Un’isola senza nome, piena di fitta vegetazione tropicale, un vero paradiso in terra, probabilmente in Indonesia, è al centro del documentario Possibility of Paradise (Mogućnost Raja), del regista e sceneggiatore serbo Mladen Kovačević, conosciuto per Merry Christmas, Yiwu (2020), documentario sugli operai cinesi che producono addobbi natalizi per tutto il mondo, e Another Spring (2022), sull’epidemia del vaiolo in Jugoslavia.
Nell’isola si diramano sette storie, articolate in sette frammenti distinti e indipendenti, derivanti da lunghe conversazioni del regista con i protagonisti. La maggior parte degli episodi si concentra su chi è arrivato sull’isola da lontano, alla ricerca di qualcosa di cui sente la mancanza, in una modalità coloniale di scoperta (Vijay 2023) che spinge il soggetto a proiettare il proprio desiderio di felicità in uno spazio plasmabile e modificabile a piacimento. L’ispirazione del documentario arriva dichiaratamente dalla Divina Commedia, e in particolare dal primo canto del Purgatorio: «Per correr miglior acque alza le vele ormai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele». La struttura è dunque articolata in sette episodi come i sette gironi, più un prologo iniziale in cui alcune bambine, nella loro scuola sull’isola, attendono la fine di un interminabile acquazzone, senza alcuna consapevolezza di trovarsi in paradiso.
Nelle storie seguenti, una ricca donna europea progetta la sua nuova villa in un terreno che ha appena acquistato e divide lo spazio con ampi movimenti delle braccia, immaginando saloni e piscine ma anche un posto dove poter accogliere persone in difficoltà; un padre e un figlio devono scegliere tra l’isola e la voglia di tornare in una grande città; un grande albergo viene costruito nel cuore della giungla; alcuni sub dell’Est Europa vogliono calarsi in fondali mai esplorati prima e pieni di pericoli; un’influencer russa si è rifugiata dalla vita colma di delusioni per riconquistare la pace interiore attraverso la solitudine; una donna con una maschera di porcellana si esibisce in un numero erotico, poi torna dalla sua bambina che non ricorda più il padre andato via; un gruppo di esperti scova e rende inoffensivi enormi serpenti che infestano le case degli stranieri, o sono forse gli stranieri a infestare la casa dei serpenti?
L’utopia al centro del film è il frutto di un atto collettivo di immaginazione spaziale (Bulson 2007). Il desiderio topotesico all’origine dell’atto, infatti, tende verso una realtà immaginata da ognuno dei protagonisti ben prima di mettere piede nell’isola, configurando un’esperienza geografica che è primariamente esperienza estetica: lo spazio diventa luogo, connotato da precisi riferimenti qualitativi e affettivi (Furia 2023, p. 115) che arrivano da aspettative cresciute molto lontano, che una volta arrivate a destinazione si incontrano o si scontrano con la realtà: «La verginità di una terra è perduta nel momento stesso in cui l’occhio umano, posandosi su di essa, ne fa una mappatura che risponde ai suoi bisogni materiali, simbolici e morali, contribuendo così all’opera di territorializzazione» (ivi, p. 108).
Il fine ultimo dell’immaginazione spaziale, per i personaggi del film sembra essere la fusione con l’utopia realizzata. Gli esseri umani di ognuno dei frammenti (e persino gli animali) sono spesso inquadrati in primo piano ma progressivamente fuori fuoco, mentre le immense chiome degli alberi emergono dal fondo: le forme di vita scompaiono nel verde perdendo di individualità ma anche di centralità, storie inglobate dal luogo.
Ogni frammento si conclude o con un fermo immagine, mentre la musica, le voci, i rumori degli insetti continuano senza interruzioni, oppure con i personaggi che scompaiono in lontananza in ralenti, anche se continuiamo a sentirne le voci come se fossero in primo piano. Le loro storie continuano al di fuori del frammento inquadrato, in un flusso continuo ancora aperto alla possibilità del paradiso. Le scene non sono legate da rapporti causali, lo scorrere del tempo si interrompe e lo spazio può così emergere in tutta la sua forza terrestre indifferente alla presenza umana, nelle lunghe inquadrature dedicate alla vegetazione.
I titoli di coda scorrono su una simulazione digitale di oggetti, rappresentati con grossi pixel quadrati, che si allontanano dalla terra in traiettorie che li portano lontano, ognuno di essi con diverso moto e diversa direzione, «puro e disposto a salire a le stelle».
Riferimenti bibliografici
E. Bulson, Novels, Maps, Modernity. The Spatial Imagination, 1850–2000, Routledge, New York 2017.
P. Furia, Spaesamento: esperienze estetico-geografica, Mimesis, Milano-Udine 2023.
A. Vijay, Topothesia: Planning, Colonialism, and Places in Excess, Fordham University Press, New York 2023.
Possibility of Paradise. Regia, sceneggiatura: Mladen Kovačević; fotografia: Marko Milovanović; montaggio: Jelena Maksimović; interpreti: Ivana Sahami, Dino Magnatta, Ling Lai, Shinta Sukmawati; produzione: Horopter Film Production, MDEMC Produktion, Film Center Serbia, Swedish Film Institut; origine: Serbia, Svezia; durata: 75’; anno: 2024.