come pretendere che il sapere sull’universo sia sostituibile con lo storytelling del gossip?
Labatut non ci spiega quando abbiamo smesso di capire il mondo, mentre lo scomparso Vilém Flusser aveva tentato nel lontano 1983 di leggere la storia del mondo umano attraverso una tripartizione: l’epoca preistorica permeata dalla magia delle immagini, astrazioni che operano mediazioni fra l’uomo e il mondo (ma che poi si autonomizzano fino all’idolatria); l’epoca storica inaugurata dalla cesura costituita dall’invenzione della scrittura lineare (metà del secondo millennio avanti Cristo) e che si è caratterizzata per la lotta del pensiero concettuale (legato ai testi scritti) contro il pensiero magico (legato alle immagini); e l’attuale epoca post-storica, iniziata quando l’invenzione delle immagini tecniche (astrazioni di terzo grado, a partire dalla fotografia) tenta di risolvere la crisi determinata dalla irrapresentabilità dei testi scientifici.
L’universo scientifico (il significato di questi testi) non dev’essere rappresentato: se riusciamo ad averne una rappresentazione, vuol dire che lo abbiamo decifrato “in modo errato”; chi vuole rappresentarsi in qualche modo le equazioni della teoria della relatività non le ha comprese. Poiché però, in ultima istanza, tutti i concetti significano rappresentazioni, l’universo scientifico, irrappresentabile, è un universo “vuoto” (Flusser 2006, p. 10)
Il Tao della fisica sembra dunque intrecciarsi coll’apparente realismo (in verità un’astrazione di terzo grado) delle immagini tecniche, tema che Labatut sfiora a proposito di Schwarzschild (che nel 1907 scoprì l’effetto su cui si basano i metodi per fotografare le stelle più distanti). Ma il realismo narrativo (letterario o anche cinematografico, come succede con tutti i biopic) non è ancora la resa incondizionata del pensiero concettuale al pensiero magico? Leggete Labatut se volete “sapere” come (e quante volte) il personaggio Schrödinger si masturba pensando alla signorina Herwig; ma se volete sapere come (e a che cosa) pensa un genio che passa dal concepire i quanti al concepire il DNA (nel 1943, un decennio prima della scoperta di Watson e Crick), allora leggete direttamente Schrödinger, il suo titolo più ristampato: Che cos’è la vita?
Riferimenti bibliografici
E. Boncinelli, Il principio di indeterminazione, il Mulino, Bologna 2020.
V. Flusser, Per una filosofia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano 2006.
B. Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi, Milano 2021.
C. Rovelli, Helgoland, Adelphi, Milano 2020.
Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi, Milano 2021.