romanzo saggio

Il volume di Stefano Ercolino Il romanzo saggio (Bompiani, 2017, ben tradotto da Lorenzo Marchese dall’edizione Palgrave-Macmillan del 2014) si caratterizza per essere analisi, al contempo vasta e maneggevole, della crisi epistemologica ed esistenziale che caratterizza la cultura europea a partire dal 1880. Il tracollo del concetto di verità oggettiva, la crisi delle strutture della gnoseologia razionalistica, la crisi della percezione unitaria del soggetto e dello strumento atto a esprimere la relazione di questo col reale (il linguaggio), trovano, secondo Ercolino, una controparte letteraria in una peculiare forma di narrazione: il romanzo-saggio.

In tal senso Ercolino si inserisce in una ben collaudata tradizione critica (Marshall Berman, John Burrow, Claudio Magris e altri) tesa ad interpretare il Modernismo quale risposta approntata dalla letteratura rispetto all’emergere della grande filosofia della crisi (Nietzsche, Bergson, W. James, Mach, ecc.), rispetto, cioè, alla destrutturazione dei tradizionali paradigmi conoscitivi connessi – nelle prospettive razionalistiche, metafisiche o positivistiche – a presupposti anti-relativisti e/o anti-nichilisti. Una contrapposizione epistemica che Ercolino simbolizza nell’antitesi storica fra il lavoro di Montaigne e quello di Cartesio.

A tale quadro interpretativo, il volume aggiunge però un fondamentale tassello. Chiarita essere la forma-saggio (secondo le riflessioni di Lukács, Adorno e Bense) l’espressione di un modello conoscitivo, certo in crisi, ma teso a rilanciare se stesso ben al di là delle forme del soggettivismo scettico che la nuova gnoseologia prospetta (teso ancora alla rappresentazione di una totalità possibile), il romanzo-saggio si contraddistingue mediante l’assorbimento dei presupposti di quello nelle forme, più complesse, della narrazione, divenendo così, al contempo, forma simbolica della crisi della modernità così come veicolata dalla filosofia, e tentativo di superamento di quella crisi attraverso il suo esserne rappresentazione. Tale rappresentazione, infatti, nel suo tentativo di caratterizzarsi come sintesi dialettica della totalità in crisi, vuole essere rappresentazione simbolica di quella crisi e suo attraversamento progressivo. Allusione alla necessità di una sintesi conoscitiva proprio nel momento del crollo della stessa e addirittura, mediante il crollo della stessa.

Ercolino non tende però a generalizzare il suo stesso presupposto di partenza; riduce anzi progressivamente le caratteristiche del romanzo-saggio mediante precise distinzioni con forme narrative all’apparenza contigue, siano queste la polifonia dostoevskiana, la soggettivazione dei presupposti saggistici così come espressi da Proust, o il riassorbimento dell’epistemologia relativista che la forma-saggio sottende in progetti a valenza nuovamente metafisico-valoriale come nel caso di Hermann Broch. Fissato il campo d’indagine fra Francia, Austria e Germania, il volume (che è corredato di una ricchissima bibliografia) individua invece alcuni snodi chiave connessi alla nascita e allo sviluppo del genere.

Il primo è il superamento dei presupposti zoliani dell’estetica naturalista così come realizzato da Huysmans con Controcorrente e Laggiù, nell’abisso e da Strindberg. In questo primo caso le lunghe riflessioni di tipo saggistico inserite all’interno della narrazione vertono proprio sulla necessità del superamento dell’opzione estetica precedente come passaggio (ancora “a mezza gamba”) verso una nuova concezione estetica che vuole essere espressione tanto di una nuova epoca, quanto, come già accennato, attacco a quella razionalità cartesiana che aveva rappresentato il cardine dell’architettura ideologica della modernità; un cardine che viene ora ad essere inquadrato come legato a filo doppio ai presupposti operativi della borghesia capitalistica, il cui momento di crisi, o di passaggio dalla fase rivoluzionaria a quella reazionaria (creazione dei monopoli, colonialismo, ecc.), svuota di efficacia l’ideologia precedente.

Il secondo snodo è rappresentato dall’entrata in crisi di una delle forme tradizionali del romanzo moderno, il Bildungsroman, così come si realizza ne La montagna magica di Thomas Mann. Il crollo dell’orizzonte di formazione del protagonista è qui direttamente funzionale all’emersione dei presupposti saggistici. Questi vengono infatti inseriti nel romanzo come elementi atti al processo formativo di Hans Castorp, ma debordano poi immediatamente dai loro intenti in quanto si presentano in forme (troppi lunghi, contenenti un numero eccessivo di informazioni) che il protagonista non riesce ad assimilare. Tale sfasamento del processo formativo, e il fatto che questo sfasamento sia presentato proprio nelle forme saggistiche tese alla formazione del personaggio, si fa così discorso simbolico riguardante la crisi del moderno come crisi della formazione, che è poi la consueta crisi connessa ad una possibile comprensione totalizzante del reale e dei suoi processi. Benché, come sempre, la funzione totalizzante venga poi ad essere recuperata sul piano simbolico della forma estetica; vale a dire mediante la rappresentazione della stessa totalità perduta, e dunque come critica alla perdita di questa (sintesi che per Ercolino è invece  assente nei romanzi di Dostoevskij dove domina – polifonia – l’antitesi tragica e irrisolvibile delle voci in contrasto).

Il terzo snodo, forse il più importante, è quello che connette l’emersione della forma-saggio all’interno della narrazione romanzesca alla fondazione, in Robert Musil, del cosiddetto “senso della possibilità” di Ulrich in L’uomo senza qualità, dal momento che tale senso (la capacità di vedere il reale nelle sue possibilità inespresse invece che nelle sue caratteristiche oggettive) è al contempo la più alta espressione letteraria dei presupposti connessi alla filosofia della crisi. Tale presupposto teorico è poi abilmente esteso da Ercolino che ne evidenzia le connessioni di carattere politico, vale a dire le connessioni con le riflessioni di Musil concernenti l’Impero austro-ungarico e il suo processo di decadenza e dissoluzione.

In conclusione il romanzo-saggio si caratterizza per Ercolino come la forma simbolica della modernità colta nel suo momento di crisi, o, meglio, di una modernità che si dota di una risposta ideologica alla sua crisi mediante la riflessione su questa. Se il romanzo storico e il romanzo di formazione erano stati espressione narrativa (e ideologica) della borghesia nel momento della sua fase rivoluzionaria, il romanzo-saggio rappresenta il recupero della totalità in crisi mediante le forme simboliche che alludono alla dissoluzione di quella stessa totalità, vale a dire, fuor di filosofia, la rappresentazione che la borghesia riesce a dare di se stessa come classe universale nel momento in cui entra in crisi lo stesso concetto di universalismo, cioè nel momento in cui per la classe borghese diventa problematico esprimere come universali i propri valori. Con l’entrata nella post-modernità (alla cui ideologia letteraria Ercolino ha dedicato il suo ultimo volume: Il romanzo massimalista) le forme della dissoluzione, della frammentazione, la faranno da padroni, e le forme della sintesi dovranno trovare strade diverse.

Riferimenti bibliografici
S. Ercolino, Il romanzo saggio, Bompiani, Milano 2017.
T. Mann, La montagna magica, a cura di L. Crescenzi, Mondadori, Milano 2010.

*L’immagine presente nell’articolo e in anteprima è un dettaglio della copertina del libro.

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