Quando è scattato l’allarme e la proiezione si è interrotta, qualcuno, tra i pochi decisi a rimanere in sala nonostante le luci si fossero accese, ha chiesto ironicamente se era una delle provocazioni di Yoko Ono.
Per un film come quello di Kevin Macdonald poteva anche essere una trovata plausibile. Il regista, già premio Oscar per Un giorno a settembre (1999), ha sicuramente scelto un taglio meno convenzionale per raccontare la vita di John Lennon e Yoko Ono. Rispetto a documentari più classici, che seguono la vita dell’artista seguendo cronologicamente la sua biografia, oppure la dividono in capitoli dedicati a tematiche diverse, Macdonald propone una serie frenetica di immagini simile allo zapping di un telespettatore che, con il telecomando in mano, passa rapidamente da un canale all’altro. È un chiaro riferimento alla passione di John Lennon per la tv: pare che, quando viveva nel suo monolocale a Soho, a New York, la tv fosse sempre accesa. Per Lennon era il miglior strumento per capire davvero le persone: a suo avviso per sapere cosa pensavano davvero gli americani era sufficiente accendere un televisore il sabato sera.
Il documentario prende il nome da One To One, lo storico concerto di beneficenza tenutosi il 30 agosto 1972 al Madison Square Garden, per la Willowbrook State School for Retarded Children di New York. Macdonald alterna alcune delle canzoni registrate durante quell’esibizione ad una lunga serie di frammenti presi dalla tv e da materiale di archivio. Fin da subito lo spettatore si immerge in un flusso visivo dove passa di tutto: spot commerciali, sequenze di telefilm, servizi giornalistici, comizi, dibattiti politici e talk show. Sembrerebbe che Macdonald voglia riassumere nel più breve tempo possibile l’America di Nixon a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Il risultato è un racconto veloce ed estremamente frammentato, dove a fatica si riconoscono tutti i volti, i momenti storici o le notizie di cronaca citate. Ciò che questo flusso di immagini trasmette chiaramente è il clima di estrema tensione, violenza e confusione che si respirava in quegli anni negli Stati Uniti.
In mezzo a questo grande caos le figure di John Lennon e Yoko Ono emergono come dei punti di riferimento solidi e autorevoli. Consapevoli che la battaglia dei Figli dei fiori è stata persa, i due attivisti hanno continuato la loro missione contro l’apatia, diffondendo messaggi di speranza. Vengono citate molte delle loro performance più famose e provocatorie, come i “Bed in” oppure l’idea, mai realmente concretizzata, del “Free the People”, un tour che avrebbe devoluto 10,000 dollari ad ogni sua tappa per pagare la cauzione a più detenuti possibili della città che ospitava il concerto. Al di là dello stile eccentrico e rivoluzionario, dell’indiscutibile forza delle loro idee, delle loro posizioni e delle loro azioni di protesta, il ritratto che ne esce è quello di due persone calme e pacate.
Lo si può apprezzare grazie alle molte telefonate registrate nelle quali si ascolta John e Yoko parlare con amici, giornalisti e collaboratori. È possibile ascoltare l’ex Beatles che, con considerazioni di assoluto buon senso, prova a convincere A. J. Weberman a scusarsi con Bob Dylan per le tante accuse mosse nei suoi confronti negli anni, oppure sentire le sue considerazioni quando mette in dubbio, in modo più che naif, la possibilità che il suo telefono fosse messo sotto controllo dalla CIA. Oltre regalare momenti molto divertenti – come la serie di chiamate che raccontano di un povero assistente di Yoko Ono intento a recuperare migliaia di mosche necessarie per la realizzazione del cortometraggio Fly – queste telefonate sono la parte più interessante dell’intero documentario. Sentire due degli attivisti più importanti e influenti al mondo parlare come persone assolutamente normali degli argomenti più diversi crea un’empatia particolare. È sicuramente il contatto più intimo che lo spettatore può avere con i due artisti.
Il film procede partendo dal fuori – le piazze piene durante le manifestazioni, i concerti, i dibattiti, il coinvolgimento popolare nei confronti di temi politici universali – e termina concentrandosi sui due artisti, che vorrebbero essere ricordati semplicemente “come due innamorati” e le cui ceneri andrebbero sparse sui monumenti più importanti del mondo, Casa Bianca compresa.
Di spunti sulla politica, sulla musica e sull’amore il film ne propone molti – finanche troppi – rispondendo sicuramente al bisogno dei fan più devoti e degli appassionati di documentari musicali, sempre bramosi di nuovi dettagli e filmati inediti. La promessa del regista di regalare una versione più intima della coppia però viene rispettata solo a metà, così come quella di offrire una riflessione anche «sui loro lati politicamente radicali e sperimentali» (parole di Macdonald). Le tante informazioni rischiano di creare una distanza con lo spettatore, che è costretto a scegliere un unico momento su cui concentrarsi ma non avere mai un vero contesto in cui inserirle e capirle fino in fondo. Il film non offre nuove chiavi di lettura per interpretare il talento geniale di Lennon e Ono, tanto meno quale può essere oggi l’utilità di riscoprire e attualizzare il loro percorso artistico.
Il film ci offre invece un sogno, lungo quasi due ore, dove suggestioni, emozioni, inquietudini, desideri e speranze convivono armonicamente attraverso le immagini. Non è un caso che sui titoli di coda, poco prima di riaccendere le luci, ci sia “Dream 9”. «So long ago. Was it in a dream? Was it just a dream?» si domandava Lennon. Sarà la volta buona che saranno i sognatori a vincere? Spegnete gli allarmi antincendio.
One to one: John & Yoko. Regia: Kevin Macdonald, Sam Rice-Edwards; fotografia: David Katznelson; montaggio: Sam Rice-Edwards; musiche: John Lennon, Yoko Ono; produzione: Rei Pictures, El Despacho, Infinity Hill, Exile, Warner Music Entertainment; origine: Regno Unito; durata: 100’; anno: 2024.