Uscita nel periodo della quarantena, a poco più di dieci anni di distanza dalla sua pubblicazione in Germania, Piccola metafisica della medialità. Medium, messaggero, trasmissione (trad. a cura di F. Buongiorno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2020) è la prima traduzione italiana di un’opera di Sybille Krämer, tra i più noti filosofi dei media e della conoscenza tedeschi. Il libro rappresenta una sorta di summa del lungo percorso di ricerca dell’autrice – la Prefazione di Federica Buongiorno è molto utile per ricostruire gli intrecci tra l’evoluzione della carriera di Krämer e gli sviluppi del suo pensiero – che fin dalla tesi dottorale discussa a Marburgo nel 1980 ha cercato di indagare il tema della medialità in una prospettiva filosofica innovativa, insistendo sugli aspetti relazionali e interpersonali dei media piuttosto che su quelli inerenti alla loro specifica tecnicità. Un punto che segna l’originalità del percorso scientifico di Krämer rispetto agli orientamenti della German media theory, una tradizione di pensiero ancora (troppo) poco conosciuta nel panorama accademico e filosofico-culturale italiano. Lo testimonia il fatto che il padre della filosofia dei media tedesca, Friedrich Kittler, non sia stato quasi mai tradotto in italiano, sebbene continui ad esercitare una grande influenza sul modo in cui il dibattito internazionale «considera i sistemi di scrittura, conservazione e comunicazioni come reti materiali» (Parikka 2019, pp. 110-111).
Venendo al contenuto del libro, la prima cosa da dire è che il modo di scrivere di Krämer è volutamente irritante. Presuppone «la disponibilità a riposizionare uno stato di cose ovvio e familiare in una luce eccentrica» in modo che l’ovvietà di alcuni concetti – uno su tutti quello di comunicazione – «diventi nuovamente problematica» (Krämer 2020, p. 3). E, del resto, già nel titolo compare una costellazione di termini – metafisica, messaggero, trasmissione – che potrebbe colpire, se non addirittura infastidire il lettore che avesse una qualche dimestichezza con la filosofia dei media tradizionale. Il lavoro di riposizionamento della riflessione filosofica sui media passa infatti attraverso la riabilitazione del «principio postale» o principio della trasmissione, in contrapposizione alle teorie, di derivazione habermasiana, che vedono nella reciprocità del dialogo il fondamento e il modello ideale della comunicazione. Mentre il concetto postale di trasmissione delinea la comunicazione «come realizzazione di collegamenti tra istanze corporee separate», il modello «erotico» sostiene che la comunicazione sia un processo dialogico, simmetrico e reciproco, finalizzato all’unificazione delle posizioni e al superamento delle differenze individuali in virtù del principio «dell’accordo personale» (ivi, p. 7). Se per il modello della comunicazione dialogica il riferimento ai media è un fatto marginale – i media sarebbero un semplice veicolo dei messaggi che nulla aggiunge al loro contenuto – per il modello postale della trasmissione il ricorso ai media è invece indispensabile. Figure anfibie, ibride e ambivalenti, i media si collocano tra mittente e ricevente garantendo che il primo possa inviare qualcosa al secondo.
La trasmissione infatti può dirsi riuscita solo «quando “qualcosa” passa – materialiter – dall’una parte (mittente) all’altra (ricevente)» (ivi, p. 5). La messa in discussione dell’univocità e dell’universalità del concetto dialogico di comunicazione porta a riconoscere che una buona parte delle forme comunicative costruite socialmente e istituite culturalmente sono legate a una differenza radicale e non unificabile tra mittente e destinatario e rientrano perciò nell’ambito di una teoria critica mediale. Dunque è in questa “luce eccentrica” che Krämer introduce il senso della sua metafisica della medialità incentrata sul recupero della figura del messaggero.
Ora, sebbene il messaggero appaia come il simbolo di una forma arcaica di comunicazione in cui mancava ancora ogni supporto tecnico, il topos del messaggero, e in particolare la figura del messaggero morente – Filippide l’emerodromo di Maratona, Mercurio, Cristo sono alcuni degli esempi esaminati dall’autrice – mette in mostra un procedimento che Krämer considera tipico dell’evento mediale in generale. I messaggeri sono sempre eteronomi, cioè «determinati da altri», e risultano perciò «indispensabili là dove manca una comunicazione reciproca e la comunicazione non si realizza, appunto, come dialogo» (ivi, p. 3). Come la figura del messaggero che non parla con voce propria e scompare al cospetto del messaggio, i media realizzano la propria funzione, l’essenza della propria performanza, attraverso un processo di «auto-neutralizzazione estetica» (ivi, p.19), diventando trasparenti: media diaphana. Nell’utilizzo «quotidiano i media portano qualcosa ad apparire, ma ciò che essi mostrano non son i media stessi, bensì i loro messaggi […]. I media, infatti, si “de-estetizzano” […] mentre portano qualcosa ad apparire, i media stessi tendono a restare invisibili» (ivi, p. 18).
Il «divenire-invisibile del trasmittente» (ivi, p. 28) è, dunque, il principio funzionale che regola il fenomeno mediale. Da qui la scelta di procedere all’analisi della medialità – concetto che in Krämer non si riferisce a media specifici (suono, testo o immagine), ma a una dimensione elementare della forma di vita umana e del nostro mondo culturale – adottando una prospettiva metafisica, che non concepisca, kantianamente, i media come condizioni a priori della nostra conoscenza del mondo, ma verifichi, platonicamente, «cosa si mostra nel momento in cui ci confrontiamo con i media nell’orizzonte della domanda su cosa si trovi “dietro” i fenomeni» (ivi, p. 17).
Nei capitoli successivi Krämer precisa ulteriormente il suo concetto operativo di medialità istituendo un confronto con alcuni importanti teorici della trasmissione: Walter Benjamin e la sua teoria della traduzione – scelta che potrebbe sorprendere il lettore abituato all’associazione tra la teoria dei media e il saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica piuttosto che quello Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo; Jean Luc Nancy e la sua ontologia dell’essere-con; Michel Serres e il suo concetto di comunicazione – incarnato dalle figure di Ermete e dell’angelo – come connessione tra mondi eterogenei; Régis Debray e la sua concezione materialista dei processi di trasmissione; John Durham Peters e la sua teoria della comunicazione come disseminazione asimmetrica e unilaterale. L’attenzione dell’autrice si sposta poi su alcuni contesti di trasmissione in cui la figura del messaggero, inteso come la mediazione che rende percepibile l’invisibile, viene analizzata nel concreto. L’angelo, il virus, il denaro, la traduzione, la psicoanalisi, la testimonianza sono tutte forme della trasmissione che non rientrano in modo evidente nel regime dei media, ma che, in virtù delle loro analogie con la logica di funzionamento del messaggero, consentono di verificare da diverse angolature come «senza differenzialità […] non c’è trasmissione» (ivi, p. 232).
Krämer conclude la sua analisi della comunicazione per trasmissione esaminando il fenomeno della traccia, che insieme ala figura del messaggero incarna il «lato anteriore e il lato posteriore del principio postale» (ivi, p. 248). Il banco di prova finale di questa piccola metafisica della medialità, disseminata di figure ambivalenti che non sono riconducibili ad un ingenuo dualismo tra realismo e costruttivismo, è rappresentato dal regno della cartografia, ad oggi sempre più integrato alle pratiche della vita quotidiana. Come ogni medium anche le carte geografiche diventano trasparenti quando le usiamo in concreto: come degli schermi cinematografici, scompaiono per comunicare un sapere. Ma le carte sono anche opache: da leggere cioè come tracce delle condizioni storiche e sociali che le hanno prodotte. Trasparenza e opacità non sono principi in concorrenza tra loro, ma si implicano vicendevolmente così come il messaggero e la traccia. È questo, in conclusione, il principale guadagno critico che si ottiene se si esamina l’essenza della medialità sotto la lente d’ingrandimento del principio postale della trasmissione: imparare a riconoscere la costitutiva ambivalenza di ogni performanza mediale.
Riferimenti bibliografici
F. Kittler, Grammophon, Film, Typewriter, Birkman & Bose, Berlino 1986.
J. Parikka, Archeologia dei media. Nuove prospettive per la storia e la teoria della comunicazione, trad. a cura di E. Campo e S. Dotto, Carrocci, Roma 2019.
S. Krämer, Piccola metafisica della medialità. Medium, messaggero, trasmissione, trad. a cura di F. Buongiorno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2020.