Gli orrori che il nazionalismo ha provocato nella temperie del Novecento hanno prodotto l’effetto di dilatarne l’estensione concettuale, fino a sussumere al suo interno anche i valori positivi di cui la cultura nazionale ed il patriottismo repubblicano sono stati – e sono tuttora – forieri. È di affrontare, nell’intento di sanarla, questa confusione teorica che Maurizio Viroli si fa carico, sostenendo che proprio nella riscoperta dell’amor patrio, del vivere libero e civile, della libertà politica e della giustizia sociale, quali valori cardine del patriottismo repubblicano, è possibile porre un freno al nazionalismo imperante. Sulla distinzione fra patriottismo e nazionalismo, nonché sulle conseguenze negative che la mancata comprensione di questa differenza ha prodotto sul bisogno identitario, ruota la sua analisi in Nazionalisti e patrioti.

Vi sono appunto due concetti differenti nella parola “nazione”, due interpretazioni opposte la cui sovrapposizione impedisce di distinguere fra valori positivi e negativi riguardo al benessere, alla giustizia, alla sicurezza ed alla qualità della vita dei cittadini. Nella seconda metà del Settecento, con l’emersione del patriottismo repubblicano – che ha poi segnato il Risorgimento – la nazione venne intesa come patria di cittadini liberi ed uguali, all’interno della quale i diritti di tutti e di ciascuno potevano trovare riconoscimento. Il contesto nazionale iniziò a rappresentare il perimetro all’interno del quale la conciliazione fra libertà politica e valore della comunità nazionale diventava, al contempo, una possibilità ed una necessità. Da questa inclusione sociale e politica dei cittadini nell’alveo dello Stato discendeva la legittimità delle rivendicazioni di quei ceti e di quelle classi sociali che, proprio grazie alla loro formale ed astratta inclusione nella cittadinanza, sviluppavano il diritto di esigere diritti sul piano sostanziale e concreto.

L’interpretazione vasta ed inclusiva del demos, infatti, affonda le sue radici nell’uguaglianza formale dei cittadini, e trova nel rifiuto della potestà superiore, che fu dei Re e sarà poi dei capi/dittatori, il proprio cardine. L’affermazione del nazionalismo, che si porrà in antitesi tanto rispetto al cosmopolitismo che – come ricorda l’autore – al patriottismo repubblicano, ha prodotto una sostanziale erosione delle garanzie previste dal repubblicanesimo, realizzatasi attraverso l’interpretazione fuorviante dell’unità culturale fondata sulla storia, sul linguaggio e sulla religione in termini esclusivi/escludenti.

Nonostante il germe di questa lettura trovasse già nel primo nazionalismo un fertile terreno di coltura, nella sua interpretazione dell’identità come entità spirituale di natura teologico-politica il cui fondamento ultimo è in Dio, l’approccio estremo e sprezzante verso i diritti degli altri popoli sarà appannaggio del nazionalismo totalitario. Infatti, sebbene anche fra i fondatori del nazionalismo (Fichte 1927) vi fossero sostenitori degli ideali politici della Repubblica, l’ideologia dominante nella cultura politica degli Stati europei fra Ottocento e Novecento non fu il patriottismo repubblicano ma il nazionalismo della grandezza e del primato nazionali. È questa la fase in cui, per usare le parole di Guy Hermet, si compie la «trasformazione di un nazionalismo che è nato giacobino e repubblicano per poi finire con l’essere fatto proprio dai conservatori» (Hermet 2009, p. 2).

Gli strali dei nazionalisti vengono rivolti principalmente contro quelle forme di cosmopolitismo che ripudiano come irrazionale ogni forma di lealtà alla nazione ed alla patria. All’ideale di un mondo grande e privo di confini, i nazionalisti contrappongono l’idea di una patria piccola ed armoniosa in cui la cittadinanza viene ricondotta a criteri selettivi come il linguaggio, gli usi ed i costumi tradizionali e la religione. L’altro bersaglio polemico del nazionalismo è proprio il patriottismo repubblicano. Secondo gli scrittori politici repubblicani, grazie all’amore per la libertà l’attaccamento alla cultura nazionale si eleva dai sentimenti meschini ed esclusivi dei nazionalisti, che promuovono l’attaccamento alla patria senza garanzie per la libertà dei membri della comunità e dei popoli delle altre patrie.

Rousseau negli Scritti politici afferma che la vera nazione sia da intendersi non volgarmente come il luogo natìo, bensì come la libera Repubblica di cittadini uguali nei diritti e nei doveri, orientata al bene comune del popolo perseguibile attraverso la libertà politica e la giustizia sociale. Con Rousseau la patria si stacca dagli elementi geografici, biografici ed identitari per diventare vero e proprio progetto politico: la patria è una costruzione sociale resa possibile dalla creazione di uno Stato libero il cui scopo è proteggere e perseguire la libertà dei membri. La questione della forma di governo (e quindi del tipo di regime) sopravanza rispetto all’unità spirituale del popolo: è essa che la sostanzia nella libertà e nell’uguaglianza, valori positivi che veicolano sentimenti di amore per la patria di natura razionale.

La perversione del principio di nazionalità operato da quello che Mazzini ha definito «gretto nazionalismo» (Mazzini 1941, pp. 85-96) avviene quando si trascura il principio di libertà del popolo che viene separato dal valore della nazione, e dà vita al governo illegittimo ed ingiusto. Interpretata come unità organica, la nazione dei nazionalisti ammette la presenza di un capo carismatico che ne incarna le virtù e si incarica di sanarne i vizi. Per Mazzini, invece, non esistono padri del popolo ma soltanto garanti delle istituzioni che i cittadini scelgono liberamente.

Nasce da questa idea la definizione che più avanti Mazzini darà della patria come «lavoreria», ossia come entità politica all’interno della quale i lavoratori-cittadini, avendo assolto ai propri doveri, assumono l’autorità che utilizzano per far rispettare i propri diritti (Mazzini 1972, pp. 880-881). Per Mazzini, inoltre, la patria rappresenta un medium fra individuo e comunità che Dio ha disegnato per favorire lo sviluppo dell’umanità. Trovando in Dio il suo fondamento, e nel valore dell’umanità la sua bussola, ogni patriota deve riconoscere la patria altrui come sacra; ragione per cui ogni atto di ostilità contro un’altra nazione, ancor più mosso da pretese di dominio, risulta intollerabile.

Se nel patriottismo repubblicano il valore della comunità nazionale si coniuga sempre a quello della libertà politica, ciò non avviene con il nazionalismo. I nazionalisti, difatti, insistono sull’identità nazionale come valore principale da difendere (anche a costo della libertà), e come condizione necessaria e sufficiente per la realizzazione morale ed esistenziale dell’individuo. La mancanza di libertà deriva, secondo loro, non dalla lesione dei diritti dei singoli ma dalla soppressione dei caratteri originari di un popolo. I concetti di Kultur e Volk divengono centrali nella costruzione dello stato nazionale come unità spirituale che unisce al suo interno componenti mistiche ed etnico/culturali. Da qui l’interpretazione anti-repubblicana del nazionalismo basata sull’ostentazione della forza, sull’esclusione di quanti non appartengono alla comunità chiusa ed omogenea della nazione e addirittura ne inficiano la purezza (chauvinism) e sull’aggressione verso gli altri popoli considerati inferiori.

La lealtà del patriota non deve più essere rivolta ai valori di uguaglianza e libertà che nella nazione trovano fondamento, ma verso il capo che la incarna e ne protegge l’integrità culturale e religiosa. Quindi il recupero del concetto di nazione, trasfigurato a detta dei nazionalisti tanto dal cosmopolitismo quanto dal patriottismo repubblicano, diventa un’opera di restaurazione che passa dall’abbattimento della Repubblica. L’ideale mazziniano della fratellanza dei popoli ed il contenuto liberale e democratico del patriottismo repubblicano venivano sostituiti dall’attaccamento alla nazione ed alla purezza della razza. Possiamo affermare che il nazionalismo, rispetto al patriottismo, si compie attraverso un nuovo ricorso all’elemento trascendentale: la trascendenza si sperimenta non tramite un rimando a valori ideali e morali che trovano in Dio il riferimento ultimo, ma viene connessa ad un’immanente e mondana volontà di potenza, che trova conferma nella riuscita dell’impresa. Il suo Dio non è più quello della clemenza ma quello della forza.

Il monito che l’autore sembra voler lanciare riguarda la rinnovata centralità e la necessaria attenzione da riservare al valore della comunità ed al sentimento di nazionalità, intesi come genuine passioni umane da depurare da ogni commistione con il culto del primato nazionale e dell’uomo forte. L’impegno delle forze democratiche deve necessariamente passare dalla riscoperta dell’ideale etico e politico del patriottismo, improntato sulla mitezza, per ridar forza alla democrazia. In un tempo dominato dall’individualismo, dalla frantumazione sociale e lavorativa, dalla crisi dell’individuo, della società e del modello di sviluppo, la richiesta di sicurezza, di identità ed il bisogno di comunità si fanno sempre più forti.

Il rifiuto di questi sentimenti – che appartengono al codice genomico umano – da parte delle forze progressive, potrebbe produrre l’effetto nefasto di ingrossare le fila di quelle regressive che agitano il drappello della minaccia e soffiano sul fuoco della paura. Il ricorso al cosmopolitismo da solo non basta: esso è appannaggio di ristrette élite intellettuali e non è in grado di intercettare le richieste provenienti dalle classi popolari e dai ceti medi in declino che, in tempi di crisi, ricercano nell’appartenenza ad una storia comune la dignità e l’orgoglio perduti. Diventa allora necessario interpretare e formulare questi sentimenti in chiave positiva al fine di sottrarre campo alle forze politiche che forniscono una lettura della crisi basata sulla contrapposizione tra ultimi e penultimi.

Riferimenti bibliografici
J.G. Fichte, I discorsi alla nazione tedesca, Sandron, Palermo-Roma 1927.
G. Hermet, Il populismo nella storia, “Trasgressioni”, n. 49, settembre-dicembre 2009.
G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, in Scritti politici, a cura di Terenzio Grandi e Augusto Comba, Utet, Torino 1972.
G. Mazzini, Nazionalismo e nazionalità, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa tipografico-editrice Paolo Galeati, Imola, v. XCIII, 1941.
J. J. Rousseau, Discorso sull’economia politica, in Scritti politici, a cura di M. Garin, Laterza, Roma-Bari 1994.

Maurizio Viroli, Nazionalisti e patrioti, Laterza, Roma-Bari 2020.

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