di ALESSANDRA CAMPO
I cent’anni di Psicologia delle masse e analisi dell’Io di Sigmund Freud.
Sul finire dell’estate del 1921 Freud licenzia Massenpsychologie und Ich-analyse, testo di cui quest’anno si festeggiano i cent’anni. La sua attualità è imbarazzante al punto che, senza modificare in nulla le descrizioni che vi si trovano, potremmo agevolmente servircene per comprendere il funzionamento delle odierne masse populiste. Freud le descrive in modo tale che, leggendolo, vengono alla mente le folle di Trump e dei nostrani sovranismi: impulsive, irritabili, imperiose, credulone, influenzabili, acritiche e paranoiche. La mente collettiva della massa accoglie infatti solo l’inverosimile e, ignara della distinzione tra vero e falso, crede nell’autorità: del capo, della tradizione e del passato (la massa è conservatrice in senso assoluto e ogni sua mobilitazione, perciò, è una reazione).
Il sospetto verso qualcosa o qualcuno che minaccia la sua coesione si trasforma in breve tempo in un’evidenza inoppugnabile, perché non c’è nessuna istanza ragionevole che valuti l’accordo tra le immagini che ne incendiano il corpo come benzina e la realtà. Il motore della massa è il processo primario e l’intolleranza provata nei confronti di ogni differimento, frustrazione o attesa lo dimostra. La massa non conosce né dubbi né incertezze ed è eccitata solo dagli eccessi. Chi vuole dominarla non ha quindi bisogno di ricorrere ad argomenti logici. Equiparata da Freud a quella dei primitivi, la sua mente accetta le contraddizioni perché le idee opposte, qui, non cozzano. Per aizzarla, basta dipingere nei colori più violenti l’azione da compiere e, sedotta dal capo, la massa la realizzerà, il suo corpo essendo quello di un serpente stregato dal magico suono di un piffero.
Per Freud il comportamento dell’individuo in massa è diverso da quello dell’individuo da solo. L’individuo in massa è un individuo che ha abdicato alla sua coscienza, è dominato solo dall’inconscio e animato, in maniera preponderante, da una tendenza all’acting out, ovvero alla trasformazione immediata, nel senso di irriflessa, dell’idea in azione. I suoi sentimenti sono semplicissimi e sproporzionati perché l’anima della massa ricompensa con forza e sicurezza ciò che il singolo, entrandovi, perde in libertà e spirito critico. Come massa, però, essa non risulta dall’addizione di diversi individui. La sua genesi non è aritmetica. L’unione dei molti nell’uno della massa produce qualcosa che prima non c’era: una qualità non ricavabile analiticamente dalle caratteristiche dei suoi componenti considerati separatamente. Freud, in realtà, ne individua tre: 1) sentimento di onnipotenza o invincibilità; 2) contagio mentale e 3) suggestionabilità. Ma è quest’ultima ad attirare la sua attenzione in modo particolare: il sentimento di onnipotenza è un effetto del contagio mimetico e questo, a sua volta, della suggestionabilità. La massa è come in trance: essa vive in uno stato di perenne e radicale influenzabilità nei confronti del capo. Il legame tra i suoi componenti lo amplifica alla stregua di un diffusore. Tuttavia, pur essendo un fatto fondamentale della vita psichica, la suggestione non è primaria. Essa non spiega tutto e anzi va spiegata in luogo di ricorrervi come a una clavis universalis. Per Freud non tutto è suggestione. Nei riguardi della massa, ad esempio, non è la suggestionabilità a tenerla insieme ma una forza.
Eros è la potenza che lega gli individui in massa, Thanatos quella che li slega (il saggio è una prima applicazione di Al di là del principio di piacere scritto l’anno prima!). Ma è l’ipnosi, la follia a due, che spiega l’amore, non il contrario. L’ipnosi è un «innamoramento privo di impulsi sessuali diretti» ed è l’inibizione delle pulsioni nella loro meta la causa del carattere duraturo del legame. Eppure, nemmeno il legame libidico è davvero fondamentale. L’atto o legame che spiega sia l’ipnosi che l’amore è l’identificazione in quanto forma aurorale di ogni legame emotivo con un altro.
L’individuo in massa è ipnotizzato, come lo è l’innamorato, da una figura ideale a cui è identificato. E, per via regressiva, l’identificazione può arrivare a sostituire anche la relazione oggettuale. Il funzionamento della massa lo prova: in quanto oggetto ideale il capo prende il posto dell’ideale dell’Io, l’istanza psichica deputata all’esame di realtà e, quando ciò accade, si ha lo stato maniacale di trionfo ed esaltazione. La formula freudiana della costituzione libidica o pulsionale della massa è infatti la seguente: «Insieme di individui che hanno messo un unico e medesimo oggetto al posto del loro ideale dell’Io e che, pertanto, si sono identificati gli uni con gli altri nel loro io». Il legame sociale non si basa sull’imitazione o, almeno, non originariamente (i collettivi, per Freud, non sono isterici ma fascisti). Esso si fonda sull’amore per un oggetto idealizzato a cui ciascuno si identifica e, dal momento che la libido non sessualizzata è la libido narcisistica dell’Io, Freud conclude che i legami sociali sono narcisistici.
All’origine di ogni collettivo v’è una triangolazione: i rapporti fraterni tra i membri di un gruppo si costituiscono in relazione a un terzo polo – il leader o Führer – e, dunque, sono solo in apparenza orizzontali. Una verticalità li costituisce essenzialmente. Gli individui in un gruppo si identificano gli uni agli altri in quanto in ognuno di essi si produce un processo simile: un oggetto esterno (il futuro Führer) diventa oggetto d’amore di ciascun membro del gruppo, il quale oggetto a sua volta occupa il posto dell’Ideale dell’Io di ciascuno. Nella figura disegnata da Freud appaiono tre apparati psichici (tres faciunt collegium): ognuno introietta il medesimo oggetto che prende il posto del loro Ideale dell’Io. Ma qual è il tratto che l’oggetto esterno deve avere per stimolare l’identificazione? Per Freud il capo è tale perché dà all’Io che vi si identifica ciò di cui si sente privo, rimediando alla sua angoscia. E, maggiore sarà l’angoscia non trattata, più forte e coercitivo sarà il legame con colui che si fa carico di risolverla.
Ideale, il capo lo è come il riscatto che promette: l’immagine di una potenza inarrestabile che illude una minoranza di poter governare come un’eccezione. Nondimeno, quando siamo davanti a un’immagine onnipotente che sublima un vissuto di impotenza, precarietà e non potere, siamo davanti al fallo. Il capo ha il fallo e il culto che gli si rende è l’erezione di un fascinum, un culto reso all’Uno come simbolo in cui rimirarsi correggendo le proprie storture. Mitica, la sua è un’immagine di perfezione. Il capo è l’unico non castrato che si suppone goda illimitatamente. E la massa, per questo, somiglia a un’orda più che a un gregge: un’orda che, però, non ha ucciso il suo capo. Identificandosi alla sua immaginaria superiorità si illude di rimediare alla propria miseria, che è sempre miseria di essere solo un corpo, nuda vita. L’immagine del capo è un’immagine in cui ci si precipita per risolvere un’angoscia di frammentazione: se fascia è perché contiene le forze dispersive. Il suo corpo è un corpo senza organi: un corpo-corazza costruito per esclusione di ciò che disturba. Puro perché non impuro, pulito perché non sporco, secco, per riprendere la coppia di Littell, perché non umido.
Freud nel collettivo vede solo i processi di idealizzazione e un gruppo durevole senza capi, per lui, è un’utopia. C’è gruppo o istituzione solo quando c’è alienazione parallela di ciascuno. Eppure, Schmitt ha insegnato che ogni collettivo si basa sempre sulla differenza tra amico e nemico. Da questo punto di vista, più rigida sarà l’identificazione al leader, più vasto sarà l’esercito di esclusi da eliminare. Ogni auto-idealizzazione collettiva produce infatti un oggetto-scarto – il lacaniano oggetto piccolo a – perché non c’è produzione di un’immagine simile che non sia, insegna Platone nel Timeo, produzione di scorie, resti. Nessuna cosmesi senza rifiuti. Il matema dell’immagine è quello di un’esclusione: i(a)/ -φ, φ come organo, brandello di corpo. Si vede solo grazie all’evacuazione di un’escrezione: a piccolo come oggetto-merda, oggetto originariamente spiacevole. Ma l’oggetto a, da oggetto-palea, può anche diventare, oggetto-agalma: oggetto prezioso, brillante e, così, risalire in quella posizione da cui, all’occorrenza, si candida come Führer. È un processo misterioso quello con cui gli ultimi diventano primi, quasi un Samsara: l’incessante andirivieni di idealizzazione e svilimento, elevazione e svalutazione. Eppure, ancorché misterioso, esso ci riguarda tutti come corpi erogeni scavati dalla pulsione: corpi in cui qualcosa entra e qualcosa esce, qualcosa è mangiato e qualcosa è cagato. Risintonizzarsi col corpo a zone e orifizi di das Trieb è allora forse l’unico modo per sorvegliare il fascista che è dentro di noi. E ciò, coerentemente col titolo del saggio di Freud, sia a livello individuale che collettivo.
D’altronde, non è forse un collettivo pulsionale quello additato da Lacan come esempio di collettivo antifascista? «Unitevi quel tanto che basta, dice, a realizzare ciò per cui vi siete uniti e dopo smembratevi per fare altro». Create e distruggete! Siate periodici come l’esistenza, diceva Nietzsche! Ma chi accetta che orgasmo=detumescenza? Chi, in altre parole, è in grado di individuarsi in un significante a forma d’organo anziché riconoscersi in un simbolo a consistenza fallica? Di questo e molto altro discuteremo dal 10 marzo al 30 giugno, online, durante gli incontri del seminario organizzato per il centenario di Psicologia delle Masse e Analisi dell’Io dal collettivo Settima Lettera.
Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (Massenpsychologie und Ich-analyse), Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1921.
Ottima sintesi…
Ottima sintesi