Uno dei tratti distintivi di Mickey Barnes (Robert Pattinson), protagonista di Mickey 17, il nuovo film di Bong Joon-Ho presentato nella sezione Berlinale Special, è la particolare intonazione e coloritura della voce, che emerge immediatamente all’attenzione dello spettatore, trasportandolo in un racconto fantascientifico rocambolesco. Una voce, dunque, che si configura quale «voce-soggetto», ossia dotata di specifici «criteri di colore, spazio, timbro cui […] deve uniformarsi per funzionare come tale» (Chion 1991, p. 65). Nel dettaglio, «perché lo spettatore vi si identifichi», la voce «deve essere inquadrata e registrata in un certo modo, così da costituire il perno dell’identificazione, risuonare in noi come se si trattasse della nostra stessa voce» e questo accade grazie «alla massima vicinanza […] segnalata da indicatori sonori pressoché infallibili di presenza e di definizione» (ibidem).
Il grande lavoro di Pattinson sulla voce-soggetto di Mickey si risolve in una sapientemente calibrata alterazione comica, che conduce l’opera sulla soglia della satira. Tutto ciò è reso possibile dalla prossemica di Pattinson, dagli scatti timidi e nervosi che vibrano attraverso le sue membra e le sue corde vocali e che, in alcune sequenze, in cui è evidente il debito di Bong Joon-Ho nei confronti di sé stesso, sfiorano quasi lo slapstick. Nel corso di una missione di colonizzazione del pianeta Niflheim, Mickey narra la propria storia di disperazione e di assenza di prospettive per il proprio futuro, e descrive l’inizio e l’evoluzione del suo lavoro come “expendable” (“usa e getta”): un ruolo che, come suggerisce la sua stessa denominazione, appiattisce la sua umanità e lo relega in una condizione di emarginazione. Il lavoro di Mickey, infatti, consiste nell’essere sottoposto ripetutamente a condizioni estreme, che lo inducono alla morte, al fine di elaborare dei sistemi di cura o di preservazione che consentano all’umanità di sopravvivere nell’atmosfera del pianeta, inospitale per gli esseri umani.
Come nota Vivian Sobchack:
La satira […] ha un’affinità naturale con i mondi utopici e anti-utopici della fantascienza – in letteratura e al cinema. Attraverso l’estrapolazione, la creazione di un’epoca e/o di un luogo non presente, la fantascienza consente la distanza necessaria perché la satira funzioni. L’allontanamento, che è una caratteristica insita nel genere, offre al regista una “alterità” preconfezionata nel suo punto di vista, un punto di vista dal quale guardare l’umanità da una grande distanza spaziale e/o temporale e trovare la sua normalità non soltanto straordinaria, ma anche raccapricciante (2002, p. 161).
La satira fantascientifica, dunque, grazie all’inquietudine che la predomina in quanto «vicina alla realtà attuale» (ivi, p. 167), consente a Bong Joon-Ho una riflessione complessa e articolata, per quanto ben condensata, su alcune tematiche di carattere estremamente attuale, a cui il regista non è estraneo, come testimonia, ad esempio, il suo precedente lavoro Okja (2018). Ne sono un esempio i personaggi grottescamente caricaturali di Marshall (Mark Ruffalo) e di sua moglie Ylfa (Toni Collette), i magnati/dittatori della missione. La coppia incarna la sete capitalistica di espansione, potere e possesso, totalmente disinteressata alle condizioni lavorative e di sicurezza dei propri dipendenti. Emblematica è la scena in cui, durante l’ennesima sperimentazione sul corpo di Mickey, camuffata dietro un invito a pranzo elargito a uno dei migliori operai, la sola preoccupazione di Ylfa, dinanzi all’eventualità che il marito spari a un agonizzante Mickey, sia quella di non macchiare il suo pregiato tappeto. I coniugi, dunque, ribaltano completamente i termini della dialettica cosa/persona, schiacciando i loro simili, ma anche gli altri esseri viventi, nel puro dominio delle cose ed elevando queste ultime a valore affettivo. Bong Jooh-Ho, con molte probabilità, adombra dietro queste figure l’attitudine umana a sfruttare, fino all’ultima goccia, tutte le risorse naturali e vitali a propria disposizione, al fine di apporre il marchio del proprio dominio su tutto ciò che lo circonda: umano e non-umano.
Questo loro atteggiamento riduce la figura di Mickey a pura realtà oggettuale, un expendable, appunto, ossia un individuo sacrificabile, de-umanizzato. Volendo riprendere la distinzione di Husserl tra corpo vivo e corpo cosale, agli occhi dei Marshall il corpo di Mickey è appiattito su un’unica dimensione: quella cosale, il suo corpo è, per loro, solo «una cosa, una cosa fisica come qualsiasi altra» (Husserl 2009, p. 198), idea che sembra essere confortata anche dal fatto che Mickey, nel corso di tutto il film, venga privato della connotazione onomastica del cognome e identificato con un numero progressivo che suggerisce la quantità di esperimenti a cui è stato sottoposto. Eppure, la regia di Bong Joon-Ho rivela, attraverso le molteplici inquadrature esplicite delle cruente morti di Mickey, che Mickey è Mickey Barnes, un individuo dotato di una propria soggettività, di un corpo vivo, «un corpo senziente» (ivi, p. 199), che continua a temere la morte e la sofferenza, pur avendole affrontate numerose volte. A guidare Mickey 17 verso una presa di coscienza della propria condizione è il suo multiplo, Mickey 18, prodotto per errore e sorta di suo doppelgänger. Un doppio oscuro: tanto quanto Mickey 17 appare timido e goffo, Mickey 18 si manifesta forte e risoluto nelle sue decisioni, mosso dal fuoco della ribellione. La progressiva collaborazione e connessione tra i due poli della personalità di Mickey favorisce anche l’integrazione tra le due dimensioni di corpo cosale e corpo vivo.
Nel medesimo quadro tematico si inserisce anche l’interazione della colonia umana con gli abitanti nativi del pianeta, degli esseri dalle fattezze simili a quelle del tapiro e denominati “creepers”. L’atteggiamento dei Marshall è ugualmente di dominio, violenza e sfruttamento per i propri scopi, nonostante i creepers si siano dimostrati pacifici, portando in salvo Mickey, e gli uomini non possano avanzare alcun diritto di proprietà su un pianeta che, come ben chiarisce uno dei membri ribelli dell’equipaggio, Nasha, era abitato da ben prima di loro, rendendoli di fatto i veri alieni. In questo modo Bong Joon-Ho elabora una riflessione ecologica non nuova per il suo cinema, ma di grande impatto, che si accompagna, in questo film, anche a una considerazione più profonda relativa ai pericoli della scienza quando sia applicata in maniera egoistica e indiscriminata al corpo umano.
Riferimenti bibliografici
M. Chion, La voce nel cinema, Pratiche Editrice, Parma 1991.
E. Husserl, La cosa e lo spazio. Lineamenti di fenomenologia e critica della ragione, a cura di V. Costa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.
V. Sobchack, Spazio e tempo nel cinema di fantascienza. Filosofia di un genere hollywoodiano, Bononia University Press, Bologna 2002.
Mickey 17. Regia: Bong Joon-ho; sceneggiatura: Bong Joon-ho; fotografia: Darius Khondji; montaggio: Yang Jin-mo; interpreti: Robert Pattinson, Naomi Ackie, Steven Yeun, Toni Collette, Mark Ruffalo; produzione: Kate Street Picture Company, Offscreen, Plan B Entertainment, Warner Bros.; distribuzione: Warner Bros.; origine: Stati Uniti d’America, Regno Unito; durata: 137′; anno: 2025.