Il genere horror riesce a comunicare, forse più di tutti gli altri, gli abissi dell’animo umano: esso abbraccia la psicologia e la psicoanalisi (Strada 2005), suscitando sensazioni ed emozioni, risuonando con la psiche umana. E per quanto riguarda i videogiochi? L’articolo ha due obiettivi: da un lato sostenere che pure il videogioco, inteso come virtualizzatore di esperienza (Ariemma 2023), tocca i bassifondi dell’anima; dall’altro, che il genere horror nella fattispecie rivela alcune salienze caratterologiche umane utili nel complesso lavoro delle scienze umane, come la psicologia e la psichiatria. Considereremo a proposito una serie videoludica, Outlast, in particolare il primo capitolo.

Attualmente, il gioco è alla sua terza iterazione, The Outlast Trials (2023), episodicamente aggiornata con nuovi contenuti. L’intreccio di Outlast riguarda Miles Upshur, un giornalista che, dopo aver ricevuto una mail di denuncia verso il Manicomio di Mount Massive per i maltrattamenti al suo interno, approda verso la struttura per videoregistrarne i soprusi. Qui scopre qualcosa di terribile: il penitenziario è immerso nel sangue, tutte le guardie sono state uccise e gli internati, in uno stato di confusione e delirio, sono aggressivi e in libertà. A mano a mano, Miles apprenderà l’inquietante verità dietro le atrocità del luogo: l’azienda che detiene la struttura, la Murkoff Corporation, utilizza gli internati come cavie di esperimenti umani sullo studio della psiche per la commercializzazione capitalizzata di psicofarmaci.

La narrazione è gestita su due livelli: uno più superficiale ed esplicito, attraverso cutscenes e dialoghi, e un altro più profondo, mediante documenti sparsi nel manicomio. Seppure la narrazione, anche restando in superficie, sia godibile, è leggendo i documenti che emerge il vero messaggio dell’opera, il quale intreccia acutamente psicoanalisi e psichiatria. Infatti, gli esperimenti sui malati sono condotti attraverso il motore morfogenico: una macchina che, collegandosi a un soggetto umano, indaga la sua psiche esplicitandone l’inconscio. Con un’eco a Freud, il motore morfogenico svela i sogni di chi gli è collegato, in quanto è proprio sulla loro articolazione apparentemente casuale, ma intrinsecamente significativa, che la psiche manifesta il suo sottosuolo. Com’è noto il mondo onirico ha una logica specifica che, nel trattamento psicoterapeutico, dovrebbe essere decifrata: l’energia (Trieb) che nel mondo sociale viene repressa perché confliggente con l’etica o la morale, trova un’istanza di scarico o nelle paraprassie oppure nella soddisfazione simbolica dei sogni.

Outlast segue molto bene questa fase della teoria freudiana: una volta compreso, l’intreccio rivela che gli esperimenti morfogenici ambiscono a trovare il soggetto ideale, ovverosia colui che, collegato alla macchina, non la rigetta dimostrandosi capace di controllare (o accettare) i propri sogni. Gli esperimenti falliscono quando il soggetto ideale, Billy, riesce non solo a controllare i propri sogni ma pure il motore morfogenico, rivoltando l’intero manicomio contro gli scienziati e gli operatori. È poco dopo questi eventi che Miles arriva a Mount Massive, dove infine farà i conti con Billy disconnettendolo dalla macchina.

Quella di Outlast è una trama interessante per varie ragioni. Tra tutte, il fatto che riesca a condensare in un gioco relativamente breve – si tratta di una manciata di ore – una narrazione stratificata, che per questo offre una lettura multipolare e sfaccettata in cui l’interpretazione psicoanalitica si fonde ad agganci fenomenologici. In breve, la fenomenologia è uno studio della coscienza pura e dei suoi modi corporei, psichici e motivazionali, dal quale è anche possibile trarre una scienza che indaghi i modi malfunzionanti della coscienza: dalla felice ibridazione tra fenomenologia e psichiatria nasce la psichiatria fenomenologica. Malgrado la storia della disciplina proponga posizioni poliedriche (Costa 2018, 2023), c’è una colonna portante: l’attenzione specifica nei confronti della soggettività del paziente e dei suoi sintomi, che vengono contestualizzati nel disegno specifico del suo flusso di coscienza.

Questo conduce ad alcune conclusioni importanti in sede psicoterapeutica: la spaccatura psichica che porta al disturbo non dev’essere concepita solo nelle sue problematiche evidenti – come la rigidità nei rapporti interpersonali o l’impossibilità di progettare la vita – ma agganciata all’intera esistenza della persona. Infatti, i soggetti reagiscono attivamente e personalmente all’interazione col mondo: le malattie psichiche emergono quando qualcosa in questa interazione si sfibra, impattando sulla tenuta psico-esistenziale del soggetto.

Outlast supporta queste idee: quasi ogni malato incontrato durante l’avventura ha una storia da raccontare, espressa mediante sue farneticazioni oppure a qualche cartella clinica sparsa che, oltre ad attestarne l’identità, ne rivela un po’ la vita: in questo senso, la diagnosi psicoterapeutica dei disturbi che emergono nel contatto del soggetto col mondo è anzitutto antropoanalisi (cfr. Binswanger 2007). Di più: il motore morfogenico non solo fa emergere i sogni di chi gli è collegato, ma li trattiene nella coscienza, intaccando irrimediabilmente la psiche di chi è stato esposto alla macchina. Gli internati risentono quindi dell’influsso ora esplicito del loro inconscio: la loro malattia, adesso, è una malattia della soggettività tutta intera. Nei panni di Miles, facciamo dunque esperienza della loro identità squarciata: la loro aggressività si deve al fatto che, dopo l’esposizione alla macchina morfogenica, quello che alberga nel profondo è ora emerso in superficie.

Outlast, infine, incoraggia delle riflessioni teoreticamente raffinatissime. L’esposizione al motore morfogenico porta i contenuti inconsci nel conscio, rendendo i pazienti completamente umani, poiché riappacifica la soggettività col suo abisso psichico. Qual è, allora, la struttura fondamentale dell’umano? La sua condizione suddivisa di conscio e inconscio, oppure è umano (troppo umano?) colui che ricongiunge la coscienza con l’inconscio, rischiando di impazzire? Nell’epoca dell’umano poco umano (Girgenti, Crippa 2024), Outlast risulta centrale per la comprensione di una delle poste in gioco del contemporaneo: oggi che ogni contenuto empirico pare essere virtualizzato o digitalizzato, nonché ramificato in una rete di interazioni istantanea che rimodula i modi di essere umani, interrogarsi sul senso dell’umanità è fondamentale per capire dove stiamo andando e, soprattutto, come ci stiamo andando.

Il genere horror pare essere il terreno teoretico dove tutte queste riflessioni confluiscono: se il cinema crea un io possibile calato nella pellicola (Strada 2005, pp. 21-23), e «possiede […] la prerogativa di parlare all’inconscio» (ivi, p. 23), l’horror, in virtù della sua intrinseca caratteristica di esplorare tematiche borderline e generalmente introspettive, aiuta nella ricostruzione dell’apparato psicologico – e psicopatologico – dell’essere umano. Il videogioco, infine, potenzia questi princìpi: grazie alla sua interattività, non solo genera un analogo dell’io sotto forma di rappresentazione, ma ne virtualizza le intenzioni coagulandole ontologicamente nel joypad, che agisce come operatore della agency del soggetto-giocante.

Riferimenti bibliografici
T. Ariemma, Filosofia del gaming. Da Talete alla PlayStation, Tlon, Milano 2023.
L. Binswanger, Sulla fenomenologia, in Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, Feltrinelli, Milano 2007.
V. Costa, Psicologia fenomenologica. Forme dell’esperienza e strutture della mente, Morcelliana, Brescia 2018.
Id., Teorie della follia e del disturbo psichico, Morcelliana, Brescia 2023.
G. Girgenti, M. Crippa, Umano, poco umano. Esercizi spirituali contro l’intelligenza artificiale, Piemme, Segrate 2024.
R. Strada, Il buio oltre lo schermo. Gli archetipi del cinema di paura, Zephyro, Treviglio 2005.

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