Una delle sequenze centrali di Napoli – New York, l’ultimo film di Gabriele Salvatores, tratto da un soggetto del 1948 firmato da Federico Fellini e Tullio Pinelli (e ritrovato nei primi anni duemila da Augusto Sainati), riprende in campo lunghissimo un transatlantico che solca l’oceano, diretto verso la speranza di un porto sicuro e di una vita migliore, pronto a lambire i confini sfumati e indefiniti del sogno per eccellenza per migliaia di italiani del dopoguerra: il sogno americano. La sequenza orienta, pur se in maniera sotterranea, le aspettative del pubblico e direziona le attese, lasciando immergere gli spettatori in una fiaba costellata di avventure rocambolesche e di piccoli atti di riscatto. 

Il movimento della nave è una sorta di correlativo oggettivo di una continua tensione al dinamismo e all’azione che attraversa il racconto, dandogli consistenza onirica e fiabesca. Come in ogni fiaba che si rispetti, il viaggio viene a rappresentare un percorso catartico e un’esperienza conoscitiva: «[…] segna il distacco dalla situazione protetta delle origini e dell’infanzia per gettare il giovane nel mondo e favorirne così la crescita e l’ingresso nel gruppo degli adulti» (Barsotti 2004, p. 200). Tuttavia, si può osservare che il processo di maturazione dei due scugnizzi, saliti come clandestini a bordo del transatlantico con il desiderio di ricongiungersi alla sorella maggiore di Celestina, salpata anche lei per l’America alla ricerca di un sogno che, nel corso del film, si rivelerà meno roseo e più inafferrabile di quanto non sembrasse tra i calcinacci sbriciolati della fame napoletana, non è un processo concluso. Quello che sembra emergere dai flutti della narrazione è che i due bambini siano lontani «dall’aver acquistato una propria matura identità» (Barenghi 2017, p. 4). Si tratta, piuttosto, di un cammino che consente loro un recupero dell’infanzia perduta, schiacciata dalle macerie della guerra e della povertà. 

Le parole di Mario Barenghi si riferiscono a una pietra miliare della letteratura della Resistenza: Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino. Fiaba neorealista che appare qui un punto di riferimento interessante, perché sembra presentare svariati punti di contatto con le fasi iniziali della produzione felliniana e soprattutto con la struttura narrativa e la rete di personaggi di La strada del 1954, una sceneggiatura solo di qualche anno più vecchia rispetto al soggetto da cui Salvatores ha tratto il suo film. Questa connessione deriva dalla possibilità di ascrivere i due testi, sia il romanzo calviniano che il film felliniano, al dominio del realismo magico, a cui è riconducibile in buona misura anche il soggetto di Napoli – New York, «trattamento-sceneggiatura di circa 80 pagine» che ha destato in Salvatores una meraviglia che è diventata poi «desiderio e spinta creativa» (Salvatores 2024).

La sequenza di apertura di Napoli – New York, infatti, con il rumore assordante di una bomba che deflagra nel fuoricampo e la successiva inquadratura in campo lungo di un ragazzino che grida tra i resti di un palazzo crollato, oltre che essere un chiaro omaggio al cinema felliniano, costituisce un mezzo utile a fissare la dimensione spazio-temporale in cui il racconto è ambientato. Si tratta di una scenografia estremamente realistica, che indugia nella prima sezione del film sull’indigenza dei bassifondi napoletani; nella seconda sulla polarizzazione tra i ricchi passeggeri della prima classe, vestiti di abiti candidi e seduti dinanzi a tavole ricche e imbandite, e i derelitti della seconda classe, un’umanità vestita di stracci e disperata, intere famiglie che hanno venduto tutto pur di comprare un biglietto per imbarcarsi nel loro viaggio della speranza; infine, nella terza sezione la macchina da presa si muove più frenetica, spostandosi tra i vari quartieri di New York ed esplorando tanto le brulicanti strade del centro, quanto gli angoli più nascosti dei sobborghi popolati da immigrati, e soffermandosi sulla dignitosa povertà di coloro che sono giunti in America per migliorare le proprie condizioni di vita. 

Questo sfondo, tuttavia, reagisce a uno sguardo alternativo: quello dei due bambini, con i cui occhi il regista si identifica. Il punto di vista, dunque, si abbassa e si ibrida con quello dei due piccoli protagonisti, modellando in tal modo l’intera narrazione, la quale assume un’aura fiabesca anche e soprattutto perché a direzionare il racconto è lo sguardo infantile. Questa scelta stilistica sembra porre quest’opera in correlazione con i due testi citati in precedenza, nei quali pure i protagonisti sono bambini o hanno dei tratti marcatamente infantili. Nel caso del Sentiero dei nidi di ragno, infatti, c’è Pin, un bambino di dieci anni il quale, al pari di Celestina e Carmine, è orfano e solo in un mondo crivellato dalla miseria della guerra, e intraprende un viaggio tra le montagne liguri che lo porterà a recuperare parzialmente la propria infanzia perduta; in La strada, la cui narrazione è più amara, lo sguardo con cui si ibrida la macchina da presa è quello di Gelsomina, «una bambina-vecchina» (Fellini 2015, p. 60), che osserva il mondo con gli occhi perennemente sgranati e ricolmi di sorpresa. Un’operazione cinematografica di questo tipo fa ricadere anche la sceneggiatura di Napoli – New York nel dominio del realismo magico, per quanto l’incisività immaginifica delle inquadrature di Salvatores non sia pari a quelle felliniane. 

I debiti e gli omaggi a Fellini sono evidenti in molte inquadrature, a partire da quello più scoperto collocato nella lunga sequenza ambientata in un cinema, in cui una spaesata Celestina, smarrita e fagocitata dalle strade rumorose e strombazzanti di una metropoli a lei completamente estranea, entra attratta dalla proiezione di Paisà di Roberto Rossellini (alla cui sceneggiatura aveva lavorato lo stesso Fellini). I riferimenti alle immagini felliniane sono disseminati nel film, ma privati della potenza visionaria caratteristica del regista riminese. Il ventre della Victory, la nave su cui si imbarcano i due piccoli protagonisti della vicenda, richiama subito alla mente la “Gloria N” di E la nave va (Fellini, 1983), con una minore o quasi nulla dimensione grottesca e immaginifica. Salvatores, piuttosto, decide di ampliare lo spazio che Fellini e Pinelli avevano riservato a temi che ritrovano, ancora ai giorni nostri, una loro lampante attualità. Si pensi al motivo delle lotte femministe o a quello dell’emarginazione sociale e politica riservata agli immigrati. Il film insiste in maniera particolare sul razzismo subito dagli italiani ai tempi delle prime emigrazioni di massa, sottolineando la condizione di marginalità e di oppressione da loro vissuta, al punto da essere banditi dai luoghi di ristoro. La mente non può che correre, in conclusione, al famoso poemetto Italy di Giovanni Pascoli, a cui, forse, anche Fellini e Pinelli avevano pensato nel raccontare la storia di due orfanelli italiani salpati verso la speranza e scontratisi con una realtà ben diversa, quella di un paese che li considera sporchi, selvaggi e brutali solo in virtù della loro origine: 

Si muove con muglio alto il vascello. // 
Essi, in disparte, con lo sguardo vano, //
mangiano qua e là pane e coltello […]. // 
e in faccia // 
no, dietro odono mormorare: Dego!
(Pascoli 2001, p. 180).

 

Riferimenti bibliografici
S. Barsotti, E cammina, cammina, cammina … fiaba, viaggio e metafora formativa, Edizioni ETS, Pisa 2004. 
F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 2015.
G. Pascoli, Italy, in Tutte le poesie, a cura di A. Colasanti, Newton Compton, Roma 2001.
S. Pignataro, Il sentiero dei nidi di ragno: una rilettura a settant’anni dalla pubblicazione. Conversazione con Mario Barenghi, in “Sinestesie Online”, n. 20, 2017.

Napoli – New York. Regia: Gabriele Salvatores; sceneggiatura: Gabriele Salvatores; fotografia: Diego Indraccolo; montaggio: Julien Panzarasa; musiche: Federico De Robertis; interpreti: Pierfrancesco Favino, Dea Lanzaro, Antonio Guerra, Anna Ammirati, Anna Lucia Pierro, Omar Benson Miller, Tomas Arana, Antonio Catania, Katie McGovern, Lorenzo McGovern Zaini, Mitch Salm; produzione: Paco Cinematografica, Rai Cinema; origine: Italia; durata: 124’; anno: 2024.

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