Quando nel 1923 György Lukács pubblica Storia e coscienza di classe la percezione è immediatamente quella di trovarsi di fronte a una delle più grandi opere filosofiche della modernità. Il lavoro che segna la “svolta marxista” del filosofo de L’anima e le forme e del Dramma moderno definiva infatti un passaggio cruciale che influenzerà l’intera storia del pensiero novecentesco, alla pari di quanto negli stessi anni andava elaborando Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere. L’ambizione di Lukács era gigantesca e fino ad allora impensata da parte di tutta la tradizione del marxismo di stampo engelsiano e leninista (che aveva portato alla Rivoluzione di Ottobre qualche anno prima): dare un fondamento filosofico e veritativo a Marx (dopo che Marx stesso aveva abbandonato il campo della filosofia nell’Ideologia tedesca del 1845) a partire dall’identificazione di un paradigma di sostanziale unità tra proletariato e storia universale pensati come un unico soggetto/oggetto. Ricondurre, in altre parole, il marxismo al suo fondamento hegeliano e idealistico, in contrapposizione alla deriva positivistica, scientistica ed economicistica che il pensiero del filosofo di Treviri aveva assunto prima grazie a Marx stesso, poi a Engels e infine a Lenin.

Esattamente come Gramsci, negli anni 1920 Lukács riportava l’opera di Marx nell’alveo della filosofia, considerandola come una forma di idealismo (alla pari di Fichte, Schelling e Hegel) e riconoscendone il tratto di maggior originalità nell’inclusione del “futuro” (l’esito della società comunista) all’interno della totalizzazione della dialettica storica, invece di fermarsi al presente e al passato in cui la nottola di Minerva, al calar della sera, sapeva distinguere l’equivalenza tra realtà e razionalità.

Per questa e molte altre ragioni la pubblicazione di Storia e coscienza di classe fu, comprensibilmente, spiazzante per l’intero ecosistema teorico comunista dell’epoca. La Terza Internazionale rinnegò il libro e le sue derive logicistiche e anti-materialistiche, e più in generale il marxismo del filosofo ungherese venne tacciato di eretismo rispetto alle posizioni economicistiche e anti-filosofiche che (sempre attraverso la mediazione di Engels e Lenin) avevano innervato la società sovietica figlia della rivoluzione proletaria.

Passano quarant’anni. Siamo all’inizio degli anni ’60 quando Lukács comincia a lavorare alla sua seconda opera sistematica di teoria del marxismo dopo quella del 1923. Un’opera che l’autore di Storia e coscienza di classe non vedrà mai pubblicata in vita e prenderà il nome di Ontologia dell’essere sociale, dopo una lunghissima serie di riscritture, ripensamenti e l’elaborazione di un nuovo e autonomo lavoro introduttivo (che costituirà il primo volume intitolato Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale). Lukács deve sentirsi come Tommaso d’Aquino alle prese con l’impossibile tentativo di conciliare aristotelismo e teologia cristiana alla metà del 1200. Com’è fattibile, si chiede, ricomporre la frattura che egli stesso aveva creato quarant’anni prima e riannodare l’idealismo hegeliano con la «teoria del rispecchiamento» (Widerspiegelungstheorie) e più in generale con il materialismo storico positivistico? È una vera e propria utopia speculativa, che in parte aveva già cominciato ad abbozzare nello straordinario studio su Il giovane Hegel del 1937, e che qui prende la forma compiuta in una delle più incredibili imprese filosofiche e intellettuali della modernità.

Al di là di qualsiasi posizione ideologica, rileggere i quattro volumi dell’Ontologia dell’essere sociale, riproposti integralmente da Meltemi nella storica edizione tradotta da Alberto Scarponi a cura di Carlo Formenti, significa dunque confrontarsi con questo sforzo inaudito del pensiero, che trova forse l’unico precedente nella tomistica medievale, e che ancora oggi è una lettura vertiginosa per un pubblico filosofico contemporaneo abituato alle indecisioni speculative e al non-dicibile post-veritativo, post-strutturalista, post-moderno, analitico, post-realista e chi più ne ha più ne metta.

Essendo evidentemente impossibile riassumere in poche righe cosa (e tantissimo) di queste infinite pagine è capace ancora oggi di significare, mi permetto in modo schematico di riassumere tutto in tre punti principali:

1. In primo luogo, come recita il titolo dell’opera, il ritorno che Lukács tenta di compiere verso il regime dell’ontologia. Si tratta di un’operazione radicale e del tutto estranea alle prospettive ontologiche astratte di Heidegger, del pensiero fenomenologico di Husserl e del post-strutturalismo che, scrive egli stesso in apertura, «muovono dall’individuo isolato, autoconsistente, la cui “deiezione” nel rimanente mondo (natura e società) costituirebbe il suo essere autentico, cioè la questione fondamentale della filosofia» (Lukács 2023, p. 60). Si tratta ovviamente anche di uno scarto netto rispetto allo storicismo marxista (Gramsci) che pensava di poter valutare la Storia senza alcuna fondazione ontologica. Il tentativo di Lukács di riproporre un discorso veritativo sull’essente-per-sé a partire da basi storiche e non aprioristiche e astratte rimette in gioco la categoria metafisica di totalità, la sua inalienabile coincidenza con il tema della verità che può essere colta solo attraverso il regime dialettico del pensiero, lo sforzo sovrumano di pensare il movimento negativo del reale nella sua interezza.

2. In secondo luogo, ovviamente, la categoria di essere sociale che Lukács tenta di distinguere integralmente dall’essere naturale, che invece la tradizione marxista (Engels) aveva sostanzialmente unificato. Il salto qualitativo all’«essere sociale», che si compie nel regime del linguaggio e dell’ideologia, secondo Lukács è pensabile solo nel momento in cui l’umano assume una prospettiva teleologica sul reale e la traduce nella forma del «lavoro». In altre parole, l’uomo diventa un animale sociale nel momento in cui concepisce il suo rapporto con il mondo in termini teleologici (lavoro) mettendolo al servizio degli altri. Così si sono formati il linguaggio – «Il linguaggio si è formato dalle premesse, condizioni e conseguenze essenti del lavoro. […] Gli esseri umani a quel punto “avevano qualcosa da dirsi” (ivi, p. 431) e l’ideologia. In particolare a proposito di quest’ultima Lukács coglie ulteriormente un elemento di grande originalità, nella maniera in cui contesta la critica marxista dell’ideologia come «falsa coscienza del mondo» e definisce il momento ideologico, con tutte le sue contraddizioni, come necessario e ineludibile per «il funzionamento di qualsiasi società» (ivi, p. 73). L’ideologia per Lukács, in altre parole, è una forma di falsa coscienza che permette comunque all’uomo di costituirsi come essere sociale e dare fondamento alla vita comunitaria.

3. In ultimo, la grandezza di quest’opera è da ricercarsi proprio nell’inattualità profonda con cui si situa nel suo tempo storico (gli anni ‘60), che aveva definitivamente abbandonato il binomio Hegel-Marx a favore di quello Nietzsche-Heidegger. Se ne La distruzione della ragione del 1954 Lukács aveva già spiegato chiaramente come ogni posizione irrazionalistica (fondamentalmente nicciana) fosse il presupposto di un assoggettamento dell’uomo moderno al mondo dato, negli anni in cui scrive l’Ontologia si confronta direttamente con quel pensiero occidentale di sinistra (dalla scuola di Francoforte al post-strutturalismo francese) che coincideva da un lato con una critica radicale ai fondamenti dell’umanismo greco e cristiano (che Lukács accettava e di cui il marxismo è erede) e dall’altro relegava la filosofia e mera prassi critica preludendo alla sua completa sparizione dal dibattito sulla contemporaneità.

Gli ultimi fuochi di una solitudine marxista dunque. Se c’è qualcosa di ancora valido in questa filosofia, al di là della sua indubitabile grandezza, è riassumibile in queste tre grandi questioni che l’Ontologia dell’essere sociale, pur appartenendo a una fase storica passata, è in grado tuttora e con forza di testimoniare.

György Lukács, Ontologia dell’essere sociale, a cura di Carlo Formenti, traduzione di Alberto Scarponi, Meltemi, Roma 2023.

Share